Il numero 14 era il suo incubo. Ogni mattina, infatti, Daniele Imbratta non riusciva mai a prenderlo e arrivava al lavoro sempre in ritardo. Prendeva il 27 che passava alla stessa fermata subito dopo, ma non era uguale. E dire che aveva tentato tante volte di acciuffare quel numero 14 ma non c’ era mai riuscito. Di solito arrivava alla fermata qualche attimo dopo che quello era ripartito. In qualche caso era riuscito perfino a vederlo, placido vascello che ripartiva nel mare di asfalto cittadino, con lui che fermandosi ansante dopo l’ennesima folle corsa, lo seguiva con lo sguardo come un ebete. Però il suo capo si era stancato di questi suoi ritardi e aveva minacciato di licenziarlo.
“O arrivi puntuale oppure te ne vai” -gli aveva urlato quello il giorno prima.
Per questo adesso Daniele stava correndo come un pazzo dentro il suo bilocale pur di riuscire ad acchiapparlo. La sera prima era andato a letto presto, non prima però di aver steso un preciso piano di battaglia per l’indomani mattina. E tale piano prevedeva che ogni sua incombenza mattutina si svolgesse in un lasso di tempo ben preciso. Aveva quindi predisposto un cronometro, che fin dalle prime luci dell’alba del giorno seguente avrebbe stabilito in maniera impeccabile la durata di ogni sua azione. Dopo di ché si era coricato fra le lenzuola addirittura già vestito, pur di non perdere tempo. Ora, sotto l’occhio spietato delle lancette di quella clessidra elettronica di precisione, pareva proprio che i tempi previsti per uscire di casa alle 7 venissero rispettati. Dopo una notte insonne dedicata al numero 14, Daniele si era alzato alle 6, e aveva impiegato esattamente due minuti per fare pipì, ventisei minuti per la colazione, venti minuti per lavarsi la faccia, i denti, radersi e pettinarsi. Infine altri due minuti se ne erano andati per sistemarsi la cravatta color kiwi, tre per mettersi le scarpe cinesi e cinque per cambiare l’acqua al pesce rosso. Alle 7 meno 2 era fuori dal suo bilocale. Preso l’ascensore, alle 7 in punto si trovava sulla via cittadina che lo avrebbe portato al trionfo. Era in perfetto orario e aveva ancora dieci minuti. Affrettò il passo Daniele, con una gioia che cresceva di pari passo con la conquista del suo obiettivo.
Finalmente sarebbe riuscito ad arrivare puntuale e non sarebbe stato licenziato. Quando mancavano però soltanto pochi passi alla fermata, si accorse che qualcosa non andava.
Una calma irreale, infatti, lo circondava a quell’ora e non si vedeva in giro anima viva.
Era molto strano -si disse Daniele guardandosi intorno. Era davvero curioso che alle 7 e 10 del mattino non ci fosse nessuno lì accanto a lui.
Dove erano finiti tutti? Che quello fosse un giorno di festa? -si chiese un attimo dopo.
Allora si mise a pensare, e ripercorse mentalmente l’intero mese. Dunque eravamo a luglio e non esisteva alcuna particolare festività. No, non era questa la ragione di tanta desolazione.
Che fosse accaduta una disgrazia? -si domandò il ragioniere Imbratta un secondo dopo, non smettendo di scrutare la strada deserta.
Ripensò alle notizie del televideo che aveva letto poco prima, e non vi trovò alcuna news di particolare rilevanza. Allora?
Cercò comunque di scacciare subito quelle domande e di concentrarsi invece sul suo successo; in fondo era la prima volta che otteneva un risultato simile. In ragione di ciò quando arrivò il 14 lui era al settimo cielo, con un sorriso idiota che illuminava il suo viso già sudato a quell’ora per il caldo. Perciò Daniele si mise a cantare, e si sedette in fondo all’autobus. Adesso era tranquillo, sereno e poteva rilassarsi. Non era come quando andava di solito al lavoro, sul 27, con il cuore in gola sapendo fin dall’inizio di quel sofferto tragitto di arrivare in ritardo. Decise che da quel giorno si sarebbe comportato sempre in questo modo, pur di arrivare puntuale. Se poi l’autobus si ostinava a procedere così spedito, visto che non c’era una macchina in giro, sarebbe addirittura arrivato in anticipo. In anticipo.
Perché questa volta Daniele era stato perfetto. Alle 8 arrivò nei pressi della sua azienda. In preda ormai a una feroce soddisfazione scese dall’autobus, e si diresse lentamente nel suo ufficio. Anche qui non c’era nessuno, e nessuno trovò nemmeno dentro. Eppure lui era in perfetto orario ed era sicuro che quello non fosse un giorno festivo. Non c’erano particolari feste religiose o di altra natura a luglio, non c’erano mai state. Eppure…
Ebbe un sospetto. Preso dall’ansia andò alla ricerca di un calendario e si concentrò sul mese in corso. No, non si era sbagliato: non vi erano festività speciali. Tuttavia quel 18 luglio era segnato in rosso. Come mai?
Il suo dramma si materializzò soltanto dopo alcuni minuti, e la colpa fu di quella gioia assoluta che si era impossessata di lui fin da quando aveva preso il 14, e che non gli aveva fatto capire più niente. Daniele cadde in ginocchio disperato, rompendosi il cavallo dei calzoni e si mise a piangere. Aveva fallito e tutti i suoi sforzi non erano serviti. E la ragione di ciò si trovava proprio in quella data: domenica 18 luglio.
Domenica.
Se ne andò avvilito più che mai, con i calzoni strappati in maniera oscena e si recò alla fermata per tornare a casa.
Qui c’era il 27 che lo aspettava.