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Al bar La Fiorita, negli afosi meriggi estivi, sbracati su scomode sedie sotto il grande castagno selvatico, d’ogni cosa discettavamo in quell’epoca remota. E c’era ‘l’Americano’ fissato con Nembo Kid “Ogni cosa è là mille volte più grande e più bella” ci diceva ammannendoci un hollywoodiano sorriso da dietro le sue spesse lenti. E ci raccontava della svedese insoddisfatta che solo in America aveva trovato il cazzo giusto per lei. Chissà dove le leggeva quelle assurde notizie visto che lui in America non c’era mai stato. Ma l’ex-carrettiere obeso in pensione coi suoi grossi baffi arricciati da antico ussaro sentenziava “Ma che ne sai tu! A me poi interessa solo Rosina con quel suo culone e le tettone. Sono ancora capace di produrre un litro di sburro, chiediglielo se non ci credi”. Il filosofo intanto ideava un nuovo sistema del mondo, a suo dire migliore di quello di Hegel e di Kant. “È Marx il grande” rispondeva il politico “ignoranti, aggiornatevi!”. E io insieme al mio amico tentavo il calcolo a mano di radici quadrate che il maestro Giampietro mi aveva a suo tempo e precocemente insegnato. Poi osavo per analogia quelle cubiche che però non tornavano mai. E così il tempo trascorreva lento e maestoso come un grande fiume senza fine. Qualcuno ogni tanto si alzava per andare a leggersi ad ufo i giornali all’edicola che si trovava alle nostre spalle, oppure si dirigeva all’interno del locale e magnanimamente inseriva una moneta nel juke-box e ci elargiva ‘Romantica’ o ‘Ventiquattromila baci’ o ‘Le mille bolle blu’. Poi verso sera c’era chi rimaneva a prendere il fresco fuori e continuava le interminabili discussioni, chi invece all’interno s’impegnava in partite al biliardo, al biliardino o a carte. Ad un’ora più tarda arrivavano le persone più singolari. Il contadino-matematico era di bassa statura, magro ma muscoloso, viso scavato e cotto dal sole, mani enormemente callose. Si presentava sempre con lo stesso vestito da festa, pantaloni e giacca a quadretti grigi e camicia bianca. Si piccava di saper fare operazioni matematiche anche complesse a mente. Naturalmente si riferiva a quelle che conosceva, ossia alle quattro operazioni aritmetiche. Incuriositi lo mettevamo alla prova e in effetti sapeva fare alcuni calcoli sorprendenti, ma su altri si sbagliava. Forse se avesse avuto l’opportunità di un’istruzione sarebbe potuto diventare un matematico davvero, data la sua grande passione per i numeri interi.
Una volta si presentò un tale che diceva di star praticando il romitaggio presso l’eremo di San Celestino V sul Morrone. Capelli e barba incolti, lunghi, figura ascetica, occhi spiritati. Si sedeva sempre ad un tavolino interno, da solo e non cercava compagnia. Se però lo si coinvolgeva allora un poco si apriva. Diceva di venire dalla Toscana, ed in effetti l’accento lo confermava, e di aver girato diversi eremi. Il suo scopo era naturalmente l’elevazione spirituale, l’affrancamento dalle miserie della carne. Una sera qualcuno gli volle fare uno scherzo e cominciò a provocarlo ammiccando alle floride grazie della nostra barista Rosina. La stessa si prestò al gioco e cominciò a ronzargli intorno sporgendosi con noncuranza verso di lui esibendo così un seno abbondante anche se la consistenza cominciava ad accusare gli anni. L’eremita ad un certo punto sbottò, saltò in piedi e con voce fortemente emozionata gridò “Donna che mi tenti? Vieni nel mio eremo e ti farò vedere!” Per un po’ nel locale scese il silenzio per l’inaspettata uscita. Io ebbi comunque l’impressione che Rosina non fosse del tutto disinteressata all’originale proposta! Poi tutti scoppiarono in una fragorosa risata. L’eremita uscì di corsa e si perse nella notte. Non si fece vedere per alcuni giorni, poi riapparve comportandosi come suo solito. I rapporti ripresero normalmente, ma dopo qualche tempo non si fece più vedere definitivamente.
Più tardi passava lì vicino, all’interno della villetta comunale, senza mai fermarsi al bar, un curioso individuo dalla complessione corpulenta e dal passo incerto. Ogni tanto si fermava e gridava a voce alta “Chi è?” e poi riprendeva il cammino. Le solite malelingue dicevano che un tempo fosse stato un bravo falegname che per una questione di corna della moglie si era ridotto male. Avrebbe chiuso la falegnameria e iniziato a frequentare le osterie. Ma nessuno sapeva spiegare il perché del suo particolare grido. Una volta mentre con un mio amico bighellonavo per il paese incontrammo ‘Chi è?’, come l’avevamo soprannominato, stranamente abbastanza sobrio da poterci parlare. All’epoca ci dilettavamo con esperimenti vari, in particolare di chimica, e discutevamo spesso, anche a sproposito, di cose che non conoscevamo bene. Così attaccammo con ‘Chi è?’ una solfa sul mercurio esternando tutta la nostra sapienza in merito basata su qualche termometro rotto e sull’osservazione di piccole palline rotolanti dal comportamento inaspettato. ‘Chi è?’ accennò un sorrisetto e ci disse “Ma voi avete mai visto un’intera boccetta di mercurio?”, “E chi può averla?” rispondemmo ingenuamente “dev’essere uno molto ricco!”.
Chissà perché avevamo l’impressione che il mercurio costasse un’enormità. Egli allora ci fece cenno di seguirlo e ci portò in un magazzino polveroso tutto ingombro di strumenti da falegname. Da uno scaffale prese una boccetta di plastica, l’aprì e…miracolo…mai visto tanto mercurio! Contagiato dal nostro entusiasmo ci disse “Prendetevela ragazzi, tanto a me non serve più”. Quanti esperimenti facemmo con quel mercurio! Scoprimmo anche che scioglieva l’oro. Se ne accorse con disappunto il mio amico che sporgendosi sopra una vaschetta, dove lo avevamo travasato per studiarlo, gli capitò di farci penzolare dentro la catenina col crocefisso che aveva al collo. Il crocefisso scomparve nello strano liquido, la catenina si slacciò e cadde nella vaschetta. Mentre perdevamo tempo a pensare al modo di recuperarla, temendo di affondarci la mano, l’oro svanì come d’incanto nel liquido argenteo. Vane furono le nostre ricerche scandagliando il densissimo liquido con un bastoncino di legno o travasandolo in un altro contenitore, della catenina nessuna traccia! Quante cose abbiamo imparato da quel mercurio, quel che resta del quale conservo da qualche parte. Fu anche una grande lezione di umiltà: prima di affermare di sapere verificare. Grazie a ‘Chi è?’ del quale mai conoscemmo il vero nome. Di quante persone incontrate e che qualcosa ci hanno donato non abbiamo mai saputo il nome né abbiamo avuto l’opportunità di ricambiare! Ti ricorderò sempre con gratitudine, dovunque tu sia, qualunque cosa tu abbia fatto della tua vita. Un frammento di essa vive dentro di me e io ora lo consegno al vento.
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