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Casa di Zì Antò

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In quel periodo Cesidio lavorava le terre nei pressi del cimitero. Era già quasi scuro quando smetteva di lavorare e doveva fare un lungo percorso attraverso viottoli di campagna non illuminati per tornare verso casa. Perciò portava con sé una lampada a petrolio per rischiarare il sentiero. Cesidio era coraggioso, non aveva paura né di animali né di persone. Però il cimitero gli incuteva soggezione. Il sentiero passava proprio davanti a quel grande cancello sgangherato e arrugginito e dentro potevi vedere, nell’incerto chiarore dei lumini, lapidi e croci di disparate grandezze e fattura. I pochi ricchi del luogo avevano naturalmente tombe monumentali che spargevano intorno le loro ombre lunghissime che fagocitavano quelle, molto più piccole, dei poveri, in modo ingiusto proprio come in vita. Ma tutte finivano infine per fondersi con l’oscurità e il silenzio circostanti che annullavano ogni differenza. A volte aveva notato delle ondeggianti fiammelle spuntare dal terreno. Le vecchie dicevano che erano le anime dei defunti che peroravano più attenzione. Occorreva portar loro qualche fiore o sostituire quelli secchi e dire una preghiera. Per distogliersi da questi inquietanti pensieri, arrivato nei pressi del cancello, Cesidio intonava ogni volta con il fischio un allegro motivetto di marcia. Quella sera però alle sue note si aggiunse un controcanto che proveniva da una certa distanza da dietro le spalle. Se smetteva il fischio, o si girava, il canto s’interrompeva. Al di là della portata del suo lume a petrolio solo il buio più fitto. Dopo aver più volte provato questa pantomima si convinse che c’era qualche strana presenza e questo pensiero lo gelò. Sentì le gambe farsi pesantissime e anche se avesse voluto correre gli sarebbe stato impossibile. Era costretto a trascinarsi lentamente sulla strada con il cuore che gli scoppiava nel petto. Non riusciva neanche più a fischiare. D’improvviso ad alcuni metri davanti a lui intravide, al limite dell’oscurità, una figura sdraiata di traverso per terra sul sentiero. Un grande cappellaccio gli nascondeva la faccia, indossava un completo di spesso tessuto tipico dei vestiti invernali per le feste. Non osava avvicinarglisi. Ma doveva pur passare di lì per tornare a casa. Allora si fece coraggio e gridò verso l’apparizione “Anima del morto fammi passare”. Con sua meraviglia l’anima rispose: “C’è spazio di lato, passa pure”. Ma più si avvicinava e più il corpo dell’apparizione si allungava ostruendo il sentiero. “Ma se ti allunghi non posso passare” esclamava Cesidio. “Ma c’è spazio e ancora non sei arrivato qui” replicava l’anima. “Ma perché mi fai questo, che ti ho fatto di male?” ribatteva Cesidio. “Oh, no! Io mi allungo spesso su questo sentiero” rispondeva l’anima. “Ma fatti vedere in faccia. Che forse sei la bonanima di zì Antò? Ce l’hai con me perché non ti ho fatto dire tutte le messe che mi avevi fatto promettere di dirti con i soldi che mi avevi lasciato. Sai, mi dovevo sposare e mi servivano per costruire casa. Sapessi, zì Antò, quanto viene bene, ah se tu potessi vederla! Pietra su pietra la sto mettendo su. Adesso ci sono tutte le mura di terra, del piano superiore e il tetto. La scala è di legno per ora, per salire su, ma poi la metto di pietra. Il pavimento a terra ancora non lo posso fare, ci ho poggiato un po’ di tavole, però vedessi com’è grande il camino, e come tira bene! Zì Antò, t’ho dato retta: la larghezza della bocca, l'altezza e la profondità devono essere in rapporto 6:5:4. L'altezza della cappa uguale a quella della bocca. L'altezza della canna fumaria almeno 10-15 volte l'altezza della bocca, diritta deve essere, e i lati 2 a 3, altrimenti affumichi tutto. Avevi ragione zì Antò. Ma la parte più bella verrà la cantina che sto scavando sotto il pavimento. Quanto è fresco là sotto e umido! Già immagino come si manterrà bene il vino là! Non per criticarti, zì Antò, ma la cantina tua non era adatta per conservare bene il vino, te l’ho sempre detto!”. Ormai il corpo dell’apparizione si era allungato fino a strabordare oltre il sentiero. Impossibile passare senza sbatterci. “E dai, zì Antò, fammi passare, ché mia moglie e il mio figlioletto mi aspettano, e a quest’ora si staranno preoccupando. Se mi porti con te chi penserà a loro? Moriranno di fame. Non vorrai mica averli sulla coscienza?”. Adesso il corpo dell’apparizione era diventato immenso. La testa era penetrata attraverso le sbarre del cancello del cimitero e si perdeva in mezzo alle tombe, mentre i piedi invadevano la campagna sfumando nell’oscurità, e la crescita sembrava accelerare. “Vedi come sono grande?” tuonava la voce spettrale. Cesidio si vide ormai perduto, raccolse il poco fiato che ormai gli rimaneva e gridò terrorizzato “Zì Antò ti prometto che se mi fai tornare a casa, sulla pietra dell’arcata della porta incido con lo scalpello ‘Casa di Zì Antò’. Te lo giuro, e stavolta mantengo”. La voce dell’anima divenne uno stridìo sempre più acuto, lancinante, così acuto che ad un certo punto non si udiva più. Poi d’improvviso si dissolse. Cesidio raccolse le poche forze che gli rimanevano nelle gambe e cominciò a correre correre, e non si fermò fino a che trafelato si precipitò dentro casa. Adesso non c’è più nessuno in quella vecchia casa un po’ diroccata. Ma se passerai da quelle parti potrai vedere che sull’arcata di pietra della porta è inciso uno stemma con la scritta: ‘Casa di Zì Antò’.


Angelo Ricotta 09/10/2010 19:24 1173

Opera pubblicata ai sensi della Legge 22 aprile 1941 n. 633, Capo IV, Sezione II, e sue modificazioni. Ne è vietata qualsiasi riproduzione, totale o parziale, nonché qualsiasi utilizzazione in qualunque forma, senza l'autorizzazione dell'Autore.
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