Il ronzio del ventilatore, monotono e lento, scandiva il tempo in una stanza d’ ospedale. Elisa, distesa sul letto, gli occhi fissi sul soffitto, persa nei suoi pensieri, appariva ancor più piccola e spaurita. La carnagione pallida contrastava con gli occhi grandi e scuri, ombreggiati da folte sopracciglia. La testa fasciata in un grazioso foulard, le mani abbandonate lungo i fianchi, la camicia di cotone rosa cosparsa di innocenti fiorellini accarezzava il corpicino magro ed i jeans attillati esaltavano la magrezza delle lunghe gambe. Sul tavolino accanto qualche rivista, un romanzo appena iniziato e lasciato semiaperto, una bottiglia d’ acqua, un bicchiere di plastica e la sua borsa di tela. Il televisore agganciato alla parete di fronte al letto era spento, e intorno regnava il silenzio.
Dalla finestra d’ angolo entrava violenta la luce abbagliante di una calda mattina di fine estate. Là fuori la vita pulsava frenetica in attesa delle vacanze, del sole, del mare, impaziente di essere vissuta.
Per Elisa no, per Elisa niente sole, mare, niente corse sulla spiaggia, niente spruzzi, risa, niente tramonti né falò sulla spiaggia. Quell’ estate, così come molti mesi dell’ anno precedente, era trascorsa in compagnia di un ago infilato nel braccio scarno, a contare gocce, monotone, uguali e lente che cadevano giù dalla flebo fissata al trespolo, gli occhi fissi sul ventilatore che ronzava senza sosta, dondolando piano. Questi i suoi compagni fino a quella mattina di fine agosto, in compagnia di pensieri e ricordi, troppi, miriadi di fatti
appena trascorsi; eppure era solo ieri che Elisa si era affacciata alla vita, con la foga dei trentanni, un bagaglio pieno di speranze, desideri, il fuoco che brucia dentro, e ti incita a non stare fermo, a non permettere che qualcosa intralci il cammino della vita.
Passavano davanti come fotogrammi gli anni del liceo, quando i compagni, come mosche impazzite intorno al miele, le correvano dietro e il telefono squillava in continuazione, per un invito al cinema, una pizza, un gelato, ma sempre con la segreta speranza di acciuffare quel cuore ballerino, riottoso a legarsi.
Svolazzare di fiore in fiore come un’ ape in cerca di miele, senza posarsi, questo era il suo motto. Rideva spesso di qualche amore troppo serio delle amiche, quando venivano a confidarle le loro pene d’ amore. Elisa era la compagna di cui fidarsi, a cui aprire cuore e anima nelle serate d’ inverno, trascorse accoccolate davanti al grande camino della sua casa, conversazioni senza fine, tra mille sospiri e troppe risate, tra grandi mangiate di pane e nutella, montagne di pop corn e altrettanti dubbi.
Poi la scelta, maturata pian piano e divenuta certezza, la scelta della facoltà, medicina, gli esami bruciati a tempo di record, la laurea a pieni voti, subito il tirocinio, l’ esame, quasi una corsa contro il tempo, inarrestabile Elisa, così forte, così fiera.
Già, forte, fino a quella mattina di alcuni mesi prima.
Aveva lasciato la corsia dopo il turno di notte, praticamente distrutta dalla fatica ed era corsa a casa, desiderando solo una doccia calda e poi via sotto le coperte a riposare. Ma quella doccia aveva cambiato la sua vita. Fu quasi per caso che la mano sfiorando il seno destro percepì qualcosa di strano, improvvisamente lucida e razionale provò e riprovò di nuovo e una impercettibile paura salì accelerandole il battito e stringendo lo stomaco, lasciandola in compagnia dell’ inquietudine per tutto il resto della giornata.
La notte passò insonne, e la mattina seguente varcando l’ ingresso dell’ ospedale fu il caso, forse, a mettere sulla sua strada una collega radiologa. Un saluto, un caffè bevuto insieme e un accenno quasi distratto a quella sensazione del giorno prima. La premura e la gentilezza di Giada nel trascinarla a studio prima di iniziare il turno - “ facciamo un controllo veloce, non ci mettiamo molto, tanto per stare tranquilli” - ..e quel viso d’ improvviso serio che fissava il monitor mentre la sonda passava e ripassava tra le mani esperte. Un sospiro, e quegli occhi improvvisamente seri “ Sai, Elisa forse è meglio fare altri esami, nulla di allarmante però, ...sai facciamoli subito, penso io a prenotare tutto”.. I giorni successivi la mammografia, la tac, la biopsia e poi la verità, senza fraintendimenti, senza giri di parole in una mattina di fine autunno. Fu il primario a dirglielo, lo conosceva dai tempi dell’ università, era stato un suo professore, molto stimato ed amato dagli allievi, ma era anche e soprattutto un ottimo medico. “ Sai Elisa, è un tumore. Non agitarti però, vedrai opereremo e andrà tutto bene, sei in ottime mani, non devi avere paura” . Era stato gentile, pacato, l’ aveva guardata dritta negli occhi, abbassando il tono della voce e scandendo piano le parole, in un timido tentativo di ferirla meno. Fu subito smarrimento, nausea, mentre la stanza roteava come impazzita. Quella parola risuonava nelle orecchie, martellando senza sosta, sgretolando tutti i sogni, i progetti, la voglia di vivere.
Cancro, fa paura quel nome, evoca dolore e morte, piega le ginocchia e scuote fin nel midollo.
Ma Elisa si era ripromessa di essere più forte e di vincere la sua battaglia.
Fu così che la mattina dell’ intervento un giovane anestesista entrò nella sua stanza, una vertigine di un metro e ottanta o anche più, giudicò Elisa dal basso del suo lettino, grandi occhi verdi, la tuta verde da camera operatoria.
Gli occhi di Riccardo, questo era il nome del medico, si posarono su Elisa, fissandola intensamente, un attimo di interminabile silenzio, poi rapidamente si accomodò sul bordo del letto, schiarendo la voce ed accavallando le lunghe gambe ed iniziò a riempire minuziosamente dei fogli man mano che Elisa rispondeva alle sue domande. Alla fine sfiorandole delicatamente il braccio la incoraggiò assicurando che sarebbe andato tutto bene e che di lì a poco l’ avrebbe accolta in sala operatoria dove il primario si stava già preparando. Quel tocco turbò piacevolmente Elisa, che si domandò per quale motivo nel momento peggiore della sua vita invece di concentrarsi sull’ incubo che stava vivendo si lasciasse trasportare dalla fantasia, e che fantasia.
Delle ore seguenti Elisa aveva vaghi ricordi, solo l’ ingresso in sala, i visi del medico già coperto dalla mascherina e la voce rassicurante che cercava di tranquillizzarla, poi gli occhi verdi di Riccardo, il timbro caldo della voce che le sussurrava “ andrà tutto bene, rilassati e dormi tranquilla”, un sorriso che traspariva al di la della mascherina e poi più nulla, solo il buio.
Quando si svegliò ore dopo pensò che il mondo si fosse messo sottosopra tanto erano forti la nausea e il dolore nella parte destra del corpo che pulsava come un martello pneumatico. La notte trascorse agitata e dolorante, pur con le premure dei colleghi e soprattutto di Riccardo che avendo prolungato il turno si era affacciato più volte a controllarla e confortarla, restandole accanto i pochi minuti che riusciva a rosicchiare dalle urgenze in sala operatoria.
Da quel giorno per Elisa la vita cambiò, fu costretta ad effettuare la chemioterapia, per evitare recidive, e l’ ospedale tra lavoro e cure era praticamente la sua seconda casa.
Pur avendo ridotto la sua attività spesso si sentiva sfinita e demoralizzata, la stanchezza era diventata compagna di ogni giornata, inoltre aveva iniziato a perdere i capelli, i lunghi capelli che erano stati il suo orgoglio e una caratteristica della sua bellezza, aveva pianto nel trovarsi tra le mani le prime ciocche, e nel vederli diradare in breve tempo, così dopo averli dapprima accorciati e rasati poi aveva ripiegato su dei foulard chiedendosi spesso quanto tempo sarebbe trascorso prima di riaverli belli e folti come un tempo.
Quando andava in ospedale spesso incontrava Riccardo, anzi aveva notato che sempre più spesso quasi “ per caso” se lo trovava nei paraggi, sbucato dal nulla, sempre con quell’ incantevole sorriso e i luminosi occhi verdi, e con la scusa di un caffè o di un pranzo veloce avevano trascorso parecchio tempo insieme, e diverse volte capitandole accanto sempre per caso aveva finito col trascinarla in pizzeria ed al cinema.
Aveva scoperto che senza la cuffia da sala operatoria aveva capelli scuri e ricci, ed era senza dubbio un uomo attraente, colto, amabile conversatore, e che avevano parecchi interessi in comune.
Non era incline a grandi confidenze Riccardo, di lui si sapeva solo che era un ottimo anestesista, che era scapolo, con una carriera promettente e che la sua vita privata era tabù, per cui ben presto questo interessamento per Elisa, questi caffè e pause fornirono materia prima per pettegolezzi tra colleghe, qualcuna è inutile dirlo, un pochino inacidita per non essere la fortunata oggetto delle attenzione dell’ affascinante medico.
Nei mesi successivi Elisa seguì scrupolosamente le indicazioni e le cure dei medici, e dopo l’ ultimo controllo il sorriso soddisfatto del primario le confermò che tutto era andato bene, e che l’ appuntamento fissato per la chemio per il mercoledì successivo sarebbe stato l’ ultimo. Poi avrebbe potuto tornare pian piano ad una vita normale, seguendo attentamente i controlli prescritti, ma guardando con ottimismo al futuro.
Quella mattina di fine agosto mentre il ronzio del ventilatore la cullava dolcemente, Elisa sorrideva, occhieggiando fuori dalla finestra dove il rumore della vita la chiamava prepotentemente. Respirò a lungo e profondamente, lasciando che l’ aria fluisse dentro riempiendole il petto, assaporando uno strano benessere. Fissò l’ ago e le sue braccia e pensò con sollievo che era l’ ultima tortura, ora doveva pensare a qualcosa di bello e piacevole, un piccolo viaggio sicuramente. Passò la mano sulla testa sfiorando la seta del foulard e sfilandoselo con un senso di liberazione, presto anche i capelli sarebbero ricresciuti e non ne avrebbe più avuto bisogno, “ torneranno belli come prima, ne sono sicura”, e sorrise di nuovo.
Ad un tratto la porta si aprì, Riccardo entrò nella stanza, senza il camice, quasi titubante.
“ Come stai oggi?” - “ Bene” rispose Elisa fissandolo.
Riccardo si accorse che la flebo era terminata, staccò il tubicino, applicò un cerotto, e si sedette sul bordo del letto, mentre Elisa, finalmente libera si era seduta rannicchiando le gambe contro il petto, un po’ imbarazzata perché senza il suo solito foulard.
Riccardo la guardò con una intensità che la turbò, poi le prese la mano, accarezzandola in silenzio, e schiarendosi la voce quasi a farsi coraggio d’ improvviso le disse “ Ti amo”, e rimase fermo a guardarla, gli occhi lucidi d’ emozione. Elisa spalancò gli occhi e per un attimo credette di aver sognato, di non aver compreso bene, mentre il cuore correva felice e impazzito, mentre Riccardo riprese - “ ti amo dal primo momento che ho incontrato i tuoi occhi, amo il tuo sorriso, il suono della tua voce, ma amo anche la tua determinazione, la tua forza, il coraggio, ti amo quando ridi per nascondere il pianto. Ora che tornerai alla tua vita di sempre, vorrei far parte di quella vita, vorrei camminare con te ed esserti al fianco. Dimmi di si”. E sorrise, mentre gli occhi verdi s’ illuminavano perdendosi in quelli di Elisa.
Elisa aprì la bocca per rispondere e si trovò senza voce, il cuore che continuava a correre, i grandi occhi pieni di stupore e lacrime di gioia. D’ improvvisò realizzò che il destino le aveva fatto due regali incredibili, una amica che le aveva salvato la vita, e un uomo innamorato che aveva saputo guardare oltre e che voleva accompagnarla per il resto della vita.
Nel dramma quel destino era stato amico, ed Elisa pensò di essere stata fortunata, molto fortunata.
Sorrise, e rispondendo al bacio di Riccardo capì che stava, davvero, tornando a vivere.