Una leggera nebbiolina si alzava dal sentiero, che conduceva nel bosco in piena fioritura e fremente di vita.
Il giovane stregone, dall’ aitante figura, camminava immerso in cupi pensieri, tanto da non rendersi quasi conto della bellezza e dall’ energia sprigionata dalla natura in piena primavera.
Nonostante la giovane età, i suoi capelli erano candidi come la neve. Era incanutito precocemente e portava la folta chioma legata in una lunga coda, che andava a ricadere sulle sue spalle poderose. I lineamenti erano fini, regolari ed esprimevano tutta la giovinezza, il fascino e il vigore della sua persona. Indossava una corta tunica color cioccolato, con rifiniture dorate dal fruscio leggero, tipico della seta preziosa, su larghi pantaloni svolazzanti. Il completo era fine e gli conferiva un aspetto esotico e un insieme raffinato.
Tuttavia, una ruga profonda segnava in quel momento la sua fronte, mentre si dirigeva nel folto del bosco, guidato dal suono melodioso del flauto e da quello soave dei violini. Quelle note erano nella sua mente da sempre e avevano scandito ogni avvenimento importante della sua vita.
Kandir, questo era il nome dello stregone bianco, camminava speditamente verso una destinazione che ignorava lui stesso. Nelle sue vene scorreva una parte di sangue elfico ereditato da una sua antenata, che molto tempo prima si era innamorata di un umano e aveva abbandonato la comunità degli Elfi per andare a vivere con il suo uomo.
L’ Elfa era stata poi ripudiata e di lei, gli abitanti di quel villaggio, avevano cancellato sia il nome che l’ esistenza.
Oltre il sangue e i capelli candidi, Kandir aveva ereditato dalla bisavola le orecchie a punta e i tratti del viso finissimi, ma lui non si era mai sentito veramente un Elfo, nemmeno per una minima parte e preferiva credere di appartenere in tutto e per tutto alla razza umana. A volte, tralasciava anche di guardare il suo riflesso pur di non soffermarsi troppo sulle orecchie e sui suoi tratti somatici che, evidentemente, ricordavano quelle misteriose creature.
Del resto, non ne aveva mai conosciuto uno in vita sua e quel poco che sapeva, non glieli rendeva simpatici. In realtà, non sapeva nemmeno se esistessero ancora e dove vivessero. Erano anni che non se ne vedevano più in giro e forse erano emigrati in chissà quale punto lontano della foresta. Le sole nozioni che aveva di quella strana stirpe era che, senz’ altro, fluiva nel loro sangue il potere della magia, che si trattava di un popolo schivo e poco amante degli esseri umani.
“ Per il bene degli abitanti della foresta spero proprio che abbiano abbandonato questi luoghi di pace e che si siano trasferiti altrove. Possiamo fare a meno di gente bizzarra e dagli strani usi e costumi.” pensò con un mezzo sorriso.
Eppure, di quella stirpe aveva ereditato caratteristiche fisiche che, in alcuni casi, si erano rivelate determinanti. La prima di queste qualità era la vista. Con gli occhi riusciva a squarciare l’ oscurità della notte come alcuni animali; un’ altra era l’ udito finissimo e un’ altra ancora era l’ estrema agilità delle membra. Kandir si muoveva elastico come un gatto e riusciva a compiere balzi e giravolte come solo un felino. In cuor suo sopportava l’ idea del sangue elfico solo per questi motivi.
Poi, un ricordo improvviso gli balenò nella mente e la figura esile di sua madre gli apparve nitida.
“Mamma, non voglio avere queste orecchie a punta e questo viso così scavato. I miei amici mi prendono in giro per questo!”
La donna lo aveva guardato con espressione mesta mentre rispondeva con pacatezza:
” Nessuna creatura al mondo può rifiutare di essere quello che è. Nemmeno noi!”
Allora Kandir si era soffermato sui bei lineamenti della madre, fini ma non certo elfici e i suoi capelli neri come l’ inchiostro.” Io però non ti assomiglio molto. Perché?”
“ Tu assomigli alla nonna, ma nelle nostre vene scorre lo stesso sangue.”
“ Perché, mamma? Perché? Io non voglio essere un…”
Non riusciva mai a terminare la frase e lei lo riprendeva:” La stirpe da cui proveniamo non è mai stata malvagia. Si tratta di un popolo dalle abitudini strane e dalla cattiva nomea, ma niente affatto malvagia. E poi in te sono distinguibili solo le caratteristiche fisiche e non quelle spirituali. Tu sei più un umano che un Elfo.”
Quelle parole non erano servite a rincuorarlo ma, anzi, si era lasciato andare in un pianto disperato” Non è vero, mamma e tu lo sai bene. Io vedo dove gli altri non vedono e sento quello che tanti non sentono. Odio queste orecchie! Odio come sono fatto!”
La madre si era abbassata alla sua altezza e lo aveva guardato dritto negli occhi:” Quelle sono qualità e non difetti e se imparerai a sfruttarne le potenzialità, da adulto potrai diventare una creatura speciale, imbattibile, imprendibile e inimitabile. Nessun altro sarà speciale come te.”
La stessa scena si era ripetuta più volte e in quelle occasioni la madre lo prendeva tra le braccia e lo consolava accarezzandolo.
Kandir tornò al presente con la voce di lei che lo calmava, intonando una dolce ed esotica melodia. Dolce donna la sua mamma. Con poche, semplici parole era stata in grado di rasserenarlo.
Un velo di profonda commozione e altrettanta nostalgia permeò il cuore dello stregone.
I ricordi continuarono a fluire nella sua mente come l’ acqua in un quieto ruscello.
Crescendo, aveva sempre cercato di nascondere le orecchie sotto la copertura dei lunghi capelli e lo aveva fatto fin quando era stato grande abbastanza da potersi difendere dai dileggi dei compagni.
Lo stregone sospirò. I ricordi che riguardavano la sua infanzia non erano del tutto felici e gli causavano ancora delle sgradevoli sensazioni. Guardò ancora una volta il medaglione d’ oro finemente inciso, che portava al collo, con l’ immagine dipinta in acquarello di una giovane donna bellissima: Aster, la Ninfa del bosco, di cui era segretamente innamorato.
Aster aveva un viso dolcissimo dall’ ovale perfetto. Occhi grandi con taglio decisamente a mandorla, in cui spiccava netto il colore del mare in burrasca; un verde intenso, brillantassimo, ma a volte fosco come i marosi più alti e più violenti.
In quel momento, la bocca dalle labbra carnose sembrava atteggiata in un broncio deciso, malinconico. I lunghi capelli neri erano scarmigliati e l’ intera immagine, in genere limpida e netta, dava ora l’ idea di essere ricoperta da una patina grigia, che offuscava la deliziosa effigie. Le labbra della giovane ninfa si mossero come se stesse parlando, ma nessun suono fuoriuscì dall’ immagine e, forse, rendendosi conto di non essere capita, lo sguardo le si incupì in modo desolato.
Kandir se ne rammaricò. In precedenza, molte altre volte erano riusciti a comunicare in quel modo, anche a decine e decine di chilometri di distanza, si erano connessi mentalmente e visualmente ricorrendo alla magia di entrambi e se in quel momento non riuscivano, significava solo che qualcosa di grave era accaduto.
Se avesse dovuto descrivere la sensazione che gli offriva in quel preciso istante il medaglione, Kandir avrebbe detto che non si trattava di un finissimo manufatto, ma di un antico quadro in bianco e nero, che il tempo trascorso aveva ingiallito con una patina sgradevole ricoprendolo di crepe.
Lo sguardo del giovane stregone si corrucciò diventando grave. Si domandò cosa fosse accaduto al ciondolo da renderlo così grigio in così breve tempo.
Nell’ altra mano stringeva la lampada arcana. Un globo che emanava una luce soffusa e che avrebbe acceso con un gesto magico appena fosse scesa l’ oscurità e non perché gli occorresse, la sua vista da Elfo riusciva a squarciare le tenebre, ma lui era sempre riluttante a usufruire di quei poteri arcani e la luce emanata dalla lampada gli serviva per fugare le ombre più inquietanti, scese all’ improvviso sul suo animo in ambascia.
Doveva affrettarsi a trovare la sua insegnante, nonché carissima compagna di tante avventure, Smeraldine, la saggia civetta. Se avesse trovata lei, si disse, di sicuro con il suo aiuto avrebbe presto trovato anche le tracce dei rapitori della giovane ninfa. Sempre che fosse stata rapita e nella speranza che non le fosse accaduto nulla di grave.
In quel momento, le sue mani sfiorarono l’ amuleto che teneva al collo, insieme al ritratto della ninfa. Per un misterioso motivo li aveva messi insieme, e tenuti così da quel momento.
Il piccolo talismano di smeraldo gli era stato regalato proprio dalla civetta. L’ amica mutante, cara e fedele, con occhi verdi simili alla pietra preziosa, dalla quale derivava il suo stesso nome.
Mentre fissava il grazioso amuleto gli occhi del rapace baluginarono, ammiccando per un attimo.
Kandir lo interpretò come un buon auspicio e riprese la sua ricerca nel bosco.
Mentre avanzava, emanò alcune volte il richiamo che aveva studiato e stabilito insieme all’ amica. Un fischio modulato, che ricordava il richiamo di quella specie tanto bistrattata e tanto temuta dai superstiziosi.
“E se anche Smeraldine fosse stata rapita insieme ad Aster?” Il sospetto gli passò come un lampo nella mente e lo costrinse di nuovo a fermarsi. Forse, la scomparsa della sua amica era da correlare al rapimento della Ninfa del bosco?
Come poteva essere? Erano entrambe creature magiche e la loro magia era molto potente. Nessun mago, stregone o negromante aveva possibilità di prevalere sulle loro forze unite. Kandir stesso aveva trovato mille difficoltà a superarne il potere quando, in passato, le due creature avevano deciso di metterlo alla prova per testarne l’ energia e il valore.
Eppure, erano ormai ore che le cercava e, o l’ una o l’ altra, avrebbe già dovuto rispondere ai suoi richiami.
Il fastidioso dubbio stava germogliando come zizzania in un campo di grano e rischiava di contaminare i suoi pensieri con note negative, mentre avrebbero dovuto mantenere un po’ di relativa positività.
Occorreva reagire e non pensare al peggio.
“ Non esiste nessuno tra i tanti stregoni e le streghe al mondo, in grado di trarre in inganno la mia insegnante. “ si disse per incoraggiarsi. “Né tantomeno, potrebbero ingannare la Ninfa del bosco.”
Il volto di Aster le riapparve nella mente, delicato come mai gli era sembrato prima.
“ Smeraldine è forte ed energica, mentre Aster è fragile ed è sensibile. Se qualcuno in malafede le domandasse aiuto, lei si farebbe in quattro pur di offrirgli tutto il suo supporto. Ed è in questa sua grande bontà che si cela il suo punto debole.”
Kandir rabbrividì al pensiero che Aster fosse in pericolo e si augurò che Smeraldine fosse con lei.
“Insieme posseggono la Forza!”
A un tratto esitò e per la prima volta nella sua vita, si sentì confuso e smarrito.
Era per qualcosa che era cambiato intorno a lui.
Si guardò intorno cercando di captare le sensazioni trasmesse dalla natura, ma quello che avvertì fu solo un gelo profondo.
Cosa stava accadendo? Perché quel silenzio calato improvviso come una mannaia a stroncare ogni segnale di vita?
Nel bosco, sempre pieno di rumori, versi di animali grandi e piccoli, richiami dei vari uccellini sui rami, il fruscio del vento tra le fronde degli alberi…
“Ma quali fronde? “ si domandò, ormai sconcertato mentre il gelo s’ infiltrava, fastidiosamente, in tutte le fibre del suo essere.
Il paesaggio era mutato e non esistevano più foglie sui rami ora scheletrici. Eppure, si era a primavera inoltrata! Kandir scrutò in ogni angolo possibile, fin dove giungeva il suo sguardo. Inutile cercare vita e vigore nella natura. Il bosco, in quel punto, era desolatamente morto.
Nemmeno in pieno inverno si poteva ravvisare un simile squallore. Gli animali che non andavano in letargo, con la loro presenza riuscivano ad animare la selva anche nella stagione più rigida. Lasciavano tracce evidenti del loro passaggio, mentre ora, non vi era nessun segno di vita.
E quel silenzio drammatico pesava ancor più dei più assordanti tra i rumori.
E dove erano finiti tutti i piccoli amici animali primaverili? Quelli che appaiono all’ improvviso, guardando con curiosità l’ estraneo e che si dileguano in un istante per la loro timidezza? Svaniti nel nulla?
Lo stregone si volse indietro, ma anche alle sue spalle il paesaggio era mutato in peggio e un senso di struggente malinconia iniziò a pesare sul suo cuore e sulla sua mente.
“Devo trovare Smeraldine, e con lei unire le nostre potenti magie, per far ricorso al più potente degli incantesimi conosciuti e per permettere così alla vita di tornare a regnar sovrana nel bosco. Per far sì che la grandiosa magia della vita stessa torni al suo splendore naturale.”
Kandir si esortava da sé perché era perfettamente consapevole che, se non fosse riuscito nel suo intento, tutto sarebbe stato perduto. Forte di ciò, fece salire anche più alto e deciso il richiamo per la sua amica.
E proprio in quel momento, in un piccolo cantuccio della sua coscienza gli parve di rilevare una lontanissima voce in risposta al suo richiamo. S’ immobilizzò su quella sensazione, cercando di captare e di capire cosa fosse stato quel lampo.
Rilanciò nuovamente il richiamo convenuto, e ancora una volta gli sembrò di captare quella voce lontanissima, e questa volta riuscì a capirne le parole:
« Segui la musica, Kandir! Solo così mi potrai trovare!»
Aveva capito bene? Doveva seguire la musica? Che voleva dire Smeraldine?
Nel frattempo, era giunto al ruscello dove sovente avevano l’ abitudine di sostare lui e la sua mentore, per le abituali lezioni di magia e a volte anche Aster si soffermava su quelle rive.
La ninfa affermava che non esisteva niente di più incantevole di quel luogo, che amava definire “ un piccolo paradiso”.
Il giovane stregone si fermò accanto al ruscello e lo trovò incredibilmente immobile. Sembrava che le sue acque invece di scorrere, com’ era naturale che fosse, si fossero cristallizzate fino a prendere quella forma solida che appariva ai suoi occhi. Era come se l’ acqua, fosse diventata ghiaccio. Un fenomeno normale per l’ inverno e non per quella stagione.
Posò il globo di luce accanto a sé e poi con gesti decisi delle mani richiamò un incantesimo, mentre mormorava la formula magica adeguata.
Una nube bianca scaturì da quel gesto dirigendosi, come sospinta da una lieve brezza, al di sopra del letto del ruscello. Dentro alla nube andò materializzandosi una figura dapprima nebulosa ed eterea, che poi prese lentamente consistenza, trasformandosi.
Senza alcun dubbio si trattava di Aster e non della civetta come lui avrebbe voluto evocare. Perché?
La giovane ninfa muoveva le labbra come se stesse scandendo qualcosa, ma la sua voce non gli arrivava e, Kandir, pur concentrando tutta la sua attenzione, non riuscì a capire.
« Aster, per tutte le stelle. Cosa vuoi dirmi?» le domandò, mentre la rabbia e la frustrazione lo assalivano.
La visione dell’ amica iniziò a svanire, ma lui fece in tempo a vederle scuotere più volte la testa, con espressione di rammarico.
Si chiese perché lei gli avesse mandato la sua visione avvolta in una nuvola e cosa volesse comunicargli.
Quello che era palese era stata la difficoltà sostenuta dalla creatura magica per connettersi con lui. E cosa o chi le aveva impedito di esprimersi? Era davvero prigioniera? Pareva proprio di sì! E Smeraldine?
Possibile che le sue amiche fossero state rapite dalla stessa forza oscura, per poi rendere più difficoltosa la ricerca separandole?
Era tormentato da questi ossessionanti dubbi, quando infine accadde una cosa che lo lasciò allibito. Se Kandir non fosse stato molto preparato nel campo della magia, probabilmente ciò che gli apparve e che lo avvolse, lo avrebbe intimorito.
Ma non per nulla il Consiglio degli Arcani lo aveva investito della nomina di Custode Silvestre con l’ oneroso incarico di salvaguardare il bosco e i suoi numerosi abitanti.
Per questo, nel momento in cui venne avvolto nella nebbia densa e scura riconobbe all’ istante la magia oscura e reagì creando, con rapidissime giravolte, una serie di vortici violenti come cicloni, che gli permisero di disperdere momentaneamente la nube maligna.
Appena libero, Kandir sferrò il contrattacco posizionandosi dritto davanti alla nube ora ricompattata. La formazione nebulosa pareva fosse una creatura viva e intelligente, difatti, aveva assunto una vaga forma antropomorfa, se ne stava immobile e sembrava studiarlo. « Vieni avanti, creatura oscura. Non ti temo e nemmeno ti stimo!» esclamò, senza perderla di vista un istante e in attesa di una qualsiasi mossa.
Lo stregone percepì un ghigno e la figura scattò all’ improvviso, protendendosi e cercando di avvilupparlo con quelle che ricordavano protuberanze scheletriche.
Allora fece ricorso alla magia e, con la formula sussurrata tra le labbra, sprigionò il soffio decisivo che avrebbe dissolto definitivamente la nube. Perlomeno, questa era la sua speranza.
Tuttavia, non fu semplice perché la misteriosa creatura prima si sfilacciò in una miriade di spirali filamentose, molto simile a volute di fumo e di vapore nell’ aria, poi si ricompattò e lo stregone dovette emettere più soffi, alla pari di un mantice che soffia per ravvivare il fuoco. Dopo un tempo che a lui parve interminabile e uno sforzo immane, l’ oscura figura finalmente si dissolse nell’ aria.
Molto meglio affrontare un nemico in carne e ossa che quella cosa vischiosa e gelida, pensò, eppure, venne assalito da un altro dubbio: era stato impegnativo ma non difficile liberarsi di quel maleficio. Cos’ altro doveva aspettarsi?
Riprese il cammino più speditamente, emettendo sempre il suo richiamo, ma per il momento, Smeraldine, sembrava davvero svanita nel nulla.
Ormai era scesa la notte, la luce della lampada magica emanava un chiarore soffuso, che lui trovò lenitivo e rassicurante per il suo animo tormentato.
Non si accorse quando ma, a un certo punto, iniziò ad avvertire una profonda quanto anomala stanchezza, che gli appesantiva le gambe e intorpidiva i pensieri. Non voleva cedere al sonno, che lo costringeva a strizzare gli occhi per non addormentarsi, però, forse poteva concedersi un attimo di sosta per snebbiare la mente.
Decise di fermarsi e quella sua esitazione risultò essere un errore, che gli costò caro.
I suoi sensi, sovraffaticati dall’ inquietudine, non erano tesi come invece avrebbero dovuto essere e non percepirono il pericolo.
Una melodia celestiale si era levata intorno a lui rasserenandolo ed esortandolo a lasciarsi andare con la mente. Stava per cadere in una strana letargia ma, prima di chiudere in modo definitivo gli occhi, ebbe un lampo repentino e la figura di Smeraldine gli apparve, riscuotendolo.
“Non ti addormentare! Non è questo il momento!” Era un avvertimento sibilato con tono ammonitore e Kandir si sentì accapponare la pelle. Si riscosse un attimo prima di finire prigioniero di un oscuro incantesimo.
La melodia cambiò istantaneamente di tono trasformandosi in un rimbombo cupo, come il suono di tanti tamburi cadenzati e una figura orripilante gli si parò davanti.
Uno Zombrac! Un essere creato dalla magia nera, che vegetava sospeso in una sorta di limbo molto simile alla morte apparente, ma che si animava grazie al potere oscuro di qualche negromante.
Era una visione terrificante, che avrebbe soggiogato qualsiasi umano. Uno qualsiasi, ma non Kandir, che soppesò con attenzione la creatura, studiandone le caratteristiche fisiche.
Difficile stabilire a quale sesso appartenesse e lo stregone, per istinto, avrebbe detto che forse era del genere femminile, anche se in effetti di delicato non aveva nulla.
I radi capelli finivano in un intrico simili a tanti serpentelli che si contorcevano in volute vorticose simili a disgustosi boccoli, che ricadevano sulle spalle ossute della creatura.
Gli occhi spiritati erano ridotti a fessure gialle, con l’ iride allungata come i rettili.
E proprio come alcuni rettili, il suo sguardo dava una sensazione raggelante.
Kandir evitò si soffermarsi troppo su quegli strani occhi, che forse possedevano anche un potere ipnotico.
Uno dei particolari che distingueva la creatura dalle serpi, oltre alla postura eretta, era la pelle che non era a scaglie, bensì costellata di tante pustole virulente, piene di pus. Tanto da dare l’ idea di una miriade di piccoli vulcani pronti a eruttare il loro veleno contro tutti quelli che avevano la sfortuna di sfiorarli, anche solo per puro caso.
La creatura emise un verso muto, di gola e istintivamente Kandir tornò a fissarne il volto.
Gli occhi luminescenti baluginarono, quasi in modo soddisfatto, e lui intuì di aver colto nel segno nel sospettare del magnetismo di quello sguardo inumano. Quel verso era stato un richiamo, un patetico tentativo di riacciuffare la sua attenzione, con l’ intento di soggiogarlo.
continua...