La famiglia del Capitano, come lo chiamavano tutti in paese, perché aveva combattuto durante la prima guerra mondiale con i gradi d’ ufficiale, viveva in una vecchia cascina rossa sperduta in mezzo ad una valle pietrosa e biancastra.
Vicino all’ entrata della casa, c'erano un ruscello perennemente secco, che alimentava un vecchio mulino ormai in rovina, e una vigna di forma triangolare che produceva, chissà per quale oscuro motivo, un vino divino.
Il Capitano svolgeva le funzioni di mezzadro in una terra ostile e perennemente sterile che apparteneva a un vecchio nobile decaduto.
Le malelingue asserivano che “Il capitano” aveva scelto deliberatamente di vivere in quella Cascina Rossa, in capo al mondo, perché non sopportava più le angherie dei gerarchi fascisti di Amardolce, dove ormai si recava soltanto durante le feste patronali d’ agosto.
Allora, l'uomo, piuttosto che farsi arrestare dagli “ sgherri del fascio”, come li chiamava con disprezzo lui, e passare il resto della sua vita in prigione o al confino, su un’ isola deserta del Mar Adriatico, aveva preferito portare sua moglie e le sue tre figlie in quel posto che anche lui odiava profondamente, ma che gli offriva una pace interiore di cui aveva profondamente bisogno.
In quella fatidica mattina, il Capitano e sua moglie Carolina si erano alzati all’ alba ed erano andati a zappare la terra in un appezzamento che si trovava, in linea d’ area, a circa cinquecento metri dalla Cascina Rossa, dove Valentina, Angela, chiamata da tutti Angelina, e Giulia dormivano serenamente.
Di tanto in tanto, Carolina guardava in direzione della cascina per assicurarsi che tutto procedesse bene e che non succedesse niente alle sue tre figlie, anche perché da quella posizione era in grado di vedere sia il casolare sia il terreno circostante, per cui era praticamente impossibile che qualche malintenzionato potesse avvicinarsi senza essere visto.
Verso le dieci della mattina, le tre bambine uscirono dalla cascina e cominciarono a giocare vicino al mulino in mezzo al gregge di pecore che brucava l’ erba in prossimità del ruscello dove scorreva solo un filo d’ acqua.
Improvvisamente, una pecorella cadde nell’ acqua melmosa del ruscello. Valentina, la più grande delle sorelle, smise di giocare e s’ avvicinò all’ animale nel tentativo di salvarlo perché rischiava di rimanere soffocato dal fango che gli arrivava quasi fino alla bocca.
Giulia, la più piccola delle sorelle, si mise ad urlare a squarciagola:
«AIUTO, AIUTO! L’ AGNELLINO É CADUTO NELL’ ACQUA!!!»
L’ eco, favorita dalla posizione in cui si trovava la cascina, amplificò le grida della bambina, attraverso il silenzio che regnava sovrano in quella campagna bruciata dal sole estivo, e le fece giungere, storpiandole, alle orecchie di un anziano che stava lavorando la terra a qualche centinaio di metri dal ruscello.
Michele si mise le mani attorno alla bocca ed urlò a sua volta in direzione del Capitano:
«CAPITANO, ANGELINA È CADUTA NELL’ ACQUA!!!»
Il Capitano, sentendo distintamente le parole di Michele, si precipitò in direzione del ruscello nel tentativo disperato di salvare la figlia dalle furie del fango, perché sapeva perfettamente che la melma era più pericolosa dall’ acqua, e quando arrivò al rigagnolo vide la figlia che cercava di salvare l’ agnellino.
Il veterano della prima guerra mondiale tirò un respiro di sollievo ed aiutò la figlia a salvare l’ agnellino che era diventato completamente nero.
Dopo qualche minuto, arrivò anche la moglie Carolina che abbracciò teneramente la figlia ed alzò il viso al cielo per ringraziare Iddio
.
Il Capitano decise di stappare una bottiglia di vino dell’ annata 1917, tenuto per le più importanti occasioni, che bevvero sotto le stelle cantando l’ Inno dei Lavoratori, per festeggiare a modo loro lo scampato pericolo.