Sfuggita alla morte in un campo di concentramento (dov’ era stata prigioniera con sua madre) era stata accolta presso un istituto di Suore carmelitane. Aveva allora circa 8 anni. Aveva soggiornato sporadicamente presso parenti e, qualche volta, presso la famiglia di qualche compagna, ma rientrava sempre in collegio dicendo: “ Questo è il nido dove voglio tornare”. Dopo avere conseguito il diploma magistrale, aveva chiesto di volere diventare suora. Dopo due anni di noviziato era diventata suora e, per il suo carattere buono, pacifico, le era stato imposto il nome di Suor Serena.
Il suo programma di vita era: trasmettere pace e serenita, portare gioia. Era contraria ai soprusi e a tutte le ingiustizie e insegnava alle sue allieve: “ Quando il cuore è in pace con Dio, lo è pure con il prossimo”.
Suor Serena non amava parlare del suo passato, della sua infanzia. Anche se molto portata per gli studi, non aveva voluto proseguire e andare all’ università, non le interessavano gli studi filosofici e non era attratta da Freud. Emessi i voti perpetui era diventata Madre Serena e il suo cuore amava di affetto materno quei giovani fiori che si trovavano in colleggio. Una vita un po’ monotona, quasi sempre uguale, scandita dalle regole dll’ ordine dei carmelitani. Scuola al mattino, pranzo e poi... presenza costante con le “ sue ragazze” per tutto il pomeriggio.
In un’ assolata domenica di giugno (mentre attorno tutto era silenzio) Madre Serena leggeva tranquillamente in biblioteca. Assieme a lei c’ era Lucia, una simpatica ragazzina di dodici anni. Si sentì bussare al portone d’ ingresso e Madre Serena mandò Lucia ad aprire. La ragazzina corse ad aprire senza ascoltare la raccomandazione della suora: “ Non aprire subito, chiedi prima chi è”.
Madre Serena si immerse nuovamente nella lettura, ad un tratto sentì un forte grido: “ Aiuto! Madre la prego, mi aiuti!”. Serena si alzò precipitosamente e andò nel corridoio adiacente la biblioteca, dove si apriva il portone d’ ingresso. Davanti ai suoi occhi si presentò una scena orrenda. C’ era un uomo, con indosso soltanto il cappotto, stringeva sul suo corpo nudo la piccola Lucia che cercava di liberarsi mentre le mani del mostro s’ infilavano sotto il vestito della ragazzina.
Madre Serena, con rabbia, con disgusto, prese un pesante porta ombrelli e con tutta la sua forza lo scaraventò sulla testa di quell’ uomo che cadde a terra tramortito. Prese in braccio la piccola Lucia e incominciò ad accarezzarla piano, piano. Nel frattempo giunsero le altre suore e notarono il pallore di Madre Serena e i suoi occhi sbarrati. Poi... improvvisamente cadde a terra svenuta. Il medico parlo di choc e disse che la suora aveva bisogno della massima comprensione.
Riavutasi dallo svenimento lei volle vedere subito Lucia e incominciò a ricordare... cosa era accaduto a una bambina di 8 anni in un campo di concentramento. Ricordare... quello che per tanto tempo aveva tenuto nei recessi della sua mente. Ricordare... quella cosa brutta che aveva rovinato la sua vita e aveva fatto morire sua madre.
Era una piccola ebrea di nome Ester e stava, assieme alla mamma Anna, in un campo di concentramento di cui non ricordava il nome. Il campo non era molto grande, ogni capanna (così venivano chiamati gli alloggi), comprendevano venti letti da campo. Le donne indossavano un bruttissimo pigiama, scarpe pesanti da uomo e avevano la testa rasata. Quando Ester chiedeva notizie del padre la madre abbracciandola rispondeva: “ Piccola mia, la guerra ha portato via tuo padre”. E Ester chiedeva: “ Mamma, torneremo a vivere come prima?” Sua madre rispondeva: “ Sarà come Dio vorrà”.
La sera Anna si spogliava dei ruvidi abiti da lavoro per indossare un vestito più femminile e si metteva pure un po’ di rossetto, poi dato un bacio alla figlia usciva. Durante quelle uscite notturne la piccola era affidata a Noemi una donna la cui figlia era riuscita a emigrare in America e a salvarsi. Ester non soffriva la fame perché sua madre riusciva a farle mangiare (di nascosto delle altre donne) cioccolato e biscotti e, qualche vota, anche un pezzo di carne o di pesce. Tutte leccornie che Anna portava dalle sue uscite notturne.
Una sera la sorvegliante suggerì a Anna di portare con se anche la piccola Ester. C’ era festa e musica quella sera e le donne avrebbero mangiato a sazietà senza finire nel letto di qualche SS. Così aveva detto la capò. Anna portò con se la figlia. Gli uomini del comando avevano mangiato e bevuto in un modo che sembrava diverso dal solito. Quella sera era presente un ufficiale biondissimo e dai cattivi occhi di ghiaccio, con un aspetto ripugnante. Più di una volta aveva osservato la piccola Ester. Aveva esclamato: “ Questa bambina diventerà ancora più bella della mamma”. L’ aveva chiamato vicino a se e, mentre le offriva del cioccolato, aveva incominciato a toccarla. La bambina, impaurita, incominciò a chiamare la mamma: “ Mamma, mamma! Ma cosa vuole farmi questo signore?.”
Anna era accorsa gridando: “ NO, LEI NO!!”. L’ ufficiale tenendo stretta a se la bambina con una mano, con l’ altra diede una spinta a Anna urlando: “ Vattene via cagna di un’ ebrea”. Anna cadde battendo lo stomaco e la faccia sul duro tavolo. La piccola Ester lanciò un grido straziante e svenne. Rinvenne sul suo giaciglio nella capanna. Chiamò la mamma... le risposero che non stava bene. Ester sembrava non rendersi conto di nulla ma... forse era troppo piccola per capire.
Stentò a riconoscere sua madre (la bella e solare Anna) in quella donna deformata che giaceva sul lettino dell’ infermeria, le avevano estirpato alcuni denti a seguito dello spostamento della mandibola e il suo volto era tumefatto. Il medico del campo aveva cercato di arrestare un’ emorragia interna ma... invano perché le medicine erano inadeguate.
Anna morì dopo tre giorni di agonia e con l’ angoscia di lasciare la figlia da sola. Quando Anna morì arrivarono gli alleati per liberare ciò che era rimasto di quell’ umanità sofferente. Ester andò via dal campo con la visione della sua povera madre martoriata e sofferente e seppellendo i brutti ricordi in un angolo molto remoto della sua memoria e lì sarebbero rimasti se non ci fosse stato quel grido: “ Aiuto, Madre Serena! AIUTO!” Ma adesso lei aveva ricordato e niente poteva essere più come prima. Il medico la costrinse al riposo e così potè rivedere il suo passato e il perché della sua vocazione.
Aveva capito che il suo posto non era più al convento delle carmelitane ma fuori, nel mondo aveva una GRANDE missione da compiere: doveva parlare, doveva girare per le scuole, per le fabbriche e raccontare a tutti degli orrori del nazifascismo. La superiora e le altre consorelle fecero di tutto per non farla andare ma lei fu irremovibile e alla fine, con le lacrime agli occhi uscì per sempre dal guscio protettivo dov’ era stata fino a quel momento per seguire un’ altra grande VOCAZIONE a cui era stata chiamata... raccontare per non dimenticare MAI, per non perdere la memoria.