Entrando in casa, ancor prima di togliersi cappello, cappotto e scarpe, Sandra si diresse alla segreteria telefonica, come sempre faceva, la spia rossa lampeggiava, annunciando la presenza di qualche telefonata. Si sedette sul divano e pigiò il tasto play:
La voce metallica della segreteria annunciò la presenza di tre messaggi. Il primo messaggio era di sua madre, Sandra l’avrebbe richiamata il giorno seguente; il secondo messaggio non conteneva alcunché. Il terzo messaggio fu per Sandra un fulmine a ciel sereno: era Franco, non riusciva a credere a ciò che le sue orecchie stavano ascoltando. Per l’emozione, rimandò indietro il nastro e prima di riascoltarlo si liberò dal cappotto e delle scarpe dimenticandosi il cappello e quasi trattenendo il fiato si accinse a riascoltare quella voce.
- Buona sera signorina Renzi sono Franco Santini, mi spiace disturbarla a casa, ma la prego di volermi richiamare in ufficio a qualsiasi ora, appena le sarà possibile. Grazie.-
Sandra guardò l’orologio, mancava un quarto d’ora a mezzanotte. Sapeva che Franco era abituato a fare tardi in ufficio, ma quella le sembrava un’ora impossibile. Pur incredula, compose immediatamente il numero dell’ufficio, selezionando l’interno di Franco.
Rispose al secondo squillo:
- Franco Santini, pronto…-
- Sono Sandra…-
- Ciao Sandra, lo so che uscivi, ma avevo bisogno di una parola amica. – le disse Franco con la voce arrochita dalla stanchezza e dalle troppe sigarette.
- Dimmi, è successo qualcosa…- chiese Sandra preoccupata.
- No, nulla sta tranquilla, volevo sapere se uscendo di qui potevo fare un salto da te, sempre che non disturbi…- Franco la stava provocando, per lo meno quella era la sensazione di Sandra.
Per una frazione di secondo, fu sul punto di negarsi, rispondendogli una qualsiasi bugia, ma non riuscì a farlo, vinta anche dal desiderio di averlo per sé almeno per un po’.
- Certo che puoi passare, ti aspetto.-
- Va bene, a dopo.- e riagganciò
Sandra ebbe bisogno di qualche minuto prima di riprendersi dalla sorpresa: non era mai successo. Si impose di non leggervi alcun promettente significato, ma solo di aspettare che la sua giustificazione la riportasse sul pianeta terra, bruscamente.
Il suono del citofono la fece sussultare e Sandra si precipitò a rispondere:
- Sì…_
- Sono io…-
Il rumore del pesante portone che si chiudeva rimbombò nel silenzio della notte. Franco impiegò pochi minuti a raggiungere l’appartamento di Sandra.
- Ciao Franco –
- Ciao Sandra, scusami, davvero, ma ho avuto una giornata molto pesante, ed avevo voglia di vederti…-
-Vuoi che ti prepari qualcosa da mangiare…-
- No, grazie, mi fermo solo qualche minuto..-
Il cuore di Sandra si fece piccolo, piccolo cercò di mostrarsi padrona di sé, ma un leggero tremito le incrinava le labbra, aveva paura che qualcosa di spiacevole stesse per verificarsi, e pur di non affrontare immediatamente la questione, prese tempo.
- Dai accomodati un attimo, siediti, faccio un caffè.- Mentre si avviava verso la cucina, con la coda dell’occhio vide Franco togliersi il cappotto, allentarsi il nodo della cravatta, sedersi sul divano e prendersi la testa con entrambe le mani.
- Cosa sta accadendo?- si sentì pronunciare e questo la scosse ancor di più, come se la sua voce non facesse parte di lei.
- Niente…- un niente pronunciato senza alcuna convinzione, che alimentava le paure di Sandra. Si avvicinò al divano.
- Tu sai che con me puoi parlare, raccontami, non può essere così grave …- Secondi che trascorrevano silenziosi, amplificati dalla paura.
- Erica ha un tumore …- nel preciso istante in cui Franco lo disse, si accasciò su se stesso, sembrava di colpo invecchiato, la sua proverbiale impenetrabilità non esisteva più. Ora era solo un uomo affranto dal dolore, un grande dolore.
- Dio mio, Franco, io, io non so cosa dire…- Sandra non riusciva a pensare, la notizia aveva avuto il potere di indebolire ogni più piccola particella del suo corpo e del suo cervello.
- Non c’è nulla da dire -
Sandra si sentiva inutile. Se ne stava lì in piedi davanti a lui senza risolversi a far qualcosa che potesse confortarlo. Lo sentiva distante come mai prima d’allora. E all’improvviso una certezza: Franco non le apparteneva. Scosse il capo come a voler materialmente ricacciare indietro quei pensieri, non era quello il momento. Franco aveva bisogno di aiuto, a tutto il resto avrebbe pensato poi…
- Non so cosa fare Sandra, mi sento completamente impotente…non dovrei neppure essere qui ora.- parole, nient’altro che lettere poste una acconto all’altra eppure così sottili ed affilate come lame di coltello e come tali incidevano e lasciavano segni profondi nella sua carne. Ad ogni parola una ferita nuova.
Sandra ripeteva mentalmente ogni sua sillaba, perché non riusciva a capire: cosa le stava dicendo? Non voleva farla partecipe del suo stato, voleva svincolarsi da lei e allo stesso tempo lui era lì con lei. Non c’erano pensieri che riuscisse a formulare, nessuna reazione adeguata, ma qual era la reazione giusta? Un abisso tra loro sempre più profondo. I loro corpi erano ad un passo dallo sfiorarsi, ma la loro ragione li separava, irrimediabilmente.
- Vado…, scusami ancora …- stava parlando a sé stesso. Si alzò senza guardarla, si diresse verso la porta. Solo un momento di esitazione, la mano si allungava sulla maniglia e all’improvviso si ritrasse, ma fu solo un momento, o forse non era successo, l’aprì ed uscì senza richiuderla.
Non riesco a muovermi, non riesco a pensare. Rivivo quei venti minuti da ore, il tempo non esiste più. Non ho la forza di concedermi nessuna spiegazione. E’ come se cercassi di svegliarmi da un incubo. Mi dibatto, mi agito ma alla fine resto sempre intrappolata nelle sue fila. E’ uscito dalla mia casa ed è come se fosse uscito dalla mia vita. Ho freddo, mi sento debole come se avessi la febbre. Riuscissi a piangere o almeno, riuscissi a calmare questo tremito…Il vetro della finestra si appanna di continuo. L’ho guardato allontanarsi in macchina e la speranza che tornasse indietro mi ha fatto ancora più male, quando ho tradotto in realtà che non sarebbe tornato. Non riesco a spostarmi, ho paura che se cercassi di farlo mi romperei in mille pezzi. Il mio corpo non è di carne e di ossa, ma di vetro. E’ notte, fuori. Buio pesto dentro di me. Dai lampioni vedo che cade una pioggerellina densa, bagna ogni cosa, ma non lava via nulla. Poche le luci accese dagli appartamenti di fronte. Chissà chi dorme e chi sta soffrendo ora. Quante cose non conosciamo e non sappiamo degli altri. Tutti presi dalle nostre vite. Devo ricordarmi di spostare la macchina, lunedì c’è il lavaggio delle strade. Lunedì…mi manca il fiato, il respiro, quasi che lo trattenessi a viva forza nei polmoni, mi fa male al petto. Devo sedermi. Appoggio la schiena alla parete, accanto alla finestra, mi lascio scivolare giù. Il pavimento è freddo, lo tocco con entrambe le mani e mi sembra che le mie mani siano radici che ad esso si aggrappano per timore di essere recise. Chiudo gli occhi, tutto ruota intorno, le voci lontane delle sue parole e dei miei silenzi. Chiudo gli occhi tra un po’ mi sveglierò e sarà tutto come prima…come prima…un prima fatto di sotterfugi, di mezze verità e bugie intere…un prima senza futuro…un prima con una sola certezza…la fine…e io che volevo dirgli tante cose, che non volevo più che mi desse appuntamento scrivendomi sui quei fogli, che desideravo trascorrere un week-end con lui…Quante illusioni mi sono fatta? Nonostante lui fosse stato sempre così trasparente riguardo a noi. Dio mio, c’è mai stato un noi? Possibile che io abbia vissuto tutto nella mia testa? Aiutami, ti prego sto male.
Il lungo suono del campanello fece trasalire Sandra. Si riscosse dal torpore nel quale era sprofondata e a tentoni si diresse verso la porta di ingresso. Che ore erano? Non riusciva a vedere l’orologio. Tutt’intorno solo buio.
- Si?…- la sua voce, quasi irriconoscibile, la sentì emergere dall’abisso dei suoi pensieri.
- Sandra sono io, aprimi…- era Franco.
Spalancò la porta, incredula e il suo sguardo inebetito cercava di mettere a fuoco quell’uomo che le stava di fronte. Più lo guardava e più che non lo riconosceva. Tra loro una sottile nebbia che impediva alla vista di riconoscere i dettagli di quel viso, di quelle mani, di quel corpo che la memoria aveva così ben impresso dentro di sé. Non riusciva neanche a parlare. Tutto serrato in gola. La paura che l’incantesimo si spezzasse, che il sogno sparisse all’improvviso proiettandola nell’ intimo di quel dolore acuto, che le stava togliendo il respiro. Ma il suono del campanello non smetteva, perché così lungo e insistente?
- Sono qui di fronte a te, non mi vedi?- si sentì gridare e pronunciate queste parole si svegliò. Allora aprì gli occhi e si accorse di essere sveglia. Non era stato un brutto sogno. Franco era andato via. Gocce di dolore ovunque e poi quel maledetto campanello che continuava a suonare. Non poteva andare a rispondere. Le sue gambe non avrebbero retto il peso del suo essere. Non si era neppure svestita, nemmeno sapeva come ci era arrivata nel suo letto. Tutto lontano. La sveglia segnava le 11,15.
Serrò gli occhi, ma le sentì arrivare ugualmente. Piano, affinché ne prendesse bene nota e così potesse poi distinguerle. Una dopo l’altra. Sgorgare, quasi timidamente e in silenzio, senza nessun preavviso, sentirle poi quasi farsi coraggio mentre accarezzano il viso nel loro procedere elegante fin giù alle labbra. Sentirne il sapore, così salato. Pare che vogliano scorrerti per tutto il corpo, ma muoiono sulle labbra. Come una promessa non mantenuta. Una dopo l’altra finché non riesci più a tenere il conto. Una dopo l’altra, una dopo l’altra al fine che acquistino la corposità del pianto senza grida, senza parole, senza singhiozzi. Solo lacrime di pianto.