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Rosa Bocca D'oro

Amore

8 luglio 1576 lido di Venezia.

I monatti erano andati via. Avevano fatto salire su una barca i moribondi per condurli al Lazzaretto Vecchio e sulla chiatta avevano accatastato i morti, come prescritto dalla legge. Una volta al largo avrebbero appiccato il fuoco: le fiamme avrebbero purificato tutto. I monatti pensavano di avere bussato a ogni uscio delle casupole allineate sul lido, di avere rovistato ogni stanza, di avere rubato il poco che si poteva rubare, dopo avere frugato daperttutto. Ma erano forestieri (nessun veneziano avrebbe svolto quel lavoro) non conoscevano bene i luoghi ed erano all'oscuro dei segreti di quella città straziata dalla peste. Non si accorsero che ciò che sembrava un cumulo di frasche ammonticchiate sulla riva era in realtà una casa. Una casa per modo di dire, tanto era vecchia e diroccata. Era lì che viveva Bocca D'oro e la sua miserabile dimora non era stata sfiorata dalle avide mani dei monatti.

Un tempo Bocca D'oro aveva un nome e una casa vera, si chiamava Rosa Ferranti, si prostituiva per due scudi e sua madre le faceva da ruffiana. Quando pioveva, non entrava acqua dal tetto, sul pavimento della cucina non gironzolavano le galline, non c'era disordine di fascine e pentole ammaccate e setacci bucati alla parete. C'era più ordine e pulizia nella sua casa e Rosa si guadagnava il pane , un vestito nuovo e l'olio per il lume. Un mercante un giorno le regalò uno specchio. Quello specchio valeva un patrimonio, tanto era perfetto. Fu così che Rosa Ferranti si vide per la prima volta. Come Narciso curvo sull'acqua s'innamorò di se stessa, del suo viso...del suo corpo, del suo sorriso, delle sue orecchie cesellate finemente, come conchiglie. S'innamorò di se stessa e anziché ringraziare il mercante per quello splendido dono e coprirlo di carezze, si lasciò tutto alle spalle e fuggì. Nessuno la vide più ricamare alla finestra e cantare dolcissime melodie per intenerire il cuore degli uomini, convincendoli a slacciare i cordoni Della borsa. Rosa Ferranti sparì e nessuno ne seppe più nulla.

Un giorno sulla spiaggia del lido si materializzò lei, novella Venere...Bocca D'oro. Fu un poeta a chiamarla così...Un poeta povero, spiantato, un po' vigliacco e sfortunato nel lavoro come negli affari di cuore. Lui si chiamava Giovanni e scrisse per lei le liriche più belle. Per Rosa era l'uomo più bello, più affascinante del mondo. Il poeta e la stracciona si amarono nel tugurio sulla spiaggia...”Posso unire i miei versi con i tuoi stracci?” Le chiese lui. Al risveglio lei non provava vergogna per gli abiti sbrindellati, dai cui buchi appariva il candore della sua pelle. La luminosità di quella pelle abbacinava Giovanni e la nudità di Rosa andava esibita (secondo il poeta) non mortificata come un difetto da tenere nascosto. Lei sorridendo diceva di si e usciva fuori, contenta dei suoi stracci, vittoriosa nella sua povertà. Ma i poeti non amano a lungo. S'innamorano in fretta perché ne hanno bisogno per scrivere. Per convincersi di essere vivi. Poi...all'improvviso vanno via, senza nemmeno un saluto. E non tornano. Bocca D'oro, lo ha capito...Dopo interminabili lacrime finalmente...ha capito. Lei non è più la Venere di un tempo, non ha più allegria negli occhi e quello splendido sorriso. Dentro lo specchio, una volta aveva scoperto una bellissima bocca e dentro due fili di perle lucenti. Adesso mangia pane di miglio e deve stare attenta quando mastica perché i denti le ballano in bocca. Non sa più quale sia la sua faccia. Prima (secoli prima) il suo sguardo era come un cielo senza nuvole. Glielo aveva detto il suo amante poeta ed era dolce pensare che fosse davvero così e che lui (anche se per poco tempo) l'avesse amata davvero e...non soltanto per scrivere le sue poesie. I monatti se ne sono andati e lei si sente tanto debole. Ha partorito il giorno prima, da sola...benché urlasse nessuno era venuto ad aiutarla...tutti stavano rintanati, avevano paura della peste...ed era nato il figlio del poeta. Rosa se l'era tenuto sul seno sperando che succhiasse ma dalle sue mammelle non sgorgava niente. La carestia e la fame le avevano prosciugato il seno. Il bambino aveva pianto per un po' debolmente e alla fine si era addormentato.

All'alba suonarono le campane della chiesa e al piccolo angelo volo vià l'anima. Bocca D'oro si mise a pregare per il freddo angioletto chiedendo a Dio di regalare le ali a suo figlio. Poi udì il trambusto dei monatti. Era certa che l'avrebbero presa e inclusa nel numero degli appestati. L'avrebbero condotta al lazzaretto, un luogo da dove non si ritorna. E il bambino? Gettato come un fagotto e bruciato...lui così piccolo, cosi innocente! Pregò molto, a fior di labbra e nel suo dialetto e quella preghiera accorata scivolò tra le fessure del tetto, dove trapelava una debole luce e superò l'azzurro infinito sino ad arrivare alla nube dove Dio si era messo in ascolto. Dio capisce tutte le lingue e tutti i dialetti (non c'è bisogno di pregare in latino) e accontentò Bocca D'oro, senza chiedere nulla in cambio, contrariamente alle usanze umane. Ma tutto quel sangue che le colava tra le gambe annunciava che la fine era vicina. Bocca D'oro si trascinò fino all'uscio per contemplare il mare. Bisognava morire con qualcosa di azzurro negli occhi, di azzurro e di luminoso che possa cancellare la fame, la fatica, il dolore.

La donna stringe gli occhi, mette una mano sulla fronte a contrastare il riflesso del sole, mette a fuoco una barca senza remi né vela, che si fa sempre più vicina. “Non può essere il traghettatore che mi porterà all'inferno” pensa Bocca D'oro, rammentando le pochissime lezioni di letteratura che il poeta le aveva impartito in cambio dei suoi baci. È un pescatore sorpreso da una burrasca, rimasto senza viveri e senz'acqua. Solleva appena la testa ma...c'è troppa luce per vedere i contorni di quel viso...Ma no...non è possibile...non può essere il suo poeta... è così mal ridotto. Forse sta delirando...Le onde fanno troppo rumore per sentire ciò che Giovanni mormora...ma si...chiede dell'acqua, un sorso d'acqua fresca. Bocca D'oro apre la bocca per gridare aiuto ma non esce niente dalla sua gola...non ha più forze, non ha più sangue nelle vene. E non ha acqua da dare al suo poeta, come non aveva latte per il suo bambino. Ma qualcuno avrà visto arrivare la barca, ci sarà un'anima pietosa che porterà dell'acqua. Perché non viene nessuno? La peste ha riempito la mente degli uomini di terrore.

Nessuno ha voluto rischiare, nessuno si è preso la briga di fare cento passi. Il poeta darebbe una gamba o un braccio per un sorso d'acqua...ma la donna che lo guarda, distesa sulla soglia della casupola ha un volto bellissimo . “Dio...come ho fatto a dimenticare la mia Bocca D'oro, come ho fatto a sostituirla con altre donne?...Soltanto lei ho amato, spero che mi abbia perdonato”.

No, è troppo bianco e pallido quel volto per essere vero, forse Bocca D'oro si è trasformata in un Angelo. E Giovanni rende l'anima a Dio.

No, è troppo piccola la barca per reggere il peso di tutti e tre, dev'essere per forza il paradiso il luogo dove Dio vuole che vada. E l'anima le vola via dalle labbra, nello stesso momento di quella del poeta. Finalmente sono uniti per l'eternità


Sara Acireale 09/01/2012 09:42 3 1524

Opera pubblicata ai sensi della Legge 22 aprile 1941 n. 633, Capo IV, Sezione II, e sue modificazioni. Ne è vietata qualsiasi riproduzione, totale o parziale, nonché qualsiasi utilizzazione in qualunque forma, senza l'autorizzazione dell'Autore.
La riproduzione, anche parziale, senza l'autorizzazione dell'Autore è punita con le sanzioni previste dagli art. 171 e 171-ter della suddetta Legge.
I fatti ed i personaggi narrati in questa opera sono frutto di fantasia e non hanno alcuna relazione con persone o fatti reali.


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Nota dell'autore:
«Una bella e drammatica storia d'amore ambientata durante il periodo della peste a Venezia...»

La bacheca del racconto:

incisivo ed emozionante il tuo splendido racconto (Scimonelli Giacomo)

sorprendente,emozionante l'epilogo! (Colomba)

Una fine piena di pace! Fiocco, conservo ammirata! (rosanna gazzaniga)


Commenti sul racconto Commenti sul racconto:

«Un racconto meraviglioso! Una grandissima capacità di entrare nella psicologia dei personaggi e di esternare in frasi emozionanti la loro cruda resa ad una vita colma di miseria e di poche gioie! Sei grande Sara, riesci sempre ad emozionarmi!»
rosanna gazzaniga

«E allor non furono parole al vento, ne versi d’amor, scritti solo con l’intento di stupire. sentimento, che tardivo prende in sopravvento, che sconfigge la morte alle sue porte, che unisce anime perse, nello scorcio di una vita vissuta duramente. Non ci saranno solo specchi a consolare immagini distorte dalle vicissitudini terrene, ma sincera è quell’anima, che ogni giorno nell’altro spera. Triste questo racconto, solitudine e speranza, amore e malinconica realtà, s’innestano su di una base storica e trasmettano al lettore, tutta l’amar dolenza dell’epoca. Fede e umana presenza, si intrecciano nel racconto, Amore che resiste oltre il lecito tempo della vita.
Molto apprezzato.»
Saverio Chiti

«Tragica storia, ricca nel finale di quello che tutti gli esseri umani desiderano e cioé essere amati e amre eternamente e in tutta la storia che gira attorno ad un perno centrale che é l'indissolubilità dell'amore tra un uomo e una donna, vive fatalmente tutti i momenti esterni che dividino avvicinano e allontanano e finalmente in finale quel volo di due anime che si ricongiungono per l'eternità,.»
Pulse

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Il primo racconto pubblicato:
 
La principessa triste (06/10/2010)

L'ultimo racconto pubblicato:
 
Coronella e i suoi fratelli (09/12/2020)

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Il racconto più letto:
 
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