La conobbi per caso, in un bar del centro.
Aveva poco più di quarantacinque anni, biondina con i capelli corti, gli occhi colore nocciola, il naso all’insù e lo sguardo sperduto di una gazzella inseguita da un ghepardo.
Entrò nel locale, illuminato da un neon che emetteva una strana luce, con una nonchalance che sembrava essere abilmente soppesata in ogni suo movimento corporeo.
Si avvicinò alla barista e, senza neanche alzare la testa, ordinò con una voce stridula :
“Il solito caffè, Maria, grazie”.
Prese nelle mani la tazza del caffè che la cameriera aveva posato sul banco, e poi si allontanò con un’aria aggraziata, simile a quella di una ballerina che esegue un passo di danza sul palcoscenico.
Si sedette fuori dal locale, sotto un gigantesco tendone a strisce.
Estrasse dall’enorme borsetta, che aveva posato delicatamente su una sedia, le sue cianfrusaglie: un cellulare vecchio tipo con un ridicolo portafortuna a forma di delfino, un accendino Bic, una bustina di filtri ed una di cartine per sigarette rollate.
Si portò la tazza alle labbra e cominciò a guardarsi attorno come se stesse aspettando qualcuno. Aprì lentamente gli occhi, come se avesse paura di trovarsi in un posto diverso e, dopo aver guardato una cliente incinta che entrava nel caffè, disse ad alta voce:
“Rollare tabacco è un’arte...”
Dovetti fare uno sforzo per capire le sue parole perché, nonostante fosse molto presto la mattina, il traffico era intenso e fastidioso.
“Ero quasi riuscita a smettere tre anni fa, poi ho ripreso a fumare sigarette rollate. Dicono che fanno meno male alla salute e… costano di meno.”
Abbozzai un cenno con la testa e replicai quasi con spavalderia:
“Io, ho smesso di fumare l’11 giugno 1984, me lo ricordo come se fosse oggi…”
“Addirittura!... Si ricorda la data precisa in cui ha smesso di fumare!”, rispose la sconosciuta mentre cominciava ad arrotolare la sigaretta sul tavolo con sorprendente destrezza.
Passò due volte la punta della lingua sulla cartina, poi la guardò con attenzione e, dopo essersi accorta che era leggermente sbilenca, se la portò alla bocca con lentezza, cercando di aggiustarla con la punta delle dita. Afferrò l’accendino con la mano destra ed accese la sigaretta, respirando il fumo a pieni polmoni.
“Ormai, è diventato un rito per me. Se non fumo almeno una sigaretta rollata, prima di andare a lavorare, mi manca qualcosa. Se non lo faccio, è come se avessi un vuoto nello stomaco”.
Si sollevò la maglietta di cotone ed indicò lo stomaco con il dito.
Fu in quel preciso momento, che durò una frazione di secondo, che intravidi sul suo ventre un tatuaggio raffigurante un dragone.
Rimasi in silenzio ad osservarla mentre lei si gustava le ultime boccate della sigaretta rollata che aveva preparato con tanta delizia.
Si alzò con calma, rimise tutte le sue cianfrusaglie nella borsetta, e dopo aver accennato ad un saluto con la testa, scomparve in mezzo alle macchine parcheggiate.
Non la rividi mai più.
Peccato, perché se l’avessi incontrata di nuovo le avrei confidato che anche mio padre rollava le sue sigarette e che, quarant’anni dopo la sua scomparsa, ricordo ancora distintamente l’odore del suo tabacco.