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Io e mio figlio gioia e dolore (5

Biografie e Diari

Venne a casa Antonio, il suo più caro amico ci aveva accompagnato a Padova quando Paolo si rifiutava di partire per la radioterapia, gli diede in regalo uno stereo e gli raccontò che aveva vinto un premio come ragazzo più buono d'Italia, gli disse che lo avevano premiato perché molto spesso si assentava da scuola per fare compagnia al suo amico ammalato, se la ridevano, per loro sembrava una cosa assurda, poi gli disse che il giorno seguente sarebbe uscito un articolo sul giornale che parlava della storia, sembrava un gioco per loro, stettero tutta la sera a ridere e scherzare.

Il giorno seguente comprai il giornale, ero curiosa di leggere l'articolo, ma quando lo lessi rimasi di stucco, la giornalista metteva in evidenza la triste storia di Paolo, descriveva la sua malattia, il suo dolore, insomma metteva in piazza la nostra vita, la giornalista per colpire il lettore aveva impostato l'articolo sul nostro dramma, sulla sofferenza non sul premio che il ragazzo aveva ricevuto, descriveva Paolo come un moribondo...

Come aveva potuto essere così insensibile, non ci aveva chiesto nessun permesso di usare la nostra storia, noi non volevamo suscitare la pena di nessuno, io che avevo in tutti i modi cercato di tutelare la nostra privacy, io che non uscivo di casa perché le persone non mi chiedessero di Paolo, io volevo che nessuno sapesse della sua malattia, ma non perché mi vergognavo ma perché volevo che lo guardassero con occhi normali, e poi io neanche a Paolo avevo detto che aveva un tumore, ed ora ce lo trovavamo scritto in prima pagina su un quotidiano alla portata di tutti.

Mio figlio quando lesse il giornale stette malissimo, anche perché a casa iniziarono ad arrivare molte telefonate che chiedevano informazioni sulla sua salute, lui si vide messo in piazza sulla bocca di tutti, la sua malattia, quella orribile parola che io ancora non ero neanche riuscita a pronunciare "tumore cerebrale" me la ritrovavo a caratteri cubitali su un giornale.

Quei giorni furono molto duri, Paolo andò in depressione, dovetti chiamargli uno psichiatra a casa anche, non sopportava tutta quella pubblicità, dovetti diffidare anche il preside che aveva segnalato la storia alla giornalista....

Ma quello che più mi dispiacque fu che il rapporto fra i due amici si era rotto, forse Antonio si sentiva in colpa per tutto quello che era successo, e iniziò a diradare le sue visite, anche Paolo ci soffrì per questo anche se noi non gli facevamo nessuna colpa al ragazzo, noi la colpa la davamo alla giornalista che non aveva tenuto in considerazione la nostra sensibilità nell'esporre l'articolo...

A novembre dopo il 3 ciclo fece gli esami tra cui la risonanza, e visto che la dottoressa che lo seguiva a Padova non si riusciva a contattarla decidemmo di prendere un appuntamento nel suo studio, mi recai da sola a Padova perché Paolo si rifiutò, e quando lei mi vide senza Paolo si arrabbiò molto, io rimasi maele per il trattamento ma che ci potevo fare? Secondo lei la colpa era nostra se paolo era così testardo nell'affrontare la malattia.

Mi disse che il protocollo che Paolo aveva fino ad allora fatto non andava bene, che le cellule tumorali erano ancora tutte in circolo, ebbe parole molto dure nei miei confronti, mi colpevolizzava per non essere riuscita a portare Paolo a Padova da lei, ma io come potevo costringerlo, come? Dopo tutto quello che era successo a Padova per la radio io non me la sentivo più di obbligarlo, mi sentivo ancora in colpa per quello che era successo.

La sua volontà l'avevo violata troppe volte, pensai che un medico deve rispettare la volontà del paziente ed agire per il meglio andandogli incontro, d’ altronde Paolo aveva 17 anni e aveva sofferto tantissimo per la situazione che si era creata a Padova, avevo paura per la sua psiche.

Tornai a casa molto delusa, ne parlai con Pietrina che dopo vari tentativi riuscì a mettersi in contatto con lei, allora ci consigliò di portare Paolo a Milano dal professor Siena, e così prendemmo un appuntamento e gli portammo tutti i referti e gli spiegammo della difficoltà che avevamo avuto con Paolo per fargli fare le terapie, ci disse che era disposto a ricoverarlo dopo le feste di natale per un follow up, tornammo a casa con un po’ di speranza, anche se non sapevamo come l'avrebbe presa Paolo, era necessario un ricovero e speravamo che Paolo acconsentisse, gliene parlammo, ma lui se ne stava zitto senza risponderci, io comunque dopo le feste preparai i biglietti e i bagagli e con mia grande sorpresa paolo non ci fece nessuna obiezione e si decise a partire, destinazione Milano questa volta.

Il viaggio fu molto silenzioso, ognuno di noi avvolto nei propri pensieri, con al tristezza e la paura nel cuore entrammo ancora una volta in un reparto di oncologia, non c'è reparto più triste. Paolo si sdraiò nelle poltroncine della sala d'aspetto, si nascondeva il viso, non voleva vedere nessuno, il prof si rese subito conto delle sue paure e con dolcezza gli si avvicinò, ma Paolo voleva andar via, voleva tornare a Padova e ci convinse a chiamare il medico che lo seguiva prima, ma la risposta che ci diede il medico ci offese, ci disse di riportarlo dalla dottoressa che lo seguiva prima, che non era un professionista da ripiego, e che avremmo dovuto contattarlo prima... e che non lo avrebbe più ricoverato nel suo reparto... queste risposte ci diede ed io a malincuore pensai che non era giusto il suo comportamento, sapeva benissimo a tutte le difficoltà a cui eravamo andati incontro, e mi chiesi perché un medico non va incontro al paziente, è una colpa aggrapparsi a tutto e a tutti pur di salvare la vita al proprio figlio?

Io avrei sorvolato le montagne, e mai mi sarei pentita di essermi comportata così...

è vero avevamo saltato da un reparto all'altro, ma che dovevo fare io?

Io avrei tentato qualsiasi possibilità, non mi sarei mai data per vinta, e un professionista deve tener conto di tutto credo per il bene del paziente. Che delitto avevo commesso io per aver sempre cercato il meglio per mio figlio? Io volevo curare Paolo a tutti i costi, volevo che guarisse, volevo che avesse una speranza, volevo che non soffrisse.

perché la sofferenza, la malattia ti toglie ogni dignità, dipendi in tutto e per tutto dagli altri, fai fatica anche a parlare, a chiedere, come si può vivere così.

Il prof. Siena, primario del reparto di oncologia del Niguarda, ci convocò nel suo studio, parlò con Paolo, gli disse che se non voleva rimanere nel suo reparto lo avrebbe mandato dove lui decideva, per il prof non c'erano problemi, l'importante era che Paolo decidesse per un ricovero in qualsiasi ospedale per valutare la sua malattia...

Sarò sempre grata al Prof. Siena per la sua disponibilità e sensibilità avuta, quello per me era veramente un professionista, un medico che ha premura per la salute del paziente e si prodiga per farlo stare bene.

Paolo rimase conquistato dalla sua gentilezza e disponibilità, e infatti decise di rimanere in quel reparto, gli fecero scegliere la stanza, lo misero a suo agio, gli disse anche che poteva accedere alla stanza computer del reparto se lo desiderava, gli infermieri di turno si sbalordirono che Paolo avesse determinati privilegi, ma d’ altronde lui riusciva ad ottenere sempre ciò che voleva.

Non so se fosse un bene per lui, tantevvero che al pc iniziò a cercare informazioni sulla sua malattia, ormai era a conoscenza di tutto ciò che lo riguardava, vide statistiche, probabilità di guarigione e sopravivenza alla malattia, infatti andò in crisi, la notte successiva appena andata via ricevetti un sms nel quale mi diceva; portami via immediatamente da qua se no scappo o mi butto dalla finestra!

Era tarda notte, ma corsi all'ospedale e informai la caposala, mi fecero entrare, lo trovai arrabbiatissimo, non sapevo che fare per farlo rimanere li, non voleva sentire ragioni, finalmente arrivò il medico che ancora una volta lo convinse a rimanere e fare tutti gli accertamenti, già perché Paolo malgrado le sue paure, la sua rabbia, la sua disperazione, voleva lottare, voleva vivere.

La risonanza e l'esame del liquor erano buone, la malattia sembrava essersi fermata, gli esami erano negativi, dopo tre giorni lo dimisero, ci saremmo dovuti recare ancora a Milano dopo tre mesi per un'altra valutazione, il medico del reparto che lo avrebbe seguito in futuro, il dott. Landonio prese subito a cuore la salute di Paolo, si affezionò subito a lui, Paolo sapeva farsi voler bene da tutti, e Paolo gradì molto il suo interesse, stava delle ore a parlare con lui

seppe carpire la sua fiducia, discutevano della malattia e delle terapie a cui si sarebbe potuto sottopporre...

Tornammo a casa, Paolo appariva più sereno, essere andati a Milano fu un bene, perchè gli diede un po’ di speranza, e riprese a vivere, ad uscire con gli amici, voleva riprendersi la sua vita, io osservavo in silenzio... riprese anche con lo sport, andava in piscina, a giocare a pallone.

Arrivò anche l'estate, e noi ci trasferimmo ad Alghero nella nostra casa, era contento. Portammo con noi anche un suo amico Fabrizio, andava al mare, in piscina, e la sera usciva con gli amici, rientrava la notte tardi stanco morto, voleva prendere dalla vita tutto ciò che poteva, aveva ragione la vita troppo lo aveva punito, e lui voleva divertirsi ancora, dimenticare tutta la sofferenza che aveva sopportato, l'ingiustizia del destino.

Il giorno di ferragosto volle prenotare in un ristorantino che c'era vicino a casa insieme a tutta la famiglia come ai vecchi tempi, una parvenza di normalità, ma il giorno stesso stette male e se ne ritornò a casa da solo, volle che noi rimanessimo li anche se io avrei preferito accompagnarlo.

Proprio lui che aveva prenotato, organizzato una piccola festa con tutta la famiglia, ma ancora una volta era andata male e con tristezza sopportai anche quello, la malattia non lo lasciava in pace.

La sera si riprese, si preparò ed uscì con gli amici, io ero preoccupata ma mi sforzavo di non darlo a vedere, non volevo si accorgesse della mia pena.

Malgrado tutto l'estate passò tranquilla, Paolo si era anche innamorato, si vedeva con una ragazzina sorella di un suo caro amico, lo vedevo spensierato, usciva in motorino con lei, viveva la sua storia d'amore come tutti i ragazzini della sua età.

Per il suo diciottesimo compleanno mi fece preparare una grande festa, invitò tutti i parenti e gli amici, ci teneva tantissimo ad avere tutti vicino, noi parenti andammo via dopo un po', rimasero tutta la notte gli amici, lui rideva e scherzava con tutti, verso le 5 del mattino andai a controllare, lo trovai esausto addormentato sul divano col fratello, lo aiutai ad alzarsi, lo presi quasi di peso e lo aiutai a metterlo a letto.

Mi faceva male vederlo così stanco ma sapevo che era contento di aver trascorso la notte con gli amici anche se si era distrutto dalla stanchezza.

Comunque malgrado tutto riprese a giocare a pallone, faceva qualche partitella con gli amici al campetto, la sera poi usciva anche con la ragazza, il tempo passava, sembrava stesse bene anche se accusava molto la stanchezza, ma di li a giorni iniziò ad accusare un dolore alla gamba, io mi preoccupai ma lui preso dalle feste non volle controllarsi ed io non lo assillai più di tanto, volevo che trascorresse quei giorni bene anche se faticava parecchio col dolore che si faceva sempre più insistente.

Stava sempre in giro, voleva vivere prendere dalla vita tutto ciò che poteva, ma il dolore alla gamba si faceva sempre più forte e alla fine si decise a fare una lastra, piena di paura lo portai, e quando il medico mi lesse l'esito mi sentii morire ancora una volta, mi disse che c'era sicuramente una calcificazione ossea... a lui non dissi niente ma lo convinsi a partire a Milano per approfondire gli accertamenti, con mia sorpresa non fece obiezione, e così a Marzo partimmo per l'ennesima volta.

Il dottor Landonio lo mise al corrente che c'era una metastasi, quelle parole per Paolo furono come lame taglienti, scappò via dallo studio senza dire una parola, si sdraiò per terra... immobile, cereo, se lo avessero punto sulla pelle non gli sarebbe uscita una goccia di sangue, io accanto a lui seduta per terra senza poter piangere e disperarmi, la giornata di marzo era gelida ma il freddo era dentro di noi, stette per tanto tempo immobile, non so quanto, con gli occhi chiusi quasi a voler cancellare tutta quella disperazione, gli dissi che non doveva arrendersi, lui era forte e io lo avrei aiutato a lottare... doveva vincere la malattia, non doveva annientarlo.

Si calmò, e finalmente dopo tanto salimmo di nuovo dal medico, il quale gli disse che si sarebbe dovuto sottoporre a trapianto... trapianto! Che parola difficile da pronunciare.

Furono mesi difficili, iniziò cicli di chemio ad alte dosi con effetti collaterali devastanti, il medico ci disse che il trapianto nel medulloblastoma era ancora in via sperimentale, ma secondo lui c'era qualche possibilità di guarigione, Paolo affrontava tutto con molto coraggio, non si lamentava mai, voleva guarire e si sarebbe sottoposto a tutto pur di riuscirci.

Io cercavo di convincere me stessa che sarebbe guarito, ma un giorno rimasi di stucco, sentii un signore che parlava con un'altro e diceva che da quando si era ammalato aveva visto tanti con metastasi ossee e che fino a quel momento nessuno si era mai salvato, anche lui faceva una cura palliativa per la metastasi, lo diceva quasi rassegnato all'evenienza.

Ne fui sconvolta, non volevo credere che anche a Paolo sarebbe toccata la stessa sorte, non era possibile, non a mio figlio... lui era giovane ce l'avrebbe fatta ne ero certa... quante illusioni che mi feci... e poi pensavo che Dio mi ascoltasse e che avrebbe avuto pietà del nostro calvario, della sofferenza, della sua giovinezza.

Dio... ma quale Dio? Il Dio che ho sempre pregato, sempre invocato col cuore in mano, non mi ha mai ascoltata una sola volta.


Paola Pittalis 22/10/2013 09:22 1085

Opera pubblicata ai sensi della Legge 22 aprile 1941 n. 633, Capo IV, Sezione II, e sue modificazioni. Ne è vietata qualsiasi riproduzione, totale o parziale, nonché qualsiasi utilizzazione in qualunque forma, senza l'autorizzazione dell'Autore.
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