L’ape Gelsomina era molto allegra e gioviale; aveva modi garbati per chiedere il nettare ai fiori, non lo rubava mai senza permesso. Un giorno successe una cosa molto strana. Rossano, un tulipano molto avaro, desiderava, da tempo, chiedere a Gelsomina di poter avere ricompensa al favore. Nonostante i continui rifiuti di Gelsomina, riuscì a farsi portare, dall’ape, nell’alveare.
Gelsomina si adoperò per reciderlo e, afferratolo con le zampette, lo portò nella sua dolce casa.
Qui, l’ape, iniziò a trasformare il nettare, ad impastarlo per ottenerne miele. Mentre stava assistendo a questo meraviglioso spettacolo naturale, Rossano iniziò a sentire strane voci. Cosa stava succedendo? Lo seppe soltanto più tardi quando, l’apicultore, avvolto in una tuta speciale, con viso e mani coperte, sollevato il tettuccio dell’arnia, accortosi della sua presenza, lo scaraventò lontano.
“Cosa ci fai qui dentro, tu, e come ci sei finito?” – “Via!”- tuonò.
Aveva osato un po’ troppo Rossano ed ora era questa la fine che gli toccava, triste, ma meritata.
L’ape Gelsomina divenne un po’ malinconica, ma doveva sbrigarsi ed unirsi alle altre dello sciame che, con danze particolari, le indicarono dove si trovasse il nettare.
Si buttò a capofitto ed atterrò in un bellissimo campo di tulipani rossi: nonostante tutto, erano diventati i suoi fiori preferiti.