Al Diana eravamo davvero in tanti ma non con tutti strinsi amicizia allo stesso modo. Con alcuni ci s’incontrava solo al bar, con altri invece ci si vedeva dappertutto. Certo è che a quel tempo Franco Pierleoni era il punto di riferimento per tutti. C’insegnò un modo di fischiare veramente originale, direi unico. Era uno schema musicale divisibile in due tempi. Con quel fischio ci si riconosceva ed era il segno distintivo d’appartenenza a quelli del Bar Diana: “fuiefufu – fufufififo!”. Ebbi modo di sperimentarlo nel tempo trovandomi anche fuori città e all’estero, se quello che scorgevi di lontano ti rispondeva allo stesso modo o completava lo schema musicale che avevi accennato, era certamente uno dei tuoi.
Franco diceva sempre che quando avrebbe compiuto 21 anni sarebbe andato a Londra dalle sorelle e poi a cercar fortuna per il mondo e così fece. Partì con Ciccio Tini e fummo sempre informati delle loro avventure da Gilberto Capelli (Netti) (1) che mantiene tuttora i contatti. Alcuni mesi fa ho incontrato Franco temporaneamente in Italia, Ci siamo scambiati un grande abbraccio, poi è tutto finito. Franco e Ciccio approdarono alle Bahama e svolsero il ruolo di croupier per qualche tempo, finché li espulsero come indesiderati.
Franco rientrò più volte a Rimini ma non riuscì mai ad inserirsi, quindi fu sempre costretto a ritornare all’avventura; l’ultimo posto dove ancora risiede è un’isola tropicale in Colombia dove gestisce un Ristorante per turisti soprattutto americani. Anche Ciccio tornò a Rimini con moglie e figli già grandicelli, ma nemmeno lui riuscì ad inserirsi e dopo aver fatto frequentare al figlio maschio la Scuola Alberghiera, che in seguito diressi, se ne tornò negli Stati Uniti, questa volta facendo fortuna col gestire alberghi. Quando sento che si dà molta importanza alle dimensioni del membro maschile mi viene sempre in mente Ciccio che non aveva certamente complessi di questo genere, pur con un pipì da bambino! Infatti, sosteneva che il vero amatore non doveva averlo né troppo grosso, né troppo lungo e quindi con questa convinzione, diametralmente opposta all’opinione comune, iniziò più di una fanciulla al sesso. Diceva sempre: “Non so perché capita sempre a me di sverginare tutte le ragazze che incontro!” Il fatto è che era maledettamente vero ciò che sosteneva …era quello che si dice un ragazzo molto intraprendente e privo d’inibizioni, contrariamente a tanti di noi, a cominciare da me!
Pier Paolo Capelli (Netti)
Ci fu un periodo durante il quale fui molto assiduo con Paolo, fratello minore di Gilberto. Andavamo a vedere i film di cappa e spada e lui simulando il fioretto col braccio teso mi ripeteva spesso: “En garde, Sir Fracassi!” ed io stavo al gioco: “En garde, Sir Netti!”. Fu lui che vuotò il sacco alla polizia quando lo fermarono alla spiaggia per lancio di palloncini pieni d’acqua al cinema Sombrero. Quella sera c’era tutta la banda pronta ad entrare a scrocco scavalcando il muretto di cinta ma quella sera, malauguratamente, il gestore aveva rinforzato la sorveglianza (proiettavano “La Tunica” in anteprima nazionale) con più maschere che giravano in lungo e in largo, acchiappando e sbattendo fuori tutti quelli che tentavano di scavalcare. Vista la mala parata a qualcuno di noi venne in mente d’andare alla vicina Sala Giochi e rifornirsi di palloncini, quelli usati per il tiro a segno. Io non fui fra quelli che li riempirono d’acqua e li tirarono in testa agli spettatori ma ero lì con tutti loro, una quindicina forse. Dopo il lancio scappammo, ci rincorsero, avendo nel frattempo allertato la polizia. Netti ebbe la splendida idea di correre in spiaggia, mentre tutti gli altri, me compreso, ci confondemmo fra la folla. Lo presero subito, lo portarono al commissariato, gli chiesero le generalità e lo invitarono a tornare il giorno seguente per la deposizione. C’incontrammo la sera al Bar e chiedemmo com’era andata, lui disse: “Benissimo, sono stati gentili, hanno capito che si trattava di uno scherzo e mi hanno detto che i ragazzi hanno il diritto di divertirsi” ma qualcuno, temendo il peggio, gli chiese: ”Non avrai mica fatto i nostri nomi?” “No, solo alcuni” - rispose Netti - “Di chi?” - chiedemmo tutti - “Ma così… - soggiunse - ho detto che c’era Umberto Gemmani detto Iaia, Tito Livio Ricci, Paolo Frisoni, Carlino (io) e Pierulo”(Luigino Serpieri). La frittata era fatta, andarono tutti in tribunale, tranne me e Pierulo. All’udienza il cancelliere lesse il capo d’imputazione ed i nomi degli imputati: ”Pier Paolo Capelli, detto Netti, Umberto Gemmani, detto Iaia, Tito Livio Ricci, Paolo Frisoni e i contumaci, non meglio identificati, Pirulo o Pierulo e Carlino”. Iaia, l’unico che aveva compiuto i 18 anni, fu assolto per insufficienza di prove, per tutti gli altri il perdono giudiziale.
Paolo Frisoni fu l’amico per alcune estati. Di bell’aspetto e dalla battuta pronta aveva tutte le carte in regola per piacere alle donne. Ricordo un’estate quando vidi, di sera lungo il viale Principe Amedeo, una ragazza bellissima, unico neo faceva la prostituta ma quella ragazza mi piaceva moltissimo e non riuscivo a staccarmi dal viale, la salutavo, lei contraccambiava sorridendo. Ne parlai con Paolo che a quel tempo faceva il rappresentante di attrezzature da spiaggia e aveva un’auto furgonata. L’abbordammo, fraternizzammo immediatamente e a fine lavoro salì in macchina; oltre a noi tre c’erano anche Roberto Bonini e Tino Mandolesi. Paolo per districarsi dal traffico fece un sorpasso azzardato a tutto gas ma riuscitissimo, lei rimase folgorata, disse subito ch’era un dio e s’innamorò. Tutti i miei sogni si erano di colpo infranti ma rimaneva l’attrazione e il desiderio. Andammo a San Marino, Paolo e la ragazza erano sui sedili anteriori, noi tre dietro. Lungo il tragitto lei si spogliò nuda e cominciò ad armeggiare nei pantaloni di Paolo che fingeva indifferenza, mentre noi dietro stavamo sbavando. Ci fermarono i carabinieri per un accertamento, quando lei si era appena rivestita. Controllati i documenti e vedendo la ragazza ci congedarono con un complice sorriso. Arrivammo fino in cima ad una delle rocche, al seguito due bottiglie di spumante che scolammo. Era tanta l’euforia che lanciai nel vuoto un paio di 33 giri gridando: “I dischi volanti, i dischi volanti!”. Tornammo verso Rimini e i due s’appartarono. Poi Paolo ci raggiunse e ci mise al corrente che la ragazza si era innamorata e che voleva fare all’amore solo con lui. Rimasi di merda e diedi in escandescenze risalendo in macchina. Per tutta risposta ottenni il risultato che lei disse che avrebbe fatto all’amore anche con Roberto e Tino ma non con me. Le risposi che anch’io non la desideravo più, dicendole parole velenose che la fecero piangere. Poi, grazie all’intervento di Paolo, la ragazza mi fece uscire dall’auto con la scusa di aiutarla a trovare una scarpa che aveva perso sul prato e mentre tutti cercavamo, improvvisamente rimanemmo soli a vis a vis. Feci all’amore con rabbia e rassegnazione. I nostri incontri andarono avanti per una decina di giorni, eravamo diventati amici, le tenevamo compagnia dopo il lavoro e lei ci pagava il Ristorante. Una sera disse d’esser stanca e felice, aveva guadagnato 64.000 lire, pari a trentadue assalti. Ci raccontò la sua storia, disse d’essere figlia del Commissario di polizia di Genova ed esser scappata da casa a causa del padre manesco. Quella storia era indubbiamente inventata ma di problemi ne aveva un mare e una notte si sfogò, chiedendo a Paolo se voleva diventare il suo uomo. Paolo rifiutò. L’ultima volta che c’incontrammo fu a Covignano per una merenda nella villa di Pierulo. Dopo aver fatto all’amore con Paolo, venne il turno di Pierulo che non ne fece nulla adducendo che gli piacevano le comodità e non l’erba del prato. Poi venne il mio turno ma anch’io non ne feci nulla perché, nonostante che il desiderio e le pulsioni fossero forti, i miei complessi cominciavano ad attanagliarmi la mente, non volevo una donna che fosse di tutti e nemmeno innamorata. Con Paolo in quelle estati incontrammo altre ragazze, ma mentre lui collezionava successi, io un fiasco dietro l’altro; e questo mi capitò anche quand’ero in compagnia d’altri amici, acuendo i miei complessi, la mia insicurezza. Solo molto più tardi, da adulto, capii che non ero da branco come tutti gli altri che s’esaltavano l’un l’altro, ma ero un’aquila solitaria. Inoltre, ho sempre idealizzato troppo l’amore e non sono mai riuscito a disgiungerlo dalle esigenze del sesso che sono ben altre.
Nota
(1) Gilberto Capelli (Netti), maggiore di Paolo e dal portamento assai distinto, non faceva parte della nostra compagnia per il semplice fatto ch’era più grandicello di noi e già frequentava l’Embassy con tanto di blazer e foulard, ma era pur sempre della nostra “stessa razza”. Ricordo che un giorno ebbe una discussione con un tedesco, fidanzato della ragazza che stava corteggiando in spiaggia. Questi lo sfidò e nonostante l’aver bicipiti enormi e una schiena palestrata che sembrava un armadio, si prese da Gilberto un bel po’ di pugni sul muso, finché un gruppo d’adulti s’interpose facendoli smettere. Gilberto, dunque, era bello, distinto, elegante, deciso e con una “castagna” che faceva male. Dico era, perché al servizio militare, svolto in Marina, rimase contaminato in un laboratorio e progressivamente perse la vista fino a rimaner completamente cieco.