Il 1983, fu per me un anno indimenticabile per due motivi: il primo perché mi sono laureato in Lingue e Letterature Straniere Moderne alla Facoltà di lettere e Filosofia di Bologna e il secondo, che io chiamo laconicamente periodo verde- oliva, perché ho fatto il servizio militare a L’ Aquila.
Devo precisare, prima di raccontare la storia, che questa mi è tornata in mente dopo trent’ anni; che io sono un pacifista e che ho vissuto male quel periodo e che lo rimpiango soltanto perché ero ancora molto giovane e la vita riusciva sovente a stupirmi.
Quando arrivò quella fatidica cartolina che avrebbe cambiato in qualche modo il corso della mia vita, ero ancora in uno stato di estasi e di grazia perché ora avevo in mano quel pezzo di carta, la laurea appunto, che avrebbe potuto dare una svolta al mio futuro.
Ero stato assegnato alla caserma “ Francesco Rossi” de L’ Aquila, dopo aver fatto il C. A.R. a Teramo e un periodo di addestramento di circa un mese.
Non avevo molta domestichezza con il gergo militare e le parole alzabandiera, anziano, cane morto, capo spina, cubo, muto, scoppiare, “ mo’ de passe” ecc. erano francamente sconosciute al mio vocabolario linguistico.
Conoscevo soltanto i termini marcare visita, corvées, nonnismo, caporale di giornata, battere la stecca, perché li avevo sentiti dire dagli ex- alpini di Amardolce quando raccontavano con precisione le loro storie legate al servizio militare.
Per alcuni di loro, quel periodo di naia, era un’ occasione irripetibile, a volte, serviva per cambiare regione, per uscire dal paese d’ origine e di parlare in italiano. Ricordo d’ avere scritto alcune lettere d’ amore a fidanzate di commilitoni che erano pressoché analfabeti. Era imbarazzante per me scrivere lettere d’ amore e usare parole ardenti a donne che non conoscevo e che forse non avrei mai conosciuto fatta eccezione per il giorno del Giuramento Solenne.
Quando arrivai in caserma avevo il cuore a pezzi e il morale a zero.
La divisa che indossavo con spavalda nonchalance mi pesava come piombo e non riuscivo a collocarmi in un ambiente che mi era oggettivamente estraneo e sentivo ostile. È in questo particolare contesto psico- sociologico che ho conosciuto un ragazzo di circa venti anni che mi ha dato a sua insaputa una lezione di vita, tanto che dopo molti anni mi è tornato in mente.
La mattina in cui lo incontrai per la prima volta, avevo marcato visita perché non volevo andare a sparare sulla Maiella. Il solo fatto di brandire un’ arma mi faceva entrare in uno stato di agitazione che non riuscivo a frenare.
Ero seduto nella sala d’ attesa dell’ infermeria della caserma, e aspettavo che il medico mi visitasse, quando un ragazzo mingherlino si sedette vicino a me.
Mi colpì il fatto che non indossasse la divisa militare e soprattutto la calma che accompagnava ogni suo gesto ma sfortunatamente non ricordo più il suo nome, né i lineamenti del suo viso. Mi piacerebbe potergli scrivere una lettera o telefonargli per ricordargli che senza volerlo aveva fatto vacillare le mie certezze ideologico - religiose.
Il giovane stringeva tra le mani una piccola Bibbia che accarezzava amorevolmente.
Lo guardai stupito e gli chiesi a bruciapelo:
“Perché non indossi la divisa?”
Senza rendermene praticamente conto, avevo assunto nei suoi confronti l’ odiato tono arrogante per il solo fatto che io avessi già fatto un mese di Naja.
Mi guardò con circospezione, chiuse con delicatezza la Bibbia che stava leggendo e mi rispose con una calma che mi fece rabbrividire.
“Mi sono rifiutato di prestare il servizio militare.”
Lo guardai quasi con invidia perché avrei fatto carte false pur di non sprecare un anno della mia vita a poltrire in una caserma a fare adunate, file e inutili alzabandiera.
“Hai trovato qualche politico che ti ha raccomandato?", gli chiesi con spontaneità.
Abbozzò un sorriso e aggiunse:
“Sono Testimone di Geova.”
Sul momento, non capii il significato delle sue parole perché l’ alpino di piantone mi chiamò e mi fece entrare in infermeria.
Tornai a L’ Aquila, 10 mesi dopo.
Ero particolarmente abbronzato perché avevo fatto il campo estivo in Molise.
Ci stavamo preparando per assistere all’ultima alzabandiera della nostra vita quando lo stesso ragazzo privo di divisa mi si avvicinò:
“Ti ricordi di me?” - mi chiese.
Nonostante feci uno sforzo immane per ricordarmi di lui non ci riuscii. Durante il mio periodo verde- oliva avevo conosciuto centinaia di alpini, alcuni dei quali ho ritrovato grazie a Face Book.
“Sono quel Testimone di Geova che hai conosciuto all’ infermeria l’ anno scorso.”
Era mortalmente pallido ma quel sorriso che aveva conquistato la mia simpatia era rimasto inalterato sul suo viso.
“Ho passato 10 mesi in prigione.” Mi disse con molta semplicità.
Lo guardai con sgomento, quel giovane aveva passato quasi un anno della sua vita in prigione pur di non tradire i suoi ideali.
Fu in quel preciso momento che mi ricordai dei campi di concentramento nazisti e dell’ Olocausto Viola e mi vergognai.
Avevo scelto di passare un anno della mia gioventù a brandire armi da fuoco, pur essendo un pacifista, mentre quel ragazzo era stato coerente con le sue convinzioni religiose ed era stato messo in prigione per il solo fatto di essere un Testimone di Geova.