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Le ombre tra le nuvole

Dramma
Le piaceva guardare il cielo.

Da bambina per guardarlo, si sdraiava sul pratino davanti alla scuola, oppure in casa sulla poltrona della zia, vicino alla finestra.

Il cielo con le nuvole bianche, o quelle che annunciano la pioggia. Quando era coperto, senza neppure uno spicchio di azzurro, lo sentiva pesante come una minaccia, ne aveva paura, quando era limpido, le sembrava il mare immobile rovesciato sulla sua testa.

Ma preferiva quando c’ era vento, di primavera o d’ autunno. Allora le nuvole sembrano correre veloci sull’ azzurro scivoloso.

Dario lo sapeva che quando se ne stava distesa a prendere il sole sul bagnasciuga, dietro gli occhialini, guardava il cielo.

“ Si può sapere a che pensi? Che cosa cerchi lassù?”

Lei sorrideva silenziosa. Altre volte gli aveva confidato di aver visto immagini tra quelle nuvole, ombre di persone che se ne erano andate da questa vita.

Dario restava a sentire, ma poi concludeva sempre allo stesso modo: “ Fantasia… il tuo nome è Giusy.”

“ Nessuno vuole credermi. Prova a guardare e poi vedrai che mi darai ragione!” insisteva lei.

Miriam, la sua migliore amica, lei sì che le credeva.

Quando frequentavano la scuola media, aveva perfino accettato di passare con lei interi pomeriggi a guardare le nuvole.

“ Giusy, forse l’ ho visto anch’ io quel cavaliere in corsa…”

“ Ma no! quale cavaliere? era solo un cavallo alato. Pegaso era!”

“ Le ali sinceramente non sono riuscita a distinguerle. Però ho visto una figura, con un mantello…”

Miriam da otto anni è partita. Emigrata al nord, lavora vicino Modena come cassiera e si è sposata. Anche Dario se n’è andato, ma non per lavoro. Si è messo con un’ altra e ha intenzioni serie, ora che comincia a guadagnare bene facendo il carrozziere.

Sono passati sei anni da quando si sono lasciati. Giusy ha sofferto, poi ha incontrato Max, disoccupato, appena uscito da una comunità di recupero per tossici. Con lui ha vissuto tre anni e hanno messo al mondo Maria Sole. Poi anche Max se n’è voluto andare via, per rimettersi di nuovo nel suo giro di balordi a caccia di una dose e l’ ha lasciata con la bimba.

Giusy, prima di incontrare Max, lavorava in una panetteria a Bisceglie. Certe volte stava alla cassa.

Un giorno c’è stato un ammanco di mille euro.

Lei era al sesto mese di gravidanza e Domenico, il padrone, aveva accusato lei e Max, che quella mattina s’ era visto in giro per il negozio e non per comprare il pane. Così, da un giorno all’ altro, il padrone aveva licenziato Giusy, con la minaccia di chiamare i carabinieri e far arrestare Max.

Già in quei mesi abitavano a casa del padre di Max, a Bisceglie. Con il licenziamento di Giusy si campava grazie alla piccola pensione del vecchio.

Dopo la nascita di Maria Sole e i tre mesi di allattamento, Giusy cercò un altro lavoro, ma a Bisceglie tutti erano a conoscenza della storia equivoca della panetteria e nessuno voleva più offrirle un’ opportunità, perché c’ era ancora di mezzo Max con il suo giro di tossici.

Così, non potendo fare altro, Giusy si era messa a fare marchette sulla statale, per conto di un amico di Max, un pregiudicato, che faceva il magnaccia e lo spacciatore.

Giusy il cielo lo guardava solo di notte ormai, scrutava le stelle, distingueva anche le nuvole quando c’ era la luna, mentre stava con i clienti su per il lungomare.

Ma non vedeva più niente. “ Le ombre di notte si nascondono” pensava, e lei non poteva più riconoscerle, perché di giorno dormiva.

Maria Sole, però, piangeva e a lei quel pianto dava tanto fastidio e metteva la testa sotto due cuscini per non sentirla.

Max, quando ancora stavano insieme, non si svegliava, dormiva per giornate intere dopo che si era fatto. Così alla piccola ci pensava il nonno, finché un mattino verso mezzogiorno le urla prolungate di Maria Sole fecero accorrere una vicina. Allora si accorsero di quello che era successo: il vecchio era riverso sul letto e non respirava più.

“ Ed ora chi ci pensa alla bambina?” fu il primo pensiero di Giusy.

Passarono tre settimane e Max se ne andò senza farsi più trovare nei soliti posti che frequentava. Giusy continuò a battere il marciapiedi e la piccola restava quasi sempre a casa di una vicina, che aveva pena per quella povera creatura.

“ Da quando si era innamorata di Max, Giusy non aveva avuto altro pensiero che quello di viverci insieme. Tre anni è durata. Lei, dopo la nascita della bimba, voleva sposarsi, ma lui, si capiva, non se la sentiva.”

Questo ha dichiarato al procuratore Scifoni la sorella di Giusy, Marisa, la più grande, che ha superato i trenta.

Il fratello Nico, venticinque anni, lavora in una officina del paese, è fidanzato e prossimo al matrimonio. Lui non parla volentieri di Giusy, ma gli inquirenti, si sa, devono fare il loro mestiere. “ Nostro padre è un tipo violento, che mena le mani facilmente. Ne ha prese di botte anche Giusy, poverina. Non so se questo può servire a capire il suo gesto. Nostra madre è morta quando lei aveva poco più di due anni. Un po’ se la ricorda solo Marisa, che ne aveva dieci… io quattro e a quell’ età si dimentica tutto. Anche un suicidio.”

Mara, la loro madre, si era tolta la vita, tagliandosi le vene mentre faceva il bagno. I figli erano nei loro lettini a dormire e il marito Carlo all’ osteria ad ubriacarsi in compagnia di una puttana con cui si faceva vedere in giro.

All’ epoca Mara lavorava in un pastificio, a dieci km dal paese. Carlo, invece, era disoccupato e spendeva i soldi di Mara con la sua puttana e a bere. Qualche volta si faceva anche di coca.

“ Di sicuro Giusy sapeva che papà se la intendeva con Michela la rossa, forse li sentiva anche mentre facevano sesso nella camera da letto, a notte fonda, quando, dopo la morte di mamma, tornavano ubriachi e noi c’ eravamo coricati da ore, chè la mattina Giusy e Nico andavano ancora a scuola alle elementari e io facevo il mio primo lavoretto dalla sarta.”

Marisa abbassa lo sguardo quando ricorda quel periodo.

Anche lei ne prendeva di botte, come Nico, come Giusy. E senza un motivo. Carlo era così. Da ubriaco e da sobrio. Un violento. Anche con Mara. Anche con Michela la rossa. Prima le picchiava, poi ci faceva l’ amore.

Ora Marisa ha due figli, ma si è separata dal marito, anche lui un violento come suo padre. Per salvare se stessa e i suoi figli vive in una casa famiglia aspettando ‘ il grande amore’.

Maria Sole l’ hanno trovata due giorni fa, gli occhietti scuri aperti e fissi al cielo, distesa supina su una roccia del belvedere, dove la notte si fermano le puttane come Giusy, a guadagnarsi la vita.

Aveva il visino bianco come la cera, le braccine leggermente divaricate come la sue gambe, chiusa in quella tutina a fiori colorati, i riccioli biondi scomposti, un rivoletto di sangue rappreso all’ angolo della piccola bocca semi aperta. Sotto la testa una chiazza scura. Ha gli occhi aperti rivolti al cielo.

Di certo ora non piange e non urla più. Ha un’ espressione tranquilla.

Il suo corpicino è freddo come il granito su cui è distesa.

Lei, Giusy, si è chiusa in un mutismo assoluto. Non parla, non chiede della figlia, ha un’ espressione allucinata e lo sguardo di chi si è perso.

I carabinieri sono andati a prenderla in quella specie di casa tugurio dove vive da qualche mese.

C’è anche uno con lei, Maurizio, che dorme con lei e le frega una parte dei soldi che lei guadagna prostituendosi.

Ai carabinieri Maurizio ha negato di aver ucciso la bambina. Lui ha un alibi di ferro.

Stava al pub quella notte e lo avevano visto in tanti.

Maurizio con la Giusy si vedeva solo al pomeriggio, quando la bambina di solito era a casa della vicina.

Giusy, si sa, aveva bisogno di sentire un po’ d’ affetto. Non era come con i clienti.

A lei piaceva che Maurizio la svegliasse per il ‘ pranzo- colazione’, diceva.

Mentre ancora dormiva, le veniva sopra e lei si abbandonava.

“ Quando la vicina non poteva tenere la bambina, non si capiva perché, ma proprio in quei momenti di intimità” ha dichiarato Maurizio agli inquirenti “ quella si metteva a piangere e chiamava la madre. Giusy non voleva smettere di farlo e mi diceva di non stare a sentire quella scimunita, che poi si sarebbe calmata da sola. ‘ Quella è roba di Max, quello str…’ diceva e mi si avvinghiava sempre di più. Io facevo come mi chiedeva, e si continuava.”

Questo era scritto nel verbale.

Ora Maurizio è di nuovo davanti al magistrato nella stanza della Procura.

Fa caldo e c’è il ventilatore acceso.

Lui è seduto davanti alla scrivania della dottoressa Scifoni, che sta parlando al telefono con la psicologa delle forze di polizia.

“ Va bene Stefania, cerca tu il modo. Con noi non ha aperto bocca. E’ come chiusa in un suo mondo impenetrabile. Fammi sapere.”

Maurizio ha lo sguardo fisso sulla maglietta aderente della dottoressa Scifoni: gli piace abbandonarsi a fantasie erotiche.

Sbircia sotto il tavolo per vederle le gambe nude e accavallate. Quella donna gli piace, lo eccita. E’ la seconda volta che la vede. Gli sembra quasi un piacere doverla incontrare. Dall’ altra parte dello stanzone c’è una seconda scrivania e un poliziotto al computer, che verbalizza la deposizione.

“ Le chiedo di raccontarmi di nuovo di quel giorno, il 16 giugno scorso. Quando ha visto la Marconi, che ora era?”

“ Saranno state le dodici e mezza. Qualche volta capitava che arrivavo a casa sua per il pranzo. Giusy a quell’ ora dorme e anche la bambina, se era in casa, se ne stava nel lettino a dormire o a giocare da sola. Lucia, la vicina, le dava da mangiare prima, verso le undici e mezzo credo, ma non sempre la teneva a dormire da lei. La lasciava nel lettino con i suoi giochi. Di rado mi incontravo con Lucia e poi comunque quando arrivavo, lei se ne andava subito.”

“ Mi dica cosa avete fatto dopo.”

“ La Giusy se non la svegliavo io a quel modo che le ho detto…” Maurizio si fissa a guardare i seni della Scifoni.

“ Allora? Continui, per favore.”

“ Beh… avrebbe dormito fino alle sei del pomeriggio. Ormai non si svegliava neppure se Marisole piangeva. Però quando entravo nel letto e me la sco… insomma, ha capito vero? lei si lasciava fare… ed era sveglia, altro che!”

La dottoressa Scifoni appoggia le spalle allo schienale. Ora le sue tette si vedono meglio. Maurizio le guarda e si chiede se la Scifoni ci starebbe a farsele toccare da lui.

“ Allora?” lo incalza lei fissandolo “ Non continua il racconto? Avete fatto sesso e poi?”

“ E poi… che le devo dire dottoressa? Vuol sapere come lo abbiamo fatto?”

“ Senta, Galanti” a questo punto la Scifoni si avvicina seria alla scrivania “ non faccia lo spiritoso. Non siamo qui per valutare le sue prestazioni sessuali…”

Lui guarda e pensa che, se fossero da soli, potrebbe farla distendere sul tavolo.

“ Mi scusi” risponde guardando verso la finestra.

La Scifoni, che ha capito, irritata, alza la voce “ C’è stato un infanticidio. Quella povera bimba non è morta per una caduta accidentale, come sostiene la Marconi… E’ stata uccisa e la madre sta mentendo, e sta mentendo anche lei, Galanti!”

“ Ma no, che dice, dottoressa? Le ho raccontato tutto già due giorni fa. Dopo che abbiamo finito, Giusy si alza e io dico: la Marisole dorme, eh? Stavolta non ti sei distratta neppure un attimo. Le dico: lo rifacciamo dopo, baby, ok? Prima mangiamo qualcosa. La Giusy si mette addosso una vestaglietta colorata corta e va in cucina. La vicina ha preparato qualcosa. Era del pollo in tegame con peperoni. A me i peperoni non piacciono perché non li digerisco, e ho mangiato solo pollo e del pane vecchio, mezzo indurito. Abbiamo bevuto due birrette fresche. Lei aveva la vestaglietta aperta e sotto niente. A me è tornata voglia di farlo mentre lei mangiava una pesca. Ci siamo messi lì in cucina sul tavolo. Giusy ha anche gridato, tanto che le ho detto: Non urlare, che svegli Marisole. Lei a quel punto si è fermata ed è corsa nel soggiorno dove stava il lettino. Io dietro a lei e ho visto che la piccola non c’ era.”

“ Ma lei, Galanti, la bambina l’ aveva vista quando era entrato in casa?”

Maurizio scuote la testa “ Assolutamente no. Il soggiorno è vicino al bagno. Non ci si passa per andare nella stanza di Giusy. E poi mi sembra di ricordare che la porta fosse chiusa.”

“ Ne è sicuro?”

“ Io la bambina non l’ ho vista né sentita in quella mattina. Di questo sono sicuro.”

L’ appuntato sta verbalizzando tutto.

“ E dopo cosa avete fatto vedendo che Maria Sole non era nel suo lettino?”

“ Nulla. Io ho detto a Giusy ‘ ah, furbetta mia, tua figlia sta a casa di Lucia…. Allora vieni qua, bell’ amore mio!’ Beh, insomma io volevo tornare a letto, ma Giusy no, cominciò a respingermi. ‘ Adesso fai il bravo e te ne vai, che tengo da fare una cosa’, mi disse proprio così.”

“ E lei, Galanti, se ne andò subito?”

“ No dottoressa, mi dovevo rivestire! Ero mezzo nudo, lei capisce, vero?”

Ora il brigadiere interrompe la verbalizzazione per guardare lui e l’ espressione della Scifoni, che, spazientita, si alza e va verso la finestra. Maurizio la segue con lo sguardo.

“ Dopo essersi rivestito lei, Galanti, se ne andò finalmente?” la Scifoni si volta di scatto proprio mentre pronuncia ‘ finalmente’.

“ E certo! che ci facevo più lì?”

“ La Marconi non gli disse che cosa doveva fare?”

“ No. E nemmeno io le chiesi niente. Infondo il nostro è un rapporto chiaro. Io non c’ ho impegni con quella là… Non mi ci metto, diciamo, per fare sul serio. E’ un…”

“ Passatempo…” conclude la Scifoni.

“ Ecco. Ha detto proprio la parola giusta, dottoressa. Un passatempo… ma avrei anche di meglio…” e con queste parole la squadra dai piedi alla testa.

Si incrociano i loro sguardi.

“ Proprio un bel pezzo di donna” pensa tra sé.

“ Può andare, Galanti” il procuratore lo congeda con un tono di disprezzo, restando di spalle “ ma si tenga a disposizione.”

Maurizio si alza lanciando un’ occhiata all’ appuntato, come dire: beato te che resti con questa bella gnocca…

Ma il brigadiere, che pure ha colto il senso di quello sguardo, rimane imperturbabile.

“ Mi sembra estraneo al delitto. E’ così…” la Scifoni non conclude la frase “ Imbecille!” aggiunge il poliziotto con un tono soddisfatto “ Lo dica, pure procuratore! Mi domando come fa una donna a dargli retta… a meno che non sia una poveraccia!”

“ Ormai si è capito che è stata lei, la madre, forse sotto l’ effetto di qualche pastiglia… Abbiamo i risultati degli esami: è una cocainomane, di sicuro si era fatta. Però non è ancora chiara la dinamica dell’ accaduto. Perché la bambina era con la madre? Possibile che se la fosse portata con sé? La lasciava sempre a casa... ”

“ Dottoressa, lei crede che sia andato il Galanti a portarle la bambina? La vicina, la Lucia Malfatti, ha dichiarato che Maria Sole quella notte non era con lei a casa sua e che era quasi un mese che la bimba rimaneva a dormire da sola. Dunque non può essere stato che lui, il Galanti, a prenderla e a portarla dalla madre. Forse la bambina si era svegliata piangendo e lui che era tornato tardi dal pub, voleva dormire in pace…”

“ E’ una ricostruzione possibile, ma abbiamo bisogno di una prova per incastrare quel balordo… Possibile che nessuno lo abbia visto? E’ vero che era molto presto… L’ ora del decesso secondo la perizia legale, risalirebbe tra le tre e le quattro del mattino. E poi quando è stato consumato l’ infanticidio, il Galanti era presente? Ha aiutato, o addirittura suggerito alla Marconi quel tragico gesto? O è stato solo un raptus di una madre folle? La difesa sta già proponendo la seminfermità mentale…”

“ Veramente, se posso azzardare la mia opinione, quella lì è svampita e fuori capoccia. La droga le ha ossidato le cellule e in ogni caso deve marcire in galera per quel che ha fatto!”

“ Mi tenga informata, se ci sono novità. Oggi la dottoressa Gigli andrà in carcere dall’ imputata. Speriamo che riesca a farle dire qualcosa.”

La Scifoni prende la borsa e il fascicolo e se ne va, mentre l’ appuntato comincia a stampare il verbale con la deposizione di Maurizio.

Nell’ infermeria del carcere di Molfetta, Giusy se ne sta rannicchiata nel letto. Da sei giorni non tocca cibo. Le fanno bere un po’ d’ acqua e le hanno attaccato una flebo. Sembra incosciente.

La psichiatra che l’ ha visitata non è riuscita a farle dire una sillaba, neppure il suo nome.

Non si lava e non si pettina da quando l’ hanno arrestata. Del tutto inutili sono stati i tentativi di portarla alle docce.

In cella d’ isolamento è rimasta solo un giorno, perché da quando ha smesso di mangiare e di bere, si è temuto che si sentisse male o che commettesse qualche gesto disperato.

Se ne occupano il medico e l’ infermiera, che conosce la sorella Marisa.

Volevano chiamarla, ma Giusy si rifiuta di vedere parenti.

Neanche gli inquirenti riescono a comunicare con lei. Nessun interrogatorio ufficiale, e nessuna dichiarazione.

Eppure quel suo stato parla per lei.

“ E’ il senso di colpa” sussurra Maria Grazia, l’ infermiera. “ E’ paranoica, schizoide. Anche la psichiatra pensa si tratti di questa patologia. Lei sa, è consapevole di quello che è successo alla sua povera bambina. Altrimenti non starebbe così….”

Il medico scuote la testa.

“ Ehi Giusy,” la chiama “ C’è qui un gelato. Dai, mangialo, ti rinfrescherà… E’ all’ amarena.”

Giusy non si muove, come se non avesse sentito.

Una mezz’ ora dopo arriva la dottoressa Gigli, psicologa. E’ una donna di mezza età, non indossa il camice, ma un vestito color prugna senza maniche, un filo di rossetto sulle labbra, i capelli brizzolati corti, una collanina di perle al collo. Ha con sé una borsa di pelle azzurra. Dentro c’è un piccolo registratore: prima di avvicinarsi al letto, lei infila la mano nella borsa per accendere l’ apparecchio, quindi si siede sul letto accanto a Giusy che è rimasta immobile, rannicchiata, con le spalle alla porta.

La dottoressa appoggia la borsa sul piccolo comodino accanto al letto.

“ Ciao Giusy. Mi chiamo Stefania. Sono qui per aiutarti. Ti va di voltarti verso di me?”

Giusy resta immobile. Ha lo sguardo fisso e perso nel vuoto.

“ Va bene, se non ti va, non insisto. So che non mangi da giorni. Ti senti debole, ma non dormi molto. Forse questo letto è troppo duro… Pensavo che potevamo uscire se ti fossi sentita in forze.” Intanto la osserva per cogliere anche il più impercettibile movimento di quel corpo abbandonato sul letto. Si accorge come di un lieve sussulto. Allora continua “ Fuori non fa troppo caldo. Potremmo sdraiarci in giardino, sull’ erba, all’ ombra, così anch’ io mi riposerei un po’. Sai ho avuto una mattinata piena di impegni… Ma se non te la senti…”

Improvvisamente Giusy si volta verso di lei. La guarda.

“ Chi sei?”

“ Un’ amica di Mara.”

“ Che c’ entri tu con mia madre? Lei ora non c’è. E’ partita.”

“ Allora ti va di uscire o no?”

“ Non vedi che ho la flebo? Dì a questa” e indica l’ infermiera presente “ di staccarmela. Tanto non mi serve.”

“ Potremmo portarci il flacone in giardino, senza usare il sostegno. Lo terrò io, che ne dice?”

L’ infermiera annuisce, stacca la bottiglia dal sostegno e la consegna alla dottoressa, mentre comincia ad aiutare Giusy a scendere dal letto. Si accorgono che non ce la fa a sollevarsi e oscilla da seduta, sulla sponda del letto, con le gambe penzoloni.

“ Ti gira la testa? Aspettiamo che ti passi, non c’è fretta.”

“ No, posso uscire. Non c’è problema. Almeno fuori si respira meglio che qui.”

La psicologa e l’ infermiera si guardano: la reazione di Giusy sembra ad entrambe un buon segno, di uscita da uno stato catatonico.

Mentre la sostengono per le braccia, Giusy lentamente si muove. La Gigli prende la sua borsa: forse sta arrivando il momento importante.

Tutto quello che si diranno sarà registrato e non solo per informare il procuratore.

Giusy è una tossicodipendente e ha bisogno di essere aiutata.

Escono dalla stanza, poi attraversano il corridoio. Quando arrivano fuori, le investe un fascio di luce: c’è un sole caldo. Il pratino è poco distante. Diversa gente affolla il passaggio, ma Giusy sembra non farci caso e indica alla dottoressa il punto in cui vorrebbe sdraiarsi: è un piccolo spiazzo assolato, libero.

Arrivano e l’ infermiera che ha portato con sé la coperta, la stende sull’ erba, poi insieme alla Gigli adagiano con delicatezza Giusy. La dottoressa si siede accanto e fa cenno all’ infermiera di andare.

Ci penserà lei alla ragazza.

“ Ehi, come hai detto che ti chiami?” chiede Giusy senza guardarla “ Hai degli occhiali da sole? C’è troppa luce per guardare quelle nuvole…”

La Gigli prende dalla borsa il suo paio di occhiali e Giusy li indossa.

“ Stefania, mi chiamo Stefania” ripete “ ti piace guardare le nuvole? Oggi ce ne sono alcune… forse tra poco copriranno il sole…”

“ Sì, è vero, e io potrò vedere le ombre che si nascondono…”

“ Davvero ci riesci? Allora se vedi qualcosa, dimmelo.”

“ Perché non ti distendi anche tu e cerchi di vederle da sola? Non sarai mica come Marisa o Dario… loro non ci credono che io vedo le ombre lassù…”

“ Ah, se potessi lo farei, ma devo tenere questa flebo per te. Guarda tu e raccontami. Io ti credo, sai. Anch’ io certe volte mi metto a guardare le nuvole…”

“ E non le vedi?”

“ Cosa?”

“ Le ombre.”

“ Oh sì, qualche volta… ombre piccole piccole…”

“ E le riconosci?”

“ No, in genere no… ma sai sono miope… alla mia età ormai…”

“ Non c’ entra la miopia… e neppure l’ età. Forse non si fanno riconoscere da te.”

“ E’ possibile… Ora tu ne vedi qualcuna?”

“ Sì, ma si è messa di profilo… Aspetta che guardo meglio… Mi pare sia mia mamma… ha i capelli sciolti sì, ma non guarda in giù è di profilo e cammina… Ora ne vedo un’ altra. Questa è l’ ombra di un uomo che guarda verso di me... Non lo conosco… forse è uno della tua famiglia e ti vede da lassù.”

“ Può darsi… Peccato che non ce la faccio a mettermi giù accanto a te… Non c’è nessun altro?”

La psicologa non vuole fare il nome di Maria Sole, per non creare a Giusy un trauma improvviso.

La vede tranquilla e ha deciso di aspettare. Anche se potrebbe non parlare affatto della piccola, avere rimosso tutto.

“ Sì, ci sono altre ombre, ma non mi pare di riconoscerle. Una sta accanto a mia mamma… sembra quasi quella scema di Michela la rossa. Ma non può essere, perché mamma non la sopportava.”

“ Può darsi che abbiano fatto amicizia… Chissà.”

“ Eh, no! Spero di no. Io la odiavo, sai, era proprio… volgare. Certo anch’ io ho fatto la puttana, ma per necessità… dovevo far mangiare la mia bambi…” E si interrompe.

“ Hai detto, scusa?” interviene la Gigli “ fare la puttana per necessità è diverso che farla per fare un dispetto a qualcuno… hai ragione. Tu avevi una necessità, lo so. Lo sa anche lei…”

“ Chi?” chiede Giusy distogliendo lo sguardo dal cielo e osservando l’ espressione della psicologa.

“ La tua bambina lo sa”

“ Marisole? Come la conosci? Tu non la conosci.”

“ Invece la conosco. L’ ho vista una volta insieme a te. Voi due eravate distese su un prato, a guardare il cielo. Non vi siete accorte di me. Lei rideva e si divertiva mentre tu le dicevi… sì, ricordo, le stavi dicendo che vedevi Pegaso, il cavallo alato e lei rideva…”

A Giusy cominciano a scendere lacrime agli angoli degli occhi, sotto gli occhiali. Non parla più. Restano a lungo in silenzio, Giusy distesa e la Gigli seduta accanto a lei.

Poi Giusy riprende a parlare, quasi a se stessa “ Non smetteva di piangere quella notte. Io non ero andata a lavorare, non mi sentivo bene. Avevo sniffato un po’, ma andava sempre peggio. Avevo la nausea. Ho pensato di essere di nuovo incinta e mi sentivo disperata. Se anche questa volta resto incinta, Maurizio mi lascia… Ho già abortito cinque mesi fa… Il figlio era suo perché i clienti usano il preservativo. Lui quella volta si era già arrabbiato con me. Ma io glielo dicevo che non c’ erano problemi… infatti ho abortito senza neppure lamentarmi. Dopo nemmeno una settimana, ero già a fare marchette come sempre… Marisole piangeva. Le ho dato il biberon, le avevo anche scaldato il latte, ma lei niente, non lo voleva… Forse stava male anche lei. E io le dicevo: ‘ basta Mari, finiscila che la mamma non sta bene, dormi ora’, ma lei non si calmava. Io sentivo la testa andarmi in sballo, ho fumato una sigaretta poi l’ ho presa e sono uscita. L’ ho messa in macchina e le ho detto: andiamo a guardare il cielo. C’ era una mezza luna e un po’ di nuvole. Io lo sapevo che le ombre non le avremmo viste quella notte. Loro si fanno vedere di giorno. Di notte no, si nascondono. Marisole continuava a piangere. Ho fermato la macchina sul lungomare in un posto dove non c’ era nessuno. Non c’ era sabbia ma un pezzo di roccia dura e calda. Mi sono distesa con lei. Era piacevole. Le ho detto: ‘ adesso buona, Mari, che la mamma si fa un tiro e dormiamo qui insieme.’ Sembrava più calma. Io avevo con me una dose e me la sono tirata. Lei ha ricominciato a piangere e a me davano fastidio da morire quelle urla troppo vicine alle mie orecchie. Le dicevo: ‘ zitta Mari!’ ma lei non la smetteva e io non ce la facevo a sopportare. Basta Mari! La tua mamma sta male… Devi smetterla subito, hai capito? Poi non ricordo più, forse mi sono messa a sedere, l’ ho presa su e…”

La dottoressa le si avvicina, mette una mano sulla sua fronte che scotta, per il sole o per la febbre.

“ Sei stanca. Ora hai bisogno di dormire.”

“ Ma c’è troppo sole” risponde Giusy debolmente.

“ Ora chiudi gli occhi. Vedrai che le ombre lassù sposteranno le nuvole per coprire il sole.”

“ E la mia bambina? che fa? si è addormentata, vero?”

La Gigli la guarda, vorrebbe trasmetterle tranquillità, spesso ci riesce con i suoi pazienti.

Le nuvole oscurano il sole.

“ Avevi ragione tu, le ombre hanno coperto il sole.”

La psicologa si lascia prendere una mano da Giusy che si toglie gli occhiali, si accovaccia su un fianco come se volesse addormentarsi. Ha il viso accaldato. Chiude gli occhi e sussurra “ Sai, prima l’ ho vista la mia Mari!”

“ Ah sì? E dov’ era?” chiede la dottoressa.

Giusy le stringe la mano.

“ Era lì accanto al sole e dormiva tranquilla.”


Bianca M Sarlo 02/04/2014 14:35 2237

Opera pubblicata ai sensi della Legge 22 aprile 1941 n. 633, Capo IV, Sezione II, e sue modificazioni. Ne è vietata qualsiasi riproduzione, totale o parziale, nonché qualsiasi utilizzazione in qualunque forma, senza l'autorizzazione dell'Autore.
La riproduzione, anche parziale, senza l'autorizzazione dell'Autore è punita con le sanzioni previste dagli art. 171 e 171-ter della suddetta Legge.
I fatti ed i personaggi narrati in questa opera sono frutto di fantasia e non hanno alcuna relazione con persone o fatti reali.


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Nota dell'autore:
«La storia di Giusy, una sognatrice bambina, che vedeva le ombre tra le nuvole.»

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