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La storia che sto per narrare ha dell’ incredibile e dimostra, in modo inequivocabile, come, a volte, il destino di una persona può essere condizionato da un evento insignificante, che però avrebbe potuto cambiare il corso della sua vita. Nicoletta Pedozzi, giovane e bellissima ragazza, primogenita di una famiglia contadina abruzzese, quasi ancora adolescente, fu mandata dalla madre a lavorare presso una famiglia benestante romana, per contribuire al sostentamento dei suoi otto fratellini che versavano in una situazione di assoluta povertà. Inizialmente, Nicoletta incontrò difficoltà oggettive a farsi capire dai romani, in quanto non era mai andata a scuola e parlava soltanto il dialetto quasi incomprensibile del suo paesello di montagna, ma siccome era molto seria e grande lavoratrice, riuscì a farsi apprezzare sia dalle persone che frequentava che dai suoi datori di lavoro. Subito dopo la fine della Seconda Guerra Mondiale, le donne italiane cominciarono a vestirsi in modo tale da mettere in risalto la loro femminilità, esibendo abiti con fantasie allegre e abbondanti di decorazioni. La ragazza, dopo sei mesi di duro lavoro, riuscì finalmente a comprarsi un abito alla moda: una gonna a ruota che svolazzava maliziosamente intorno al suo splendido corpo, con un corsetto che terminava in vita e una cintura colorata. A completare l'abbigliamento si comprò un paio di scarpe a tacchi alti di un colore abbinato all’ abito. Era l’ inizio del mese di agosto del 1954 e Nicoletta, dopo aver lavorato per tutta la mattinata, era uscita e si era seduta su una panchina di legno davanti alla Fontana di Trevi. Per l'occasione aveva indossato l’ abito nuovo che usciva da una boutique del centro città. Aveva un appuntamento con Michele, l’ uomo che sarebbe diventato suo marito e con cui avrebbe passato felicemente cinquant’ anni della sua vita. Uno strillone le si avvicinò e le vendette un giornale che lei comprò per darsi un tono disinvolto. Dopo aver piegato accuratamente il quotidiano in quattro, Nicoletta fece finta di leggere, naturalmente non capiva una sola lettera di quello che vi era scritto, dopo qualche minuto stringendo fra le mani il quotidiano iniziò ad osservare la Fontana che le stava di fronte. Si chiese con stupore perché il monumento attirasse tanto interesse nei passanti che si fermavano a fotografarla e facevano commenti. Ma lei che non sapeva niente sull'arte, niente sulla storia proprio non riusciva a provare alcun interesse. La sola cosa che lei sapeva di Roma era che fosse la capitale d’ Italia e conosceva a mala pena il nome del Papa. Spazientita per il ritardo del fidanzato, prese il quotidiano e iniziò ad usarlo come fosse un ventaglio. Improvvisamente, un uomo con un cappello di panama bianco calcato sulla testa s’ avvicinò a Nicoletta e si mise ad osservarla con particolare attenzione attraverso le dita delle mani che aveva incrociato a mo’ di cinepresa. Si avvicinò e chiese a bruciapelo alla ragazza: “ Le piacerebbe fare del cinema, signorina?”. “ Il cinema?”, rispose Nicoletta visibilmente a disagio perché aveva visto a malapena un paio di film nella sua vita. “ Stiamo cercando dei volti nuovi per un film che mi appresto a girare. Le piacerebbe venire a Cinecittà per un provino?” Nicoletta arrossì fino alla punta dei capelli, farfugliò qualcosa d’ incomprensibile tra i denti e con un’ aria leggermente ebete guardò il cappello dell’ uomo. “ Le piace il mio cappello, signorina?” La ragazza era come paralizzata dalla situazione in cui si trovava, poiché non capiva quasi non capiva neppure il linguaggio con cui si esprimeva l’ uomo. Poi lui aggiunge con voce suadente: “È un Cappello di Panama, le piace?”. Nicoletta si chiuse a riccio e non riuscì a proferire parola. Ma per un riflesso condizionato, ereditato dalla sua cultura contadina non aggiunse altro perché era convinta che l’ uomo le stesse mancando di rispetto. Lui incuriosito si avvicinò a Nicoletta, si tolse il copricapo, aprì il suo portafoglio, prese un biglietto da visita, che inserì nella cinta del cappello, e glielo porse. Nicoletta si scansò, quasi temesse il regalo dell’ uomo e rivolse, quasi impaurita, lo sguardo verso i numerosi passanti che affollavano il piazzale antistante la Fontana di Trevi in cerca di un improbabile aiuto. “ Signorina, pocanzi stava leggendo il giornale al rovescio, comunque l’ aspetto domani mattina a Cinecittà alle 10. 00!”, aggiunse l’ uomo che si allontanò sorridente. Nicoletta rimase per qualche minuto seduta, poi prese il giornale che aveva dimenticato, si alzò e si allontanò dalla panchina di legno. “ Signorina, ha dimenticato il cappello!”, le gridò un giovane militare che stava mangiando un enorme gelato al cioccolato. Nicoletta tornò indietro, prese il cappello di Panama tra le mani e si allontanò lentamente tra la folla. Quel cappello rimase appeso alla parete della sua camera da letto per circa mezzo secolo, senza che attirasse l’ attenzione di nessuno, fino al giorno in cui sua figlia Mirella non decise, per chissà quale motivo, di pulirlo. Rimane letteralmente sconvolta quando lesse il biglietto da visita che l’ uomo con il cappello di Panama aveva inserita nella sua cinta bianca. Era quello del famoso regista Dino Risi e il film che si accingeva di girare era “ Pane, amore e…” con Antonio Cifariello, Vittorio De Sica, Sophia Loren, Mario Carotenuto, Tina Pica, uscito poi nel 1955. Dopo la morte del marito, avvenuta nel 2010, prima di addormentarsi la sera, dopo aver detto le preghiere, Nicoletta guarda con pudore e nostalgia quel cappello di Panama che, forse, le avrebbe potuto aprire le porte di Cinecittà e, se avesse saputo leggere, chissà quale altra possibilità di recitazione.
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I fatti ed i personaggi narrati in questa opera sono frutto di fantasia e non hanno alcuna relazione con persone o fatti reali.
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