Giuseppe Cicala, noto reporter freelance milanese, rimase colpito da un trafiletto, apparso su un quotidiano nazionale, che riportava la notizia che alle esequie di un certo “Maurizio Zèffiro” non c’ era nessuno, neanche il prete del paese che si era addirittura rifiutato di celebrare il funerale.
La notizia lo incuriosì a tal punto che volle andare personalmente ad Amardolce, nonostante gli innumerevoli impegni editoriali, per scrivere la singolare storia di questo illustre sconosciuto.
La notizia dell’ arrivo dell’avvoltoio, come lo chiamavano i suoi colleghi di lavoro, fece il giro del paese, in un batter d’ occhio, e Giuseppe Cicala si rese subito conto che, data la sua lunga esperienza giornalistica, nessuno sarebbe stato disposto a rispondere alle sue domande.
La diffidenza che serpeggiava negli occhi degli abitanti amardolcesi, lo demoralizzò a tal punto che, per la prima volta nella vita, fu tentato di arrendersi, di chiamare un taxi e prendere il primo volo per Milano.
Era come se improvvisamente una fitta nebbia omertosa fosse calata dal cielo e avesse avvolto la mente di tutti gli abitanti del paese, impedendo loro di narrare quella triste vicenda, che sarebbe dovuta rimanere un segreto, se quel maledetto reporter freelance, con la sua presenza al paese, non avesse amplificato la portata dell’ evento.
Giuseppe Cicala girovagò, senza meta, per il centro storico di quel ridente paesello di montagna fino al momento in cui una donna vestita di nero non attirò la sua attenzione, facendogli dei segni strani.
“Se vuole conoscere la vera storia di Maurizio Zèffiro, dovrebbe recarsi al cimitero e parlare con Giuliano, il custode!”, gli disse la donna tenendosi a debita distanza.
Giuseppe Cicala si recò al cimitero e cercò Giuliano.
Lo vide che stava scavando una fossa e, non dovette fare nessuno sforzo per individuarlo perché, appena il becchino si rese conto della presenza del forestiero, si levò il berretto, si asciugò scrupolosamente la fronte raggrinzita con un enorme fazzoletto a quadretti e gli disse:
“ Scommetto che lei vuole parlare con me, signore! Ne avrò almeno per un’ oretta, nel frattempo, può farsi un giro per il camposanto!”
Il giornalista era intenzionato a decriptare la mentalità di quel misterioso paese, attraverso le foto sbiadite che ornavano le numerose tombe, ma il ritratto di una bambina, che indossava ancora l’ abito della prima comunione, e appiccicata con del nastro adesivo sulla piccola bara bianca, appoggiata sull’ orlo della fossa, attirò la sua attenzione.
“Si chiamava Maria ed è morta di tisi la settimana scorsa! Ho dovuto aspettare che il Medico Legale le facesse l’ autopsia, prima di seppellirla. È una sua parente, per caso?”, gli disse l’ uomo porgendogli la mano ancora sporca di terra.
Giuseppe Cicala si rese conto che il suo alito puzzava d’ alcool.
“Sono appena tornato dagli Stati Uniti d’ America…”, rispose il giornalista, mentendo spudoratamente.
“Sono stato io ad accorgermene. Stavo per saldare la bara in alluminio quando ho sollevato il coperchio per vederla per l’ ultima volta. Di solito non lo faccio mai, ma l’ avevo vista nascere ed era l’ amica del cuore di mia nipote”.
Il viso del becchino era diventato mortalmente pallido.
“Per fortuna che c’ erano le telecamere di sorveglianza, ai cancelli del cimitero, sennò potevano pensare che fossi stato io a compiere tale atrocità. I Carabinieri hanno scoperto, guardando i filmati, che era stato Maurizio Zèffiro a introdursi di notte nella camera mortuaria. Lo conoscevano tutti al paese e nessuno avrebbe mai sospettato che fosse un necrofilo. Si è impiccato prima che i Carabinieri lo arrestassero. Al suo funerale, non c’ era nessuno. Neanche Don Nicola ha voluto celebrare la messa.”
Giuseppe Cicala sentì dei conati di vomito ostruirgli la gola e si fece scuro in volto, assumendo un colore bluastro.
Era venuto a conoscenza della storia inenarrabile di Maurizio Zèffiro, ma era così sconvolto dal racconto esposto dal becchino che il giornalista si era eclissato nella notte, senza neppure salutarlo.
Il reporter freelance decise che non avrebbe mai pubblicato quest’ orribile storia, anche se ne avrebbe ricavato un lauto guadagno, soprattutto per rendere omaggio alla memoria di una bambina di dieci anni, che era stata violentata da un sudicio e lurido necrofilo, all’ interno di una piccola bara bianca.