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La casetta di legno

Comicità e Satira

Enrico Strimilzi di anni 38, parcheggiatore abusivo quando andava bene, era anche uno scrittore. Veramente sarebbe più corretto affermare che gli sarebbe piaciuto essere uno scrittore, visto che non aveva ancora pubblicato nulla e che per giunta si era arenato da due mesi sull’episodio contenuto nel decimo capitolo di quel suo romanzo d’avventura, che stava scrivendo da tutta una vita. D’accordo che questo era il momento decisivo nello svolgimento narrativo dell’intera vicenda, ma restare bloccati per così lungo tempo, non sapendo che fine far fare a uno dei personaggi (peraltro secondari) rimasto intrappolato fra i tentacoli di un calamaro gigante sembrava onestamente eccessivo. E che questo intoppo fosse esagerato, fuori luogo era chiaro perfino allo stesso Strimilzi, che tuttavia si dimostrava impotente e non sapeva che pesci pigliare.

“La colpa è di quei dannati uccellacci che cinguettano là fuori tutto il giorno” -aveva detto lui una volta a sua moglie ma quella, fervente animalista aveva subito preso le difese delle bestiole e non aveva voluto sentir ragione.

“Lascia stare quegli innocenti passerotti e quello stupendo pettirosso, loro non c’entrano con i tuoi problemi. Sei tu che vuoi giocare a fare lo scrittore” -gli aveva replicato acida.

Enrico allora aveva alzato le sue spalle ossute, le aveva girato la schiena ed era ritornato nella stanzetta del computer a meditare su quel benedetto episodio. Forse però aveva ragione sua moglie e lui stava veramente giocando a un gioco più grande di lui.

Ma cosa diavolo gli era venuto in mente di fare?

Enrico fu in quel momento veramente vicinissimo ad abbandonare tutto, ma poi gli venne nuovamente in mente la vecchia zia Grumilda a cui aveva tante volte letto quei nove precedenti capitoli, e che lo incitava continuamente a terminare questa sua fatica letteraria. Vero era che la povera donna era un po’ ritardata, sorda e assai poco acculturata, e non rappresentava certo un valido termine di paragone, tuttavia ciò non gli importava anche perché restava il fatto oggettivo, inequivocabile, che la prima e unica persona che si era presa la briga (oltre naturalmente a lui) di leggere quelle numerose pagine che erano state scritte dalla sua mano in tanti anni ne era rimasta entusiasta.

In fondo -stava meditando Enrico- non si poteva certamente andare troppo per il sottile quando c’era di mezzo l’arte e certi “distinguo” lasciavano il tempo che trovavano.

Perciò il parcheggiatore abusivo cercò di risolvere una buona volta quel decimo capitolo ma a quel punto, proprio mentre l’idea risolutiva iniziava a far capolino nella sua mente, ecco che si ripresentò in tutta la sua devastante forza dirompente il solito cinguettio dei soliti volatili.

L’uomo si alzò di scatto dalla sedia di plastica, aprì la finestra e gridò a quei pennuti di andare a prenderlo in quel posto. Quelli in ogni caso facendo finta di niente, continuavano nel loro abituale concerto e anzi più lui alzava la voce e il tenore degli insulti, più loro cinguettavano allegramente. Inoltre come se non bastasse, Enrico aveva come l’impressione che quei dannati uccelli negli ultimi tempi fossero perfino aumentati. Fino a due mesi prima, infatti, quegli scocciatori alati non erano più di dieci o dodici e se ne stavano appollaiati su di un unico albero, posto di fronte alla sua finestra. Adesso invece Enrico era certo che quelli fossero diventati almeno una ventina e che gli alberi da loro “conquistati” in quella sorta di guerra personale che si era creata fra lui e loro, non ammontassero a uno solo bensì a tre. Del resto i suoi occhi non mentivano ed era evidente che quelli oltre al già citato albero di fronte, se ne stavano ora tranquillamente in panciolle anche su quegli altri due che erano poco spostati sulla destra, rispetto alla sua finestra. E se precedentemente questi pennuti avevano prodotto dei semplici rumori che avevano distolto l’artista dalla sua creazione, negli ultimi giorni invece la situazione si era fatta ben più drammatica e quei suoni, quei cinguettii insulsi si erano di colpo trasformati in un autentico frastuono assordante.

Per tutti questi buoni motivi Enrico uscì di casa quel giorno impugnando una bella ramazza e cercò in ogni modo di darla in testa a quei volatili ma, come è facile immaginare, non ne riuscì a colpire nemmeno uno e si attirò per giunta le ire della moglie ecologista. Per consolarsi allora si recò dalla zia Grumilda la quale in quella circostanza, vedendo il suo beneamato nipote veramente giù di corda, oltre ai soliti incitamenti, decise di rinvigorirne il morale regalandogli una bella casetta di legno. Si trattava di una piccola struttura alta circa un metro e larga altrettanto, con i muri verdi e con il tetto marrone, che presentava inoltre ben quattro grandi terrazzini, posti ognuno in uno dei quattro lati che la formavano. Sembrava la casa dei puffi ed Enrico ricevendola, non sapeva davvero cosa farci ma non lo disse alla zia Grumilda per non offenderla. Si prese dunque la casetta, ringraziò, la salutò e se ne tornò a casa sua. Una volta arrivato preparò la cena, non prima nondimeno di aver riposto la casetta nella stanza del computer, e di aver imprecato contro quegli uccellacci là fuori che non la smettevano mai. In questo modo diviso fra le sue velleità artistiche, il suo lavoro di abusivo e i fastidiosi cinguetti degli odiati volatili, Enrico Striminzi andò avanti per un bel pezzo.

Un giorno però, mentre stava fissando un grosso buco sul muro ebbe finalmente la sua ispirazione decisiva. Essa fu improvvisa, e gli giunse dopo aver pensato a lungo alla sua casetta dei puffi, che da diverso tempo faceva bella mostra di sé accanto al Pc.

E il bello fu che questa idea risolutrice non riguardava il suo romanzo, bensì il modo di liberarsi di quelle dannate bestiacce là fuori. Una volta dipanato per bene il suo piano, Enrico decise dunque di passare all’azione. Acquistò una certa quantità di mangime per uccelli, dei vermi vivi e dei chicchi di grano con cui riempì i quattro terrazzini della sua casetta di legno, dopodiché la issò su di un grosso ramo dell’albero posto di fronte alla sua finestra. I pennuti che durante tutta quella operazione se ne erano volati via, ritornarono dopo pochi istanti e sembrarono apprezzare quella novità. Ma dopo essersi saziati si rimisero puntualmente a cinguettare. Questo fatto non indispettì stranamente il parcheggiatore abusivo, che anzi con un ghigno di soddisfazione gridò a quelli in tono di sfida: “Meglio così, in questo modo sarà ancora più piacevole togliervi di mezzo”.

Detto questo uscì e tornò dalla zia Grumilda per andare a prendere un vecchio arnese che gli serviva per il suo scopo.

“Ma a che ti serve questo?” -gli domandò la vecchia ritardata.

“Voglio appenderlo sul muro come ricordo” -gridò Enrico.

“Non è che con questo ci vuoi ammazzare tua moglie?” -gli obiettò l’ anziana fra lo scherzoso e il serio.

“No, no, non ti preoccupare zia, è per ricordare lo zio Grumildo.”

“Eh?” -gli richiese la sorda

Questa volta l’uomo non aveva gridato abbastanza.

“Lascia perdere e non stare a pensarci” -tagliò corto Enrico e se ne andò.

Dopo essere arrivato a casa, l’uomo ricevette perfino i complimenti di sua moglie per quella casetta che sfamava quei piccoli esserini.

“Bravo, questa volta sei stato davvero bravo” -gli sussurrò sua moglie baciandolo teneramente.

Enrico non disse nulla ma sgattaiolò immediatamente nella piccola stanza del computer, e qui ripose il suo arnese che fortunatamente non era stato visto dalla donna. Il giorno seguente mentre lei era fuori, l’uomo spalancò la finestra, attese che gli odiati pennuti ritornassero lì per banchettare come di consueto, e a quel punto tirò fuori quella misteriosa cosa che aveva preso dalla zia Grumilda. Essa altro non era che un vecchio trombone di sessanta anni prima, unico ricordo dello zio Grumildo disperso in Abissinia. Enrico lo pulì bene, lo caricò e prese la mira ma si accorse che gli uccellini erano stranamente pochi. Allora uscì per andare a vedere, e si accorse che quelli si erano già mangiati quasi tutto il giorno prima.

Ecco perché ancora non vengono in massa -meditò l’uomo e detto questo non si perse d’animo e provvide a riempire di nuovo tutti quei quattro terrazzini della casetta con ogni ben di Dio. Poi rientrò in casa, riprese la mira con il suo vecchio fucile e aspettò.

Dopo pochi minuti ecco giungere di nuovo i pennuti: prima due, poi tre, quattro, dieci, dodici fino ad arrivare ai soliti venti.

“Adesso vi ho in pugno” -sentenziò a bassa voce Enrico.

Ma non fece fuoco subito. Prima se ne rimase per un buon quarto d’ora a contemplarli, a osservarli nelle loro ultime azioni terrene. In fin dei conti erano pure graziosi quelli, con le loro zampettine e con i loro beccucci, per non parlare poi del pettirosso dai colori sgargianti…..

“BANG!”

Il vecchio trombone non deluse le sue attese e colpì in pieno quella massa di penne e piume.

Dopo la prima scarica Enrico ricaricò il fucile quindi sparò di nuovo sui feriti; fu una autentica strage e tutti e venti i pennuti passarono a miglior vita. Dopo aver contemplato soddisfatto quella mattanza, l’uomo uscì di casa, prese quei venti cadaveri e li buttò dentro a un sacchetto della spazzatura che in seguito fece sparire. Alla fine ce l’aveva fatta e si era liberato di loro.

La sera la moglie sembrò non notare in un primo momento l’assenza del solito frastuono, ma poi a un tratto gli chiese: “Non trovi strano anche tu che questa sera non si sentano fuori gli uccellini cinguettare?”

“Beh, forse se ne sono andati da qualche altra parte” -fece lui cercando di apparire il più disinvolto possibile.

“Che ingrati! E pensare che tu gli avevi perfino costruito quella mangiatoia così carina.”

“Già” -fece lo scrittore fingendosi amareggiato.

“Forse avevi ragione dopo tutto e quelle non erano altro che delle bestiacce insolenti.”

“Lasciamo perdere e non pensiamoci più” -replicò Enrico e si diresse verso il suo Pc.

“Dove vai caro?”

“Finalmente amore mio torno a scrivere in santa pace” -le rispose lui con evidente soddisfazione.

“Sempre con la testa fra le nuvole tu” -protestò la donna ma l’uomo fece finta di non sentirla.

In questo modo Enrico Striminzi riuscì a terminare il suo romanzo d’avventura, e da parcheggiatore abusivo divenne nel giro di poco tempo uno dei più famosi e acclamati scrittori contemporanei.

Tre anni dopo, infine, vinse addirittura il premio Strega con il suo terzo romanzo dal titolo significativo: “Il sacrificio di venti pennuti innocenti”.

Perché così va il mondo.

Mio Miao 09/12/2010 19:20 1086

Opera pubblicata ai sensi della Legge 22 aprile 1941 n. 633, Capo IV, Sezione II, e sue modificazioni. Ne è vietata qualsiasi riproduzione, totale o parziale, nonché qualsiasi utilizzazione in qualunque forma, senza l'autorizzazione dell'Autore.
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I fatti ed i personaggi narrati in questa opera sono frutto di fantasia e non hanno alcuna relazione con persone o fatti reali.


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