Una volta, quando mi parlavano di mobbing, il mio atteggiamento era di incredulità. Credevo che gli episodi fossero volontariamente “coloriti” per dare più enfasi al racconto.
Mi dicevo che a volte la nostra mente elabora pensieri ossessivi, molto vicini alla mania di persecuzione. Così il racconto di Carla, impiegata in un'azienda privata che aveva sempre fatto il suo lavoro con coscienza, ma non aveva la capacità di abbassare la testa di fronte alla dirigenza, all'inizio mi era sembrato un po' troppo fantasioso. Ma presto dovetti ricredermi.
Raccontava che dopo 20 anni di lavoro, senza mai un giorno d'assenza per malattia, mai un ritardo, mai un dissidio con colleghi o superiori, si era dapprima vista passare avanti una ragazza appena diplomata, e subito dopo l'atteggiamento del capo nei suoi confronti era totalmente cambiato. Non la chiamava più per discutere insieme i progetti della settimana, le toglieva un po' alla volta il lavoro affidandolo alla nuova ragazza con la scusa che lei era oberata, non la invitava più per il caffé, anzi spesso invitava la nuova ragazza davanti a lei senza neanche fare un minimo accenno di cortesia nei suoi confronti.
Con il passare del tempo si era accorta di non avere quasi più nulla da fare.
Arrivava la mattina nella sua stanza e spesso non trovava nemmeno la sua sedia. Quando andava a cercarla, era sempre nella stanza del suo capo che stava tenendo una riunione con tutto lo staff, riunione alla quale lei ovviamente non era stata invitata.
Atteggiamenti che la insospettirono da subito, ma verso i quali non poteva fare molto. Qualsiasi spiegazione chiedesse veniva liquidata con risposte secche e sfuggenti.
Fino a quando, al rientro dalle ferie, trovò la sua stanza completamente vuota con i muratori che stavano costruendo un muro che la divideva in due. Dopo varie richieste di spiegazioni alle quali nessuno sapeva rispondere, le dissero che la parte più grande e con la finestra serviva alla ragazza nuova per poter stare più vicino a quella del capo e a lei sarebbe rimasta l'altra parte, quella “duemetripertre”, quella senza finestra, perché ricavata all'interno dell'altra.
A questo punto decise di andare al sindacato dove fu subito rassicurata. Le dissero di non preoccuparsi, che se lei dava loro il mandato, avrebbero fatto una vertenza e nel giro di poco avrebbe riavuto il suo posto.
Ma le cose non andarono proprio cosi'.
Messi al corrente da qualcuno delle sue intenzioni, non tardarono a mandarle la prima lettera di richiamo in cui le intimavano di non alzarsi più continuamente per uscire a fumare, che questo negli ultimi 6 mesi era andato a discapito della produzione; infatti i risultati avevano subito una forte flessione, a causa dei ritardi sulla consegna di diversi progetti, ritardi ovviamente dovuti alla sua scarsa poduttività. Per chiudere le chiedevano di evitare di lamentarsi continuamente con gli altri colleghi, perché questo li disturbava enormemente e distraeva anche loro dal lavoro.
Tutte cose false.
Carla aveva ripreso a fumare proprio a causa delle tensioni sul lavoro, ma lo faceva sporadicamente. Al massimo ne fumava una dopo il caffé e una dopo pranzo. Anche a lei dava fastidio fumare durante le ore di lavoro, perché non aveva voglia di scendere per strada.
Non era neanche vera la seconda cosa di cui l'accusavano. Non aveva parlato con nessuno di quello che le stava accadendo. La prima persona alla quale aveva raccontato tutto era proprio il rappresentante sindacale. Sarà una casualità che subito dopo quest'ultimo ha fatto carriera nel sindacato.
Non tardò nemmeno la seconda lettera di richiamo. Bastò una sua telefonata alla mamma dal telefono fisso, perché quel giorno non si sentiva bene e lei era preoccupata. Carla raramente faceva chiamate personali. Le scrissero che stava superando il limite, che al terzo richiamo ci sarebbe stato il licenziamento.
Pianse Carla quel giorno. Pianse tutte le lacrime che aveva trattenuto in quei mesi.
Capi' che ormai non c'era più niente da fare, che avrebbe perso il lavoro nella maniera meno dignitosa possibile, capi' che l'avevano incastrata pur senza che lei avesse fatto niente, che a nulla sarebbero valse le sue rimostranze.
E fu li' che decise. Dopo mesi di notti insonni, decise che non avrebbe aspettato che fossero gli altri a dirle che lei non valeva, ragion per cui se ne doveva andare.
Decise di fare lei il primo passo e subito cominciò a scrivere la sua lettera di dimissioni.
Alla fine si senti' stranamente sollevata. Tutte le preoccupazioni sembravano svanite: il mutuo, la malattia della madre, la macchina da cambiare. Sembrava tutto superfluo.
Era libera. Finalmente.