Vi era entrata per caso, mentre attraversava il bosco seguendo il sentiero che portava fin sulla cima del colle. Si era allontanata dal gruppo, per cercare un po’ di solitudine e di tranquillità, stanca del vocio assordante e della concitazione che accompagnano inevitabilmente le scampagnate tra amici.
Camminava senza guardare il viottolo, con passi quasi automatici, estranei alla sua volontà, persa nei suoi pensieri, quando le si era parata dinanzi quella piccola chiesa di campagna, così serena nella sua solitudine antica, piccola e ricca di quel fascino che solo posseggono le cose umili e nello stesso tempo piene di grande fierezza.
Senza una particolare ragione, la sua mano aveva spinto il portone intarsiato con figure bibliche, appena accostato, ed era entrata.
La colpì subito, fin nel profondo dell’ anima, l’ atmosfera sacra che si respirava all’ interno della chiesetta, vuota in quel momento e silenziosa.
Si guardò intorno, a cercare presenze umane. Nessuno.
La navata era unica, con due file di banchi nudi e lineari, perfettamente allineati e rivolti verso l’ altare in pietra grezza.
Sulle pareti laterali qualche dipinto di santi, con vecchie cornici di estrema semplicità, due confessionili, l’ acquasantiera tonda, a forma di grande calice dal lungo stelo, piena di acqua benedetta.
Dal soffitto a capriata, pendevano soltanto due grandi lampadari di ferro battuto, spenti.
Le poche finestre distribuite in alto, quasi a toccare le travi del soffitto, di dimensioni piuttosto ridotte, diffondevano all’ interno una luce rarefatta, ricca di spiritualità.
Dietro l’ altare, proprio sotto il modesto rosone in vetro colorato, un Cristo crocifisso, di legno scuro, con la sua corona di spine e la fronte sanguinante, sembrava guardarla, con gli occhi colmi di doloroso amore.
“ Gesù” disse a voce alta, rivolgendosi al crocifisso, quasi parlasse con una persona viva. “ Gesù, eccomi. Tu sai ogni cosa di me, tutto il bene e tutto il male, le mie debolezze, il grande amore, i miei tradimenti e le mie angosce, le terribili ansie e le speranze, troppe volte deluse, gli sforzi per essere migliore, la consapevolezza dei miei grandi limiti. Tu conosci bene questa donna che ti sta innanzi e ti parla come se tu fossi il suo più grande amico. Tu l’ hai conosciuta bambina e fanciulla, giovane donna folle d’ amore impossibile, donna consapevole della realtà e dell’ inconsistenza dei sogni. Tu l’ hai vista aggrapparsi alla sua stessa disperazione, convincersi che fossero giuste anche le scelte più sbagliate e poi cadere e rialzarsi, caparbia, trascinarsi nella vita coi piedi lacerati e sanguinanti, le spalle stanche, ma la testa sempre alta, per orgoglio o per difesa, tu lo sai. Tu conosci la madre che ti ha bestemmiato e poi chiesto perdono, che ti ha voltato le spalle quando ha creduto che l’ avessi abbandonata e poi ti ha rincorso nel profondo del suo cuore e ritrovato e abbracciato e pregato ancora. Tu conosci bene questa continua, penosa insoddisfazione, questo non sapere mai cosa desideri veramente, dove sia l’ approdo, quale la meta, lo scopo, il frutto di ogni mio giorno. Sai anche che non temo la morte se non per la consapevolezza di dover lasciare i miei figli, ma sai anche quanto temo questo lento e inesorabile trascorrere del tempo, quanto mi addolori il pensiero che il mio corpo sta declinando piano piano, e si accavallano sull’ anima le rughe, come sulla pelle. E quanta contraddizione c’è nel mio dire tu lo sai, tu lo comprendi, tu solo. Non mi rispondi, ma so quanto mi ami e so che non mi abbandonerai mai, anche se forse dovrò ancora tanto pregarti e forse tornare a bestemmiarti e poi chiederti ancora quel perdono che tu non mi negherai. Tu sai già tutto. Perciò mi guardi con questi occhi colmi di doloroso amore. ”
Uscì dalla chiesa, richiamata dalle voci concitate della comitiva che aveva abbandonato poco prima. Sorrise a tutti e si accodò al gruppo, per la discesa a valle, col suo segreto in fondo al cuore.