Dopo vari giorni che provavamo a convincerlo inutilmente, alla fine decidemmo di chiedere l'aiuto del suo carissimo amico Antonio, e così dopo tante insistenze accompagnato dall'amico riuscimmo a partire.
L'amico rimase con noi una settimana, Paolo e l'amico quella settimana si divertirono parecchio, se ne stavano in giro per la città, era come una vacanza, un po' inconsueta ma serena, andammo anche una giornata intera a gardaland, erano euforici, io lo vedevo allegro e sorridente, voleva provare tutti i giochi... chissà se forse per un attimo non pensò alla sua malattia... per un po' volevo credere che lui vivesse una giornata allegra e normale
La sera andavamo in un self service, quanto gli piaceva riempirsi il piatto di tutte quelle pietanze
che puntualmente non mangiava... al rientro poi a giocare a carte sul letto tutti e 4...
Ma Antonio dovette rientrare in paese, doveva finire l'anno scolastico, ed io rimasi sola con Paolo, soli lontano da tutti, dalla famiglia dai miei figli, la solitudine e il dolore rimasero con me.
Il mio posto era accanto a lui, lui era quello che aveva più bisogno di me in quel momento e io volevo stare li.
Conobbi Alessandro, un frate di Ossi che viveva e studiava presso i frati minori a Padova, per me fu un sollievo avere una persona amica, si prestò molto ad aiutarci, ci accolsero nel convento e ci diedero una stanza.
Il convento distava poco dall'ospedale e tutti i frati che vivevano lì ci facevano compagnia, giocavano anche con la playstation con lui, e Paolo gradiva molto la loro complicità.
La mattina ci recavamo all'ospedale per la radioterapia, ma stava male dopo ogni seduta, vomitava tanto e dopo un paio di sedute iniziò a rifiutarsi di fare le terapie. si chiuse a riccio, mi disse che tanto era inutile, che non sarebbe servito a niente continuare, voleva tornare a casa, ero distrutta e chiesi l'aiuto dei medici che lo seguivano, lui se ne stava senza parlare sdraiato nel letto, senza voler mangiare ne bere, si stava lasciando morire ed io non sapevo che fare, a che santo rivolgermi.
Mi rivolsi anche ad un bravo psichiatra che ci avevano consigliato all'ospedale, per diversi giorni parlò con lui ma non risolvemmo niente, lui era irremovibile, e il medico ci disse che non potevamo obbligarlo .
Paolo ci disse che solo lui poteva decidere sulla sua vita, nessuno di noi poteva obbligarlo e forse aveva ragione, ma io non potevo stare a guardare mentre si lasciava morire, io dovevo fare qualcosa, ancora oggi mi chiedo se feci bene ad abbligarlo, e mi facevo aiutare dai frati, lo prendevamo quasi di peso per portarlo all'ospedale, e così si rifiutò anche di alzarsi dal letto, si stava lasciando morire ed io non potevo assistere impassibile a tutto ciò. Non mi parlava più, se ne stava con gli occhi chiusi, immobile, io cercai in tutti i modi di tirarlo fuori dall'abisso in cui stava precipitando ma non ci riuscivo.
Forse sbagliavo, ma io volevo che si curasse, stavo violando la sua volontà, non avevo il diritto di obbligarlo, eppure lo feci. Se lui non voleva lottare per la sua vita, allora sarei stata io a farlo per lui, a qualsiasi costo, lui doveva vivere, era la mia vita lo amavo così tanto che mi straziava il cuore vederlo così.
Perchè il destino è così crudele, si era accanito con lui, non lo lasciava in pace, tutto quel dolore, quella sofferenza, era insopportabile.
Chiesi anche l'aiuto a casa, e così vennero il padre la zia e un suo amico, speravamo di farlo ragionare, ma lui non voleva neanche affrontare l'argomento, voleva soltanto ritornare a casa.
I giorni passavano e il rischio che correva era grande, allora decidemmo per un ricovero coatto, fu orribile ciò che feci ma io ero disperata.
Fu ricoverato in un reparto di pediatria oncologica, un reparto così triste non lo avevo mai visto, tutti quei bambini sofferenti, quante mamme disperate come me, ci davamo conforto a vicenda, uscivamo fuori delle stanze per darci coraggio, per sfogare il nostro dolore di nascosto ai nostri figli.
Erano così fragili, eppure così forti nell'affrontare le avversità della vita.
Paolo si arrabbiò molto con me per quello che feci, non mi parlava più, io gli stavo vicina in silenzio sperando che gli passasse la rabbia, non mangiava quasi niente, ma poi finalmente si convinse a continuare la radioterapia, e così tutte le mattine la dottoressa lo accompagnava in un altro ospedale.
Dopo poche sedute però convinse i medici a dimetterlo promettendo che si sarebbe recato da solo a fare le terapie e fu ancora un errore, infatti il giorno dopo Paolo non ci andò e si rifiutò per l'ennesima volta, il medico si rese conto che Paolo di sua volontà non avrebbe mai fatto la radio e allora si decise per un'altro ricovero.
Noi mamme ci ritrovavamo a parlare dei nostri problemi, della speranza di uscire da quell'incubo, affrontavamo una prova assai difficile ma con tanto coraggio, la speranza di uscirne fuori, ma il nostro futuro ci appariva così incerto... chissà se un giorno ne saremmo uscite, se avremmo riavuto la nostra vita, ma sapevamo benissimo che niente sarebbe stato come prima, eppure ogni giorno che passa è una conquista, darei la mia vita per fermare questo male.
Il reparto è funzionale, è chiamato la città della speranza, le pareti sono colorate, c'è anche la stanza per i giochi, la stanza per la scuola, i medici sono tutti bravi ma Paolo non vuole vedere nessuno, non parla con gli altri ragazzi, rimane sempre nel suo letto, si alza solo per andare in bagno, mangia nel suo letto, si sta lasciando morire o forse dentro è già morto, sono morta anche io ma cerco di farmi forza, non posso permettermi di cedere... che ne sarà di noi?
Io stò sempre in stanza con lui, esco solo per comprare da mangiare, quello che passa l'ospedale non lo gradisce, nella sua stanza c'è una ragazzina di nome Angelica, anche lei molto triste, già sottoposta a trapianto, fanno subito amicizia e iniziano a parlare e a scherzare a volte ridono anche guardando dei film comici... io osservo
Che vita è questa?
Questa è una non morte,è una parvenza di vita, vivi ma sei morto, ti guardi intorno e vedi solo sofferenza, e penso che hanno fatto di male questi poveri ragazzi per dover sopportare tutto questo?
Lo so non c'è una ragione, la vita a volte è molto crudele e ci riserva soltanto dolore.
Passano i giorni ed io mi sento sempre più vuota, piango e prego da sola in silenzio, ma Dio non mi ascolta, non sente le preghiere di madre disperata, non mi concede la sua grazia, o forse sono io che non so pregare.
Il 30 Giugno è l'ultima seduta di radioterapia, si fa dimettere lo stesso giorno, vuole scappare da lì, faccio i biglietti e rientriamo a casa, senza voltarci indietro scappiamo via da tutto quel dolore anche se sappiamo benissimo che il dolore non ce lo potremo scrollare di dosso, ce lo porteremo dentro.
Qualcosa si era spezzato, non saremmo più stati quelli di un tempo. I parenti lo coccolavano lo viziavano, gli compravano tutto ciò che desiderava, ogni suo desiderio per noi era dovuto, ma non potevamo dargli la cosa più importante per lui... la salute.
Gli comprai un computer nuovo, gli mancava la scuola, gli amici gli erano molto vicini, venivano sempre a trovarlo anche se lui spesso si chiudeva in se stesso e li trattava male. Non usciva quasi mai, se ne stava tappato in casa, se la prendeva contro il drenaggio, non lo voleva, diceva sempre: io questo tubo non lo voglio! Me lo faccio togliere!
E così tra alti e bassi arrivò settembre, telefonammo all'oncologa per sapere se Paolo poteva seguire il protocollo terapeutico a Sassari viste le difficoltà che avevamo avuto a Padova, in un primo momento ci disse di sì, ma poi quando dall'oncologia di Sassari cercarono di mettersi in contatto con lei ebbero moltissimi problemi, non si riusciva a comunicare, non glielo perdonerò mai, dopo varie insistenze una sua assistente ci mandò il protocollo, Paolo doveva sottoporsi ad altri 4 cicli di chemio, e a Settembre iniziò il primo ciclo.
I medici del reparto oncologico di Sassari furono molto disponibili, per andare incontro al suo volere, gli fecero fare le terapie in day hospital, la sera appena finiva tornavamo a casa.