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Caro padre vi scrivo
Caro padre, vi scrivo per dirvi di noi e dei vostri nipoti, che mai avete voluto conoscere e incontrare. Elvira è la più piccola, Italo e Livio sono i suoi fratelli maggiori. Elvira purtroppo non si sente bene da giorni. E' bella Elvira, somiglia molto alla mia signora madre. Italo e Livio sono due ometti sani e forti ma, ahimè, ancora troppo piccoli per aiutarmi ad accudire le bestie o a lavorare nei campi. L'inverno sta arrivando e il freddo si fa ogni giorno più intenso. La poca legna che ho raccolto nei mesi scorsi temo non sia sufficiente allo svernare, come poca è la farina nella madia e poche le patate e le mele ricoverate in cantina. Elvira negli ultimi tempi si presenta pallida e afflitta da una debolezza che non accenna ad andarsene, nonostante le riservi un ovetto fresco e una maggior razione del latte della nostra capra. Certo la zuppa sarebbe più sostanziosa se avessi modo di bollirci l'ossa d'una vitella o d'arricchirla con un buon pezzo di lardo spezzettato. Avessimo ancora la vacca nella stalla il latte non mancherebbe, come non mancherebbe un pezzo di formaggio e perché no, un poco di buon burro o di panna da spalmare sul pane. Padre, vi scrivo perché ho bisogno di dirvi di noi e delle difficoltà che incontra una donna sola senza un uomo accanto. Già, sola da quando Francesco, il padre dei vostri nipoti e l'uomo che mai avete accettato come genero ci è stato strappato. La sera, come ora sto facendo a voi, gli scrivo delle interminabili lettere che seppur spedite temo non gli giungano. Scrivo consumando i resti di quelle candele che non so come rimpiazzare e a tratti me ne vergogno. Dovrei risparmiarle, ma scrivergli mi aiuta a sentirlo accanto e allevia in parte le fatiche della giornata. Con il calar del sole ho modo di lasciare parlare il mio cuore, quando i bambini dormono e tutto tace, quando mai potrei altrimenti. Certo che a lui non dico delle difficoltà e delle fatiche che schiacciano le mie fragili spalle di donna. Gli dico che i bambini crescono sani e forti chiedendo quando torna babbo. Gli racconto della vite colma di profumati graspi, delle grosse patate che cavo dal campo e della ricchezza delle spighe, sì pesanti da piegarne il fusto. Lo vennero a prendere pochi giorni dopo la dichiarazione di guerra alla Francia. Era un tiepido pomeriggio di giugno del 40. Arrivarono e caricarono il mio Francesco sulla camionetta dicendogli che la patria lo chiamava, e da allora un'unica lettera poi più nulla. Sono più di due anni che sola mi devo occupare oltre che dei figli anche del campo e di quel che rimane delle bestie. Quello che ne rimane già, in quanto la vacca e il maiale se li sono presi, come molte delle galline e tutti i conigli.
Padre, urlo con tutto il fiato che mi resta la rabbia e disperazione di donna e madre. Perché io e altre come me, non siamo altro che fragili creature che non vanno alla guerra ma che la combattono in casa senza imbracciare un fucile, senza decorazioni sul petto. Nelle nostre mani non v'è né il moschetto né la baionetta perché in una teniamo salda la vanga e nell'altra un panno col quale asciugare le lacrime d'un bimbo che ha fame e freddo. Nel nostro petto non medaglie ma l'assillo di non avere la forza di governare il vomere e di rimediare il raccolto. Nel nostro ventre a volte la vergogna. Nel ventre di vostra figlia l'orma della sudicia mano del Podestà che profittando vile della mia condizione di donna sola, s'appellò munifico nel lasciarmi la capra privandomi oltre che della vacca e del maiale, del mio onore. Neppure la consolazione della messa mi resta padre. Non mi reco più in chiesa, in quanto incapace di affrontare il sogghigno dell'immondo che certo dell'impunità che la sua carica concede, violò vostra figlia.
Padre, la guerra sporca le mani degli uomini di sangue pregnando luttuosa madri e mogli dai palmi colmi di lacrime e dolore. La guerra è per gli uomini la sopravvivenza del singolo e la vittoria dei molti… negli occhi di una donna v'è solo la sconfitta d'aver combattuto una recondita guerra per la sopravvivenza di molti. Non v'è medaglia né menzione, monumento o lapide che celebri l'abnegazione delle donne, e di questa nuova guerra non ve ne saranno, perché il coraggio di noi donne è forgiato sull'amore e non sul livore. Padre vi supplico aiuto e accoglienza riammettendoci sotto il vostro casato, non per la figlia vostra qui disposta all'abiura della da voi vituperata mia scelta ma per il sangue del vostro sangue. Perché Elvira Italo e Livio non sanno cosa è la guerra, ma stanno imparandone la fame e il freddo ed io questa guerra degli uomini non voglio sia pagata dagli immaturi nipoti vostri.
Figlia vostra ossequente
Clotilde |
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Opera pubblicata ai sensi della Legge 22 aprile 1941 n. 633, Capo IV, Sezione II, e sue modificazioni. Ne è vietata qualsiasi riproduzione, totale o parziale, nonché qualsiasi utilizzazione in qualunque forma, senza l'autorizzazione dell'Autore.
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I fatti ed i personaggi narrati in questa opera sono frutto di fantasia e non hanno alcuna relazione con persone o fatti reali.
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«L'opera pittorica raffigurata è di Andrew Wyeth.» |
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bellissima Moreno (redent Enzo Lomanno)
Stupenda...complimenti per la speciale sensibilità (Triste)
Grande letteratura, grandissima! Complimenti!!! (Claudio Toccafondi)
piaciuta,piaciuta tanto,bella davvero (Anna Atzeni)
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