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Questo racconto è inserito in:
 Parte 9 della raccolta "Le mie fiabe " di Vivì (11 racconti)
 Fantasiosamente

Randi, l’ancella della primavera

Ragazzi

Era primavera inoltrata quando la piccola rondine, esausta per il lungo viaggio, avvistò i tetti della città che l’ aveva vista nascere e diventare adulta, per poi migrare alla fine di ogni estate, verso lidi più caldi. Era così da quando era nata.

Le piaceva quella ridente cittadina di mare, dal cielo quasi sempre limpido per via del vento di tramontana che spazzava le nubi portandole distanti.

Sentiva che quello era il suo cielo, che quello era il suo mare e ogni volta che doveva lasciare quei luoghi per intraprendere il lungo viaggio della migrazione, lo faceva sempre con un briciolo di malinconia. Al contrario, quando a inizio marzo tornava puntuale con il suo stormo e avvistava da lontano i tetti spioventi della città, il suo piccolo cuore si colmava di gioia.

Del resto, suscitavano allegria anche negli esseri umani, che attendevano con trepidazione il ritorno delle rondini, perché equivaleva all’ arrivo della bella stagione.

La rondine amava fare il nido in uno dei punti più alti e più suggestivi della città: il faro, che svettava su tutte le altre costruzioni che si affacciavano sul porto e sul mare.

Purtroppo, quella primavera, durante il viaggio di ritorno verso il suo nido, alla rondine accaddero un paio d’ imprevisti che ne ritardarono di molto l’ arrivo in città.

Il suo arrivo non fu salutato come al solito da un coro di garriti giocosi. Il cielo era insolitamente vuoto, grigio e i pochi volatili che si vedevano volteggiare non erano vivaci e gioiosi, ma talmente lenti da sembrare malati.

E in effetti, era proprio così. Una temibile epidemia aveva decimato gli stormi durante il viaggio di ritorno e per questo motivo, le poche rondini in volo, non potevano essere gioiose e vitali.

Il compagno della rondinella aveva atteso il suo arrivo per un po’ di giorni, poi persa la speranza, aveva nidificato con un’ altra.

Al suo arrivo lei lo aveva cercato a lungo ma, alla fine, si era dovuta rassegnare. Le sue amiche avevano già costruito i loro nidi e alcune stavano già covando, in attesa dei piccoli e se lei voleva accasarsi come le altre, doveva affrettarsi a trovare un nuovo compagno.

La ricerca durò più del previsto e stava iniziando a perdere le speranze, quando infine incontrò un rondinotto dall’ aspetto esile e malconcio.

Avrebbe voluto rinunciare, ma poi vinse l’ istinto di conservazione della specie. Accettò la corte del vecchio rondinotto e si mise di lena a preparare un nuovo nido, al riparo in una feritoia della torre del faro.

Dalla loro unione nacquero sei rondinotti gracili e deboli, tanto che solo uno tra loro sopravvisse, con grande dispiacere di mamma rondine, che li vide morire a uno a uno.

Tutti tranne uno. Purtroppo, affetto da una brutta malformazione alle ali e la madre, pur piangendo lacrime amare, si vide costretta ad abbandonarlo nel nido.

Nel faro abitavano il guardiano e suo figlio, Giangiò. Il ragazzo aveva assistito all’ arrivo ritardatario della rondine, con un pizzico d’ apprensione, oltre che di contentezza.

Aveva sentito parlare della strage delle rondini e l’ arrivo di quella rondinella con il compagno, lo aveva reso felice. Aveva assistito con discrezione alla preparazione del nido, alla cova e alla nascita dei pulcini. Li aveva visti morire e con grande tristezza aveva anche assistito all’ abbandono del nido da parte della rondine.

In quei giorni, il faro si trovava circondato dalle impalcature per la ristrutturazione e, il ragazzo, all’ insaputa del padre, si avventurò sulle assi traballanti di legno per controllare da vicino quello che era accaduto nel nido.

Addossati gli uni agli altri tra i rametti e la bambagia, vi erano sei pulcini, ma solo uno di questi dava deboli segnali di vita.

Giangiò si sentì stringere il cuore in una morsa; il pigolio seppur incessante, era appena percettibile. Il pulcino era affamato e chiamava la madre con il piccolo becco spalancato.

Quel richiamo accorato lo commosse e Giangiò decise che si sarebbe preso cura lui di quella minuscola creatura indifesa.

Con la massima accortezza raccolse il pulcino deponendolo nella tasca, quindi, arrampicandosi sull’ impalcatura, si apprestò al ritorno.

Nella sua stanza trovò la sua gatta ad attenderlo. Shila le spalancò addosso i suoi incredibili occhi azzurri, lo stesso di un’ acquamarina. Sembrava che volesse rimproverarlo per quello che aveva fatto e Giangiò, abituato a parlare con lei come se fosse una persona, le disse:

« Abbiamo un piccolo ospite, amica mia.»

La gattina emise un verso che sembrava di stizza.

« Non essere arrabbiata con me. Guarda cosa ho trovato in quel nido.» le disse estraendo dalla tasca il pulcino. « La mamma se ha abbandonato perché il piccolo ha una brutta malformazione, vedi?» domandò, mostrando alla gatta il pulcino.

Giangiò possedeva un dono naturale con gli animali, difatti, aveva già deciso che da grande avrebbe fatto il veterinario. Con Shila aveva instaurato un’ intesa perfetta.

La gattina, che lui aveva raccolto per strada pochi giorni dopo la nascita sembrava raccogliere con grande attenzione le sue confidenze, i suoi desideri e i suoi sogni.

E quante volte Giangiò aveva immaginato delle risposte logiche a tutto quello che lui le raccontava. O le rispondeva davvero? In tutti i modi, appena rimesso i piedi nella stanza, gli era venuto spontaneo comunicare con la gattina.

Non si sorprese quindi quando la risposta del felino gli fiorì nella mente:

Sei sempre il solito Giangiò! Ma sei sicuro di avere fatto la cosa più giusta?

La gatta aveva assunto un atteggiamento da sfinge e si dedicava alacremente alla pulizia delle zampette nerissime come il resto del corpo, mentre lo osservava di sottecchi.

Senza nessuna esitazione il ragazzo rispose:

« Il pulcino è stato abbandonato e se non l’ avessi raccolto, probabilmente entro stasera sarebbe morto.»

È troppo piccolo, non ce la può fare! Questo pulcino, anche se sopravvivesse, non sarebbe mai in grado di volare. Sua madre l’ aveva intuito e per questo l’ ha abbandonato. Hai fatto male a raccoglierlo! Dovevi lasciare che la natura facesse il suo corso.

Il ragazzo scrutò il pulcino per qualche istante e rifletté, quindi rispose:

« Voglio provarci! Quest’ anno ne sono morte troppe di queste creature. L’ epidemia le ha sterminate. Può anche essere che questo pulcino sia uno dei pochi esemplari rimasti della sua specie. Se non tentassi di salvarlo, potrei anche non perdonarmelo. Sei con me Shila?»

La gattina smise di lisciarsi il pelo e lo guardò con attenzione:

Lo sai che sono con te sempre, ragazzo!

« Non ne dubitavo! Grazie Shila!»

Da quel momento iniziò una dura battaglia per la vita, e non fu certo un’ impresa semplice per Giangiò andare a caccia d’ insetti e di larve. Eppure, il ragazzo si diede fare e non si lamentò mai per il lavoro aggiuntivo al quale fu costretto per sfamare il neonato.

Approntò anche un nido imbottito di piume, di erba e di bambagia in un angolo della sua stanza e da allora passò ogni momento libero con il pulcino.

Ma il piccolo, già sofferente per gli stenti patiti durante le prime ore di vita, faticava a riprendersi e continuava a pigolare in modo ossessivo. Giangiò iniziava a disperare di poterlo salvare; l’ implume era talmente debole da non riuscire a reggersi sulle zampette e la sola aluccia sana fremeva di un tremito incontrollabile. Era solo per istinto che il beccuccio si spalancava ogni qualvolta riusciva a intravedere l’ ombra del ragazzo china su di lui.

Furono giorni tragici per entrambi, anzi, lo furono anche per Shila che passava ore acciambellata di guardia vicino al nido.

Quel primo terribile periodo terminò e il piccolo iniziò a reagire alle assidue cure che Giangiò gli dedicava con tutto il trasporto dettato dal suo giovane cuore.

E venne anche il giorno in cui poté tirare un sospiro di sollievo:

Ce l’ hai fatta, Giangiò! Il tuo coraggio e la tua ostinazione hanno permesso che avvenisse questo piccolo miracolo. Sai, non avrei scommesso nulla sulla vita di questo pulcino.

L’ osservazione di Shila era balenata nella mente di Giangiò mentre era chino a guardare le prime prove del pulcino di tenersi ritto sulle zampette.

L’ ennesimo, goffo tentativo strappò un sorriso divertito dalle labbra del ragazzo dopo giorni di tensione e di ansia.

Hai già pensato a darle un nome, ragazzo?

Lui rivolse uno sguardo alla gatta, che come al solito si stava lisciando meticolosamente il pelo:

« La vorrei chiamare Randi, che ne dici?»

Mi pare un nome appropriato!

Da quel giorno, in pochissimo tempo il pulcino triplicò il suo peso diventando sempre più fermo e sicuro nei movimenti.

Nel frattempo, purtroppo, le notizie riportate dai quotidiani a caratteri cubitali, parlavano dello sterminio della specie volatile, a causa dell’ epidemia.

Per le strade si vedeva la gente camminare con lo sguardo afflitto rivolto verso l’ alto. Che squallore! E che desolazione quel cielo privo di voli giocosi e di garriti. La primavera stessa dava l’ impressione di non essere più la stagione del rinnovamento e della rifioritura: gli alberi che avrebbero dovuto essere un’ esplosione di colori erano insolitamente spogli, le aiuole dei giardini, che in genere in quel periodo sfoggiavano colori sgargianti e profumi intensi, erano incolori e l’ erba dei prati era talmente gialla, da sembrare sofferente.

Da oriente a occidente, in tutto il pianeta, il passaparola era drammatico: senza rondini non poteva essere primavera.

Allarmati dalle tragiche notizie, Shila e Giangiò guardavano speranzosi alla giovane rondinella. In lei iniziarono a vedere la salvezza, non solo per la sua specie ma per il pianeta intero e se possibile, misero ancor più accortezza nell’ accudire la bestiola.

Un giorno, all’ ultimo piano del faro, si verificò un evento che segnò in modo significativo il tranquillo trantran delle tre creature.

Giangiò si trovava all’ apice del faro, dove con il padre, stava effettuando lavori di manutenzione dell’ apparato illuminante, dal quale partiva il fascio enorme di luce, capace di squarciare l’ oscurità del mare, per parecchi chilometri.

Avevano quasi finito il loro intervento, quando il silenzio maestoso di cui si godeva a quella ragguardevole altezza, venne rotto da rumori improvvisi e preoccupanti.

Il ragazzo, si precipitò al piano inferiore a rotta di collo, giusto in tempo per cogliere movimenti repentini sul pavimento della sua stanza.

Si rese conto che si trattava del fuggi fuggi generale dei grossi ratti ospiti da tempo dell’ antico edificio.

Oppresso da un oscuro presentimento, Giangiò si avviò verso il nido e il suo cuore ebbe un tuffo violento nel petto: Randi, la sua piccola Randi era sparita.

Gli occhi gli si velarono di lacrime, i topi si erano portati via il pulcino indifeso. Poi, il suo sguardo nella penombra, incrociò gli occhi fosforescenti del gatto accovacciato nei pressi del nido.

Il felino lo stava osservando, con la coda che roteava pigramente per aria.

Giangiò provò un brivido di orrore: dalle vibrisse del gatto pendevano alcune morbide piume.

Un’ idea terrificante si fece strada nella sua mente, mentre il suo cuore rifiutava quell’ orribile possibilità. Purtroppo, l’ evidenza era sotto i suoi occhi e dalla sua bocca fuoriuscirono poche parole:

« Oh no! Come hai potuto?»

Poi ripreso fiato ripeté con voce rotta dai singhiozzi: « Come hai potuto Shila? Io mi fidavo di te e anche la piccola Randi. Sei un mostro!» terminò, urlando con tutto il fiato che aveva in gola, sconvolto dalla rabbia e dal dolore.

Quindi volse le spalle al gatto e fece per lasciare precipitosamente la stanza, quando la sua attenzione venne attirata da un sommesso pigolio.

Tornò indietro verso il felino che spalancò la bocca, sporgendo la sua linguetta rosea. Su di essa, accovacciata sulle zampette, come fosse stata sul nido, si trovava la piccola rondinella, incolume.

Shila aveva salvato il pulcino dall’ assalto famelico dei topi. Giangiò allungò le mani a coppa e Randi con un piccolo balzo, vi si accovacciò.

Il pensiero di avere ingiustamente dubitato della sua amica, lo fece vergognare, per cui abbassò la testa in modo umile e sussurrò:

« Ho sbagliato a dubitare di te. Perdonami Shila!»

Va bene, ragazzo! Non ne parliamo più. Ma ricorda sempre: sono affezionata a questo pulcino almeno quanto lo sei tu!

Con quell’ evento il legame tra i tre si consolidò ancor di più e, comunque, considerato il pericolo appena corso dal piccolo, Giangiò decise che era venuto il momento di affidare la rondine a una famiglia adottiva. E cosa c’ era di meglio se non tentare di mettere il pulcino nella gabbia dei canarini?

Il padre del ragazzo aveva una passione per i piccoli cantori e ne teneva una ventina in un’ enorme gabbia, dove lo spazio per muoversi e saltellare da una parte all’ altra, era davvero tanto rispetto a una gabbietta tradizionale. Perlomeno, pensò il ragazzo, il pulcino sarebbe stato al sicuro rinchiuso là dentro e, inoltre, forse gli altri volatili avrebbero potuto fornire degli ottimi stimoli al piccolo.

Nonostante quella fosse una sistemazione provvisoria, Giangiò capì che non era affatto la soluzione giusta per la rondine. Fu allora che l’ idea di aiutare in un altro modo il pulcino, cominciò a farsi largo nei suoi pensieri. Con la fantasia lo vedeva volare nel cielo limpido di primavera. Ma come avrebbe potuto realizzarsi quel sogno se il pulcino aveva solo un’ ala?

Iniziò a studiare attentamente il volo dei gabbiani, così come osservava la piccola ala sana della rondine e il moncherino di quella malformata.

Al ragazzo vennero in mente gli studi condotti dal grande genio del passato Leonardo da Vinci. Lo studioso aveva lasciato molti disegni dei suoi progetti a proposito del volo e delle ali degli uccelli e Giangiò iniziò a frequentare la biblioteca per poterli studiare.

continua...


Vivì 22/04/2012 08:29 3 1253

Opera pubblicata ai sensi della Legge 22 aprile 1941 n. 633, Capo IV, Sezione II, e sue modificazioni. Ne è vietata qualsiasi riproduzione, totale o parziale, nonché qualsiasi utilizzazione in qualunque forma, senza l'autorizzazione dell'Autore.
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I fatti ed i personaggi narrati in questa opera sono frutto di fantasia e non hanno alcuna relazione con persone o fatti reali.


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Commenti sul racconto Commenti sul racconto:

«Ne pas croire à la légende qui dit que le chat est ingrat et qu’il ne pense qu’à soi! Malgré sa mauvaise nommée il a aussi un grand cœur, et « pardon l’ironie Vivì », j’aime dire que peut-être il avait déjà mangé…. Je plaisante certainement… Une histoire pleine de morale, à lire et relire… Quel enchantement Vivì, tu adoucis les cœurs.»
Jeannine Gérard

«L'autrice ci suggerisce immagini apocalittiche fantasticando un cielo primaverile plumbeo, vuoto, disadorno dei voli giocosi degli stormi di rondini. E non può essere primavera senza i simpatici volatili. Una favola che è anche una denuncia ribelle contro il degrado e il disastro ambientale che sta colpendo il pianeta per colpa dell'uomo. Attendiamo il finale che si prevede ricco di fantasia e colpi di scena.»
Darius

«L'autrice, come già in altre favole scrivendo questa aggiunge un altro triste argomento sul degrado ambientale dei nostri giorni. Leggerò volentieri il finale poiché le rondini sono alati che mi hanno sempre affascinato. Aspetto con ansia... Complimenti per la fantasia»
Maria Rosy

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