C’è qualcuno che piange. realizzò, domandosi chi fosse e mettendosi alla ricerca tra i vari scomparti della stalla finché, nascosta tra le balle di fieno, trovò una ragazzina affranta.
Darius rimase per qualche istante sconcertato. Le lacrime altrui gli incutevano quasi sempre soggezione. Il più delle volte non sapeva che fare o cosa dire.
La sconosciuta non si era accorta della sua presenza e continuava a piangere, trattenendo i singhiozzi ma inconsolabile.
Lui cercò subito di superare l’ attimo di disagio e le si avvicinò: « Ehi, perché stai piangendo? Qualcuno ti ha fatto del male?»
La ragazzina trasalì per la sorpresa e lo spavento guardandolo attraverso un velo di lacrime, poi, si lasciò andare in un pianto a dirotto.
Darius non insistette, ma le si sedette accanto, in attesa che si calmasse.
Solo quando la vide un po’ più tranquilla le ripeté la domanda: « Allora, mi vuoi dire come ti chiami e per quale motivo stai piangendo?»
« E a te che importa?» gli rispose, in modo sostenuto.
Lui si mostrò paziente e le sorrise con dolcezza, anche perché quegli occhioni blu lo sconcertavano. Darius non ne aveva mai visti di più belli e ammalianti: « Se te lo domando vuol dire che importa! Io mi chiamo Darius e mi piacerebbe sapere chi sei e il motivo di tanta tristezza.»
« Mi chiamo Licia Roxillia e sono la figlia dello stalliere» rispose finalmente lei riprendendo fiato. « Ho avuto una dura discussione con mio padre. Gli ho chiesto tante volte il permesso di assistere agli allenamenti dei gladiatori, e ogni volta me lo ha sempre negato. Forse perché teme che io mi lasci suggestionare.»
Darius sorrise. Davvero non riusciva a comprendere il motivo di tanta disperazione, ma in fin dei conti, tutto ciò che concerneva l’ universo femminile, per lui era ancora un enigma difficilmente risolvibile.
« Beh…» iniziò a dire, un tantino perplesso. « Tutto sommato c’è da capirlo. Quello dei gladiatori a volte è uno spettacolo crudo e tu sei soltanto una ragazzina. Se ti nega il permesso è soltanto per proteggerti. Lo capisci questo?»
Lei lo guardò con aria torva dimenticando le recenti lacrime e inalberandosi: « Solo perché sono una femmina non vuol dire che io sia debole e delicata come cristallo, anzi, sono forte e non mi lascio abbattere facilmente alla minima contrarietà!»
Darius non osò ribattere che poco prima si disperava per quella che lui riteneva una sciocchezza e le domandò: « Se tuo padre ti ha sempre negato il permesso come hai fatto a eludere la sua sorveglianza?»
« Quando lavora sono abbastanza libera e faccio quello che mi pare.»
Lui si guardò intorno: « Non vorrei scoraggiarti, ma credo davvero che questo non sia un ambiente adatto a te. Come puoi constatare da sola, qui lavorano soltanto uomini e le uniche donne che si possono vedere svolgono mansioni domestiche.»
Il ragazzo si pentì subito della frase perché lei si sollevò bruscamente e lo sovrastò, fulminandolo con uno sguardo assassino: « Non voglio diventare un’ ancella!»
« No? E cosa allora?»
Licia esitò un istante prima di rispondere quindi confessò: « Ho sempre desiderato di diventare una gladiatrice e se non imparo osservando le varie tecniche di combattimento temo che non realizzerò mai questo mio sogno!»
Darius rimase interdetto. Fino allora non aveva mai sentito parlare di combattimenti tra donne.
« Una gladiatrice? Ma ti rendi conto di cosa significhi? Sai a quali sacrifici e a quanti pericoli andresti incontro? Tuo padre ha ragione! È già talmente difficile per un uomo, figuriamoci per una ragazza esile e delicata come te!»
Licia lo guardò un po’ risentita poi, con un moto di orgoglio raddrizzò le spalle ergendosi il più possibile e apparendo così un po’ più grande:
« Non sarebbe la prima volta che una donna scende sull’ arena a combattere. Ci sono tanti casi di eroine che hanno conquistato allori e folla. Mio padre è contrario soltanto perché teme che mi succeda qualcosa, ma io sono molto forte e mi sento in grado di sfidare anche un uomo!»
Lui rise, divertito dall’ enfasi con cui Licia aveva scandito l’ ultima frase: « Davvero? Allora dai! Fammi vedere quello che sei capace di fare! Ti sfido a batterti con me!»
Licia Roxillia, non se lo fece ripetere, cogliendolo alla sprovvista con un balzo improvviso e gettandolo a terra. Mimando poi con la mano un’ improbabile spada, gliela puntò alla gola.
« Vedi, se fossimo stati davvero sull’ arena, avrei vinto io!»
« Se fossimo stati sull’ arena non mi avresti sorpreso e non avresti vinto!» rispose lui deciso, mentre un sorriso di simpatia gli illuminava il viso.
Gli sguardi dei due giovani rimasero incatenati per qualche istante, poi lei si rialzò e l’ incanto che li aveva colti si dissolse come neve al sole.
Da quel loro incontro nacque una grande amicizia e i due divennero inseparabili.
Nei momenti liberi dal lavoro che entrambi svolgevano, iniziarono ad allenarsi quotidianamente nei combattimenti sotto gli occhi attenti e divertiti dei soldati di guardia e del loro comandante Quintus Lemonia.
I centurioni partecipavano facendo un tifo accanito ora per l’ una ora per l’ altro e dando anche suggerimenti, finché una mattina non li vide anche Aurelius, che per un po’ stette a osservarli interessato.
In quel momento Licia aveva colto di sorpresa Darius con una mossa del tutto inaspettata, cosicché il ragazzo si era trovato in precario equilibrio. Lei ne approfittò all’ istante affibbiandogli uno sgambetto e facendolo ruzzolare per terra.
Seria e compunta Licia gli si mise a cavalcioni sul torace e con la spada di legno minacciò l’ avversario alla gola.
« Mi arrendo… mi arrendo!» rise lui afferrandola per le ascelle e scostandola di peso.
La risata di Darius contagiò i soldati, che iniziarono a sghignazzare e anche Licia finì per ridere a crepapelle.
Aurelius stette in silenzio per un po’, quindi intervenne:
« Se volete fare sul serio vi insegno le varie tecniche di combattimento e soprattutto di difesa, che rimane sempre la cosa più importante, prima dell’ attacco vero e proprio!»
Dopo i primi attimi di sconcerto fu Darius a riprendersi per primo: « Stai dicendo sul serio?»
Aurelius sorrise divertito: « Vi vedo scettici! Se non siete d’ accordo non se ne fa nulla!»
I due, fino a quel momento rimasti per terra come imbambolati, scattarono in piedi come molle: « Certo che vogliamo!» esclamò Darius con enfasi, poi accortosi di aver parlato anche per la compagna si volse a cercarne la conferma.
Licia non riuscì a nascondere il suo entusiasmo e rimarcò allo stesso modo: « Ne saremo onorati, Aurelius, ma non credo che mio padre sarà d’ accordo!»
« In qualche modo faremo. Lo inviteremo ad assistere a qualche allenamento e quando si renderà conto che non vi è nulla di pericoloso in quello che farai e che al contrario ti potrà servire come autodifesa nella vita reale, forse riusciremo a convincerlo.»
« Lo spero proprio!» rispose Licia.
« Bene!» riprese il liberto: « Non so dove voi due vogliate arrivare e dove vi portino i vostri sogni. Spero soltanto che sappiate ciò che vi aspetta e che sarete pronti ad affrontare qualsiasi sacrificio. Siete disposti a fare qualsiasi sforzo io vi chieda?»
Licia e Darius portarono la mano destra sul cuore: « Si, signore!» risposero entrambi con decisione.
« Allora iniziamo subito!» concluse il gladiatore.
Una volta ottenuto il permesso del padre della ragazza, il tempo libero dei due amici cambiò radicalmente. Aurelius, per saggiare le loro possibilità e attitudini psico fisiche, li mise sotto torchio e i due si trovarono impegnati in lunghi ed estenuanti esercizi di ginnastica, sollevamento pesi e gravose prove di resistenza.
Per qualche tempo Licia si mostrò paziente sopportando senza protestare le fatiche che il liberto imponeva loro poi, la sua indole ribelle si palesò in uno scoppio di rabbia incontrollata.
« Basta, Aurelius! Non ne posso più di questi inutili esercizi. Quando inizierai a darci lezioni di gladio?»
Il liberto l’ avvolse in uno sguardo glaciale: « Ti stai comportando come una ragazzina viziata e questo atteggiamento non è consono a chi sogna di diventare un gladiatore. Perché è proprio questa la tua ambizione, vero?»
« Sì! Ma trovo che tutto questo allenamento sia inutile.»
Aurelius si rivolse a Darius: « Credi anche tu che tutto questo sia inutile?»
« No! Sono convinto che tu sappia cosa occorra per diventare un buon combattente.»
Il liberto tornò a rivolgersi a Licia: « Allora, ragazzina, mettiamo le cose in chiaro! Io non ho molto tempo da perdere con un’ allieva indolente. La realizzazione del tuo sogno sarà possibile soltanto seguendo le rigide regole della palestra riguardo gli allenamenti che, per adesso e per voi due, sono ancora limitati alle poche ore settimanali ma che col tempo diverranno sempre più intensi e impegnativi, sia dal punto di vista fisico che mentale. Ora, se non sei molto convinta, se non ti senti pronta e soprattutto, se tutto questo ti sembra troppo pesante da affrontare, puoi uscire dalla palestra e tornatene a casa. Nessuno ti obbliga a rimanere.»
Il tono deciso del liberto indusse Licia ad abbassare gli occhi.
Sebbene intuisse che Aurelius aveva ragione, si sentì mortificata. Doveva mettere più impegno e lamentarsi meno. Solo così poteva sperare di concretizzare quello che aveva sempre sognato.
Licia drizzò le spalle e in un impeto di orgoglio promise: « D’ ora in poi mi impegnerò di più. Non ti deluderò, vedrai!»
Il liberto annuì: « Se non manterrai la tua parola non deluderai me, bensì te stessa!» concluse il liberto.
Licia annuì più convinta e tornò a fare gli esercizi mostrando più lena.
Un giorno, durante un allenamento, vennero notati dal mercante. I due ragazzi avevano iniziato le prime schermaglie con le spade di legno e l’ organizzatore trovò interessante il loro combattimento.
« La tua idea di addestrarli mi sembra ottima, Aurelius.»
« Ti ringrazio, nobile Marcus. Come puoi constatare loro ci mettono tutto l’ entusiasmo e l’ energia dettata dai giovani cuori.»
Il mercante sorrise: « Stai addestrando due probabili campioni e chissà, forse un giorno non molto lontano li vedremo combattere sull’ arena.»
Aurelius scosse la testa: « Forse… ma ne dovrà scorrere ancora molta di acqua sotto i ponti!»
Marcus batté una manata sulla spalla del liberto: « Tu continua ad addestrarli, al resto penserò io!» disse, poi si allontanò, seguito dallo sguardo dubbioso del gladiatore.
I mesi passarono velocemente e si trasformarono in anni. Licia e Darius si ritrovarono sedicenni quasi senza rendersi conto del trascorrere del tempo.
Gli incontri del ragazzo con il rapace erano diventati talmente sporadici da indurlo a domandarsi se non fosse stato il frutto della sua fantasia.
Lui e Licia erano cresciuti, diventando agili e forti grazie agli impegnativi esercizi quotidiani. Darius sfoggiava già un fisico d’ atleta, e l’ amica non era da meno con quei muscoli guizzanti che risaltavano sul suo corpo snello.
Essendo i più giovani allievi della palestra gli altri gladiatori li avevano presi a benvolere.
Quel giorno Aurelius aveva riunito gli atleti nell’ arena dell’ anfiteatro formando delle coppie, che si affrontavano simulando un combattimento.
I due amici si fronteggiavano maneggiando delle lame spuntate e indossando delle protezioni di cuoio.
« Sei stato in gamba Aurelius! Li hai trasformati in ottimi combattenti!» si complimentò il mercante soffermatosi a osservare la scena.
« Non è solo merito mio, nobile Marcus. I ragazzi sono portati per questa disciplina.»
« A questo punto credo che entrambi siano pronti per un esordio spettacolare sul campo.»
Il liberto trasalì: « Se posso, signore, non sono d’ accordo! Sono ancora troppo giovani! Lottano tra loro per puro divertimento e non sono maturi abbastanza per un vero combattimento.»
« Devi dirmi soltanto se credi sufficientemente nelle loro qualità fisiche. Attieniti a questo, Aurelius.»
Il tono di quello che era stato il suo padrone si era fatto più deciso e il gladiatore si soffermò a studiarne l’ espressione prima di rispondere.
« Signore» disse umilmente « In tutti questi anni penso di averla servita fedelmente fornendole i migliori combattenti di tutto l’ impero e donandole parecchie soddisfazioni. Di questo me ne deve dare atto.»
Marcus annuì e il liberto proseguì: « Sono profondamente convinto che non abbiano abbastanza esperienza e la maturità necessaria per scendere in campo e combattere.»
Il tono del mercante si ammorbidì:
« Comprendo le tue considerazioni, ma credimi, non ho certo l’ intenzione di farli combattere sul serio. Devono solo offrire uno spettacolo diverso da quelli che generalmente si vedono nelle arene. Quei due hanno talento e secondo me, combattendo l’ una contro l’ altro, sono in grado di far esaltare la folla di spettatori. Sono convinto che in poco tempo possano diventare i nuovi eroi dell’ anfiteatro.»
Il liberto si rilassò:
« Se si trattasse soltanto di una esibizione non avrei nulla da ridire, ma esiste anche un problema con il padre della ragazza. Sarà difficile convincerlo a lasciarla esibire come gladiatrice nello stadio.»
« Di questo non devi preoccuparti! Siamo riusciti a convincerlo già una volta e sono certo di trovare gli argomenti giusti affinché dia il suo consenso.»
Aurelius non osò ribattere oltre e chinò rispettosamente la testa. L’ organizzatore aveva quasi lo stesso potere dell’ Imperatore e decideva soltanto lui chi avrebbe partecipato ai giochi e ai combattimenti.
« Allora sarà come desideri, nobile Marcus.»
« Bene! D’ ora in avanti li allenerai come se dovessero affrontare un’ intera squadra di avversari. Conto su di te, Aurelius!»
L’ altro annuì e salutò portando la mano sul cuore, quindi pensieroso, guardò il mercante allontanarsi e, per nulla convinto, scosse la testa.
Per Marcus fu molto più impegnativo convincere il padre della ragazza a rilasciare il permesso affinché Licia potesse scendere sulla arena. Ci vollero parecchie promesse e rassicurazioni, uno scambio reciproco di favori e infine l’ accordo tra i due andò a buon fine. Il mercante, in un modo o in un altro, riusciva sempre a ottenere ciò che desiderava.
Licia accolse la notizia con sollievo e tanta, tanta contentezza, così, i due ragazzi presero ad allenarsi con maggiore impegno e altrettante difficoltà.
5
In realtà Aurelius era molto preoccupato e le parole spese dal mercante per rassicurarlo, non avevano affatto ottenuto lo scopo. Per questo motivo il gladiatore li aveva sottoposti a un addestramento ancora più impegnativo.
In quel momento Licia e Darius erano al centro dell’ arena vestiti di tutto punto da gladiatori con corazze, elmi e schinieri e impugnando armi vere, seppure del tutto innocue perché accuratamente spuntate. Dovevano abituarsi gradualmente a sostenere e sopportare il gravame dell’ armatura di cuoio e metallo modellata in esclusiva sui loro giovani corpi.
Aurelius non poté fare altro che ammirarli. Le corazze sottolineavano alla perfezione e mettevano in risalto le linee statuarie dei giovani combattenti.
Decise di metterli alla prova sfidandoli di persona e affrontandoli in contemporanea:
« Forza, ragazzi. Fatemi vedere cosa sapete fare!»
I due allievi si scambiarono uno sguardo d’ intesa, quindi fu Licia a scagliarsi all’ attacco.
La foga con la quale la ragazza sferrò la prima mossa, per un istante sorprese Aurelius, che dovette ammettere tra sé: Possiede abbastanza ardimento da non esitare davanti a nessuno, fosse anche un gigante. pensò con orgoglio studiandone l’ esatta postura e la tecnica, poi fu costretto ad arretrare, parando un fendente menato con vigore da Darius.
Bene! Si proteggono e sostengono a vicenda e questa loro solidarietà potrà tornare utile in caso di bisogno.
Il liberto non perse altro tempo a saggiare la forza e la velocità di reazione dei suoi allievi ma iniziò a menar fendenti con il gladio senza filo, con la stessa foga che avrebbe messo in un combattimento all’ ultimo sangue.
I ragazzi si comportarono bene parando o schivando colpo dopo colpo coprendosi le spalle e affondando quando se ne presentava l’ occasione.
I rintocchi sonori delle spade contro il metallo degli scudi, unito alle urla d’ incitamento dell’ istruttore risuonarono a lungo tra gli spalti vuoti dello stadio.
Solo quando Aurelius decise di aver appurato abbastanza mise fine all’ improvvisato duello.
Accaldati, sudati e trafelati per il caldo e la fatica, gli allievi scrutarono con attenzione il loro maestro d’ armi.
« Siete a corto di ossigeno e questo non è un buon segno!» li rimproverò, osservando con preoccupazione i loro toraci che si alzavano e abbassavano nella respirazione con evidente fatica.
« D’ ora in poi siete esonerati da ogni fatica e dedicherete ogni mattina a un paio di ore di corsa in salita. Silvester vi farà da guida e apripista per i colli di Roma e solo quando avrete acquisito il fiato, che adesso vi manca, potremo pensare di farvi combattere.»
Darius gli rivolse uno sguardo deluso e demoralizzato ma Aurelius non si lasciò commuovere.
« Se davvero desiderate diventare dei gladiatori dovete fare come vi dico. Non ho mai mandato in campo un guerriero che non fosse preparato e che mi facesse fare brutta figura e non ho nessuna intenzione di iniziare con voi. Siamo intesi?» domandò con cipiglio assai duro.
I due annuirono e Aurelius li congedò.
Il gladiatore al quale erano appena stati affidati era un vero gigante. Un uomo alto quasi due metri, dalla muscolatura impressionante e la pelle nerissima.
Era appena stato trasferito da un’ altra città e aveva un carattere ombroso, solitario.
Il corpo segnato da cicatrici tribali e altre causate da armi denunciava il passato e i svariati combattimenti sostenuti. Inoltre, lo sguardo torvo in cui avvolgeva tutto e tutti, contribuiva a incutere soggezione.
Quando i due ragazzi gli riferirono il volere di Aurelius, il volto mascolino, che sembrava scolpito nell’ ebano, rimase impassibile.
Il gigante nero si limitò a fissare i due ragazzi con espressione neutra e a loro rimase difficile decifrarne i pensieri.
In realtà Silvester stava valutando i due giovani da esperto, percorrendone i corpi da capo a piedi.
« Vi farete trovare pronti domattina all’ ora prima» scandì semplicemente, poi li ignorò e riportò la sua attenzione sulle armi che stava lucidando, una delle quali, attirò l’ attenzione dei due per la sua insolita fattura e la grandezza.
Un lampo di curiosità e di desiderio balenò negli occhi di Darius e il gladiatore se ne avvide.
« Non riusciresti nemmeno a sollevarla!» borbottò rude.
Darius non si lasciò scoraggiare dai modi bruschi dello schiavo: « Posso vederla? Ti prometto che la maneggerò con cura senza sporcarla» aggiunse, nel constatare la lucentezza della lama incisa con caratteri esotici.
Silvester fece un ghigno d’ assenso, poi avvertì: « Stai attento! L’ ho appena affilata.»
I due amici afferrarono con una sorta di timore reverenziale la strana arma, ma anche con una certa ammirazione. Se la passarono con delicatezza soppesandola a fatica e scrutandone la fattura in ogni particolare. Quello che più li colpì furono l’ accentuata curvatura della lama e le incisioni pregevoli sull’ elsa.
« Non avevo mai visto una spada come questa. Da quale terra lontana viene?» domandò Licia.
Lui la guardò evidentemente infastidito dalle tante domande, eppure rispose: «È una scimitarra e viene dal Sublime Stato Ottomano. Mi è stata regalata da un amico che non c’è più» concluse.
« Un’ arma micidiale!» sentenziò Darius con tono da esperto.
Silvester sogghignò: « Occorre solo saperla maneggiare perché lo diventi!»
Allora Darius gli sorrise con malizia: « Se rimarrà del tempo, dopo gli allenamenti, ci insegnerai?»
« Vedremo» rispose il gigante, laconico, congedandoli con un gesto.
Il mattino dopo, al cantare del gallo, i due amici aspettavano impazienti il loro nuovo istruttore.
Silvester arrivò in quel momento e studiò la tenuta dei due e, in modo particolare i sandali chiodati che portavano ai piedi.
« Un vero maratoneta corre a piedi nudi» disse, indicando i suoi, enormi e senza calzature.
Licia e il compagno esitarono, poi fu lei a obiettare: « Se corriamo senza calzari ci feriremo la pelle.»
L’ uomo estrasse quattro lunghe bende dalla tasca del gonnellino che indossava e ne porse due a ciascuno.
« Per i primi giorni correrete con i piedi fasciati, fintanto che non si saranno formati le callosità che vi proteggeranno.»
Il tono non ammetteva altre repliche e i due ubbidirono rassegnati.
Dopo pochi minuti, i passanti più mattinieri si soffermarono ad ammirare lo strano trio composto dal gigante seminudo e dai due ragazzi, che correvano insieme lungo la via Decumana.
La salita che portava sul primo colle fu faticosa e il gladiatore non concesse soste, sebbene avesse l’ accortezza di mantenere un passo abbastanza lento proprio per non sforzare più del dovuto i due giovani corridori, che arrancavano con fiato grosso alle sue spalle.
Mai una volta si volse a controllarli; Silvester sapeva che lo avrebbero seguito senza mai fermarsi, anche a costo di crollare senza sensi. Solo quando giunsero in cima al colle il gigante si fermò a respirare a pieni polmoni l’ aria fresca del mattino.
Quando i due lo raggiunsero, attese che riprendessero fiato, quindi indicò loro la distesa di tetti, terrazze e mura candide disseminata davanti a loro.
«È immensa!» sussurrò tra sé Darius.
« Davanti ai nostri occhi si estendono secoli di cultura e di storia» disse Silvester indicando i vari monumenti e i Fori imperiali.
« Non ti manca il tuo paese?» domandò invece Licia, cogliendo una vena malinconica nel tono del gladiatore.
« Sono nato in una terra chiamata Nubia che si trova nel cuore di un continente antico forse più di Roma. Una terra che per quanto selvaggia e priva di modernità, la ritengo la più bella al mondo.»
« Come sei arrivato qui?»
Silvester esitò, forse dibattuto tra tacere o parlare apertamente delle sue origini. Una ferita del non tutto emarginata e che ancora infastidiva.
Lo sguardo dei due giovani era franco e speranzoso e lo convinse ad aprirsi.
« Da schiavo, tra le braccia di mia madre. Con una carovana composta da mercanti di uomini e un centinaio di disgraziati come me e attraversando un immenso deserto e foreste sterminate e alla fine navigando il mare Mediterraneo.»
Il tono di Silvester s’ incrinò e il gladiatore deglutì a vuoto, poi accortosi dello sguardo compassionevole di Licia riprese: « Non tollero di essere compatito! Un giorno tornerò da uomo libero nel mio paese. Lo promisi a mia madre prima che morisse, come le promisi che le sue ceneri sarebbero tornate nella sua terra.»
I due ragazzi annuirono, convinti che il nubiano avrebbe mantenuto le sue promesse.
Qualche istante dopo, per smorzare la tensione che si era venuta a creare, Darius lanciò la sua sfida alla compagna: « Forza Licia! Vediamo chi arriva prima in fondo alla salita!»
Licia non se lo fece ripetere e i due scattarono, buttandosi a capofitto sulla via del ritorno.
Silvester, con un accenno di sorriso sul volto, scosse la testa comprensivo: « Non vi affannate! Non c’è premura di tornare!»
In alto nel cielo e semi nascosto dalle candide nuvole, un mitico volatile aveva seguito la scena.
6
I giorni si susseguirono gli uni agli altri tra allenamenti con le reti, i gladi, i giavellotti e le corse mattutine con Silvester.
Tra il nubiano e i ragazzi si era instaurato un rapporto di stima e fiducia e l’ aspetto del gigante non incuteva più soggezione anzi, entrambi provavano profonda ammirazione per il fisico scolpito del gladiatore.
Silvester aveva dimostrato più volte che non esistevano limiti a ciò che era in grado di fare. Sollevare pesi impossibili per altri e arrampicarsi agilmente come una scimmia erano imprese normali per lui. Veniva considerato come il più forte tra i gladiatori e i ragazzi, che ormai lo avevano eletto a loro idolo, non desideravano altro che emularlo.
Il nubiano, nella lotta corpo a corpo, faceva uso di una tecnica che attirò subito l’ attenzione dei due amici.
« Silver, ci insegneresti qualche mossa di quella strana lotta?»
Il nubiano ringraziò il compagno con il quale si stava allenando e con un asciugamano si deterse il sudore dalla fronte e dal corpo.
« Dambe. Questa disciplina si chiama Dambe ed è antica come la terra dalla quale deriva: la Nubia.»
« Il luogo dal quale provieni. Considerato che eri un neonato quando sei arrivato a Roma, chi ti ha insegnato le mosse?»
Lui la freddò con uno sguardo truce: « Ti hanno già detto che sei troppo curiosa, ragazza?»
Licia non si risentì per il tono. Conosceva abbastanza il nubiano per sapere che le sue erano solo espressioni intimidatorie. In realtà il gigante aveva sempre dimostrato una certa disponibilità verso di loro.
« Secondo te la curiosità è un brutto difetto?»
Silvester cedette e sorrise: « A volte può esserlo, a volte invece risulta un grande pregio. La curiosità implica anche una grande voglia di conoscenza» concluse sedendosi, imitato dai due giovani amici.
« Tutto quello che conosco della mia patria mi è stato insegnato da un compagno d’ armi. Un grande guerriero, schiavo e gladiatore come me.»
La voce del gigante s’ incrinò in modo appena percettibile ma non sfuggì a Darius: « Si chiamava Bandele ed era un grande amico per me.»
«È morto, vero?» domandò Licia.
« Sì. Durante un combattimento, come tanti altri compagni del resto.»
Nel ricordare l’ amico scomparso il nubiano chinò la testa, ma il ragazzo fece in tempo a intravedere un luccicore nei suoi occhi.
Per un attimo Darius si sentì a disagio. Avrebbe voluto mostrargli la sua solidarietà con una stretta, un semplice abbraccio, ma il pudore glielo impedì e riuscì soltanto a mormorare:
« Dovevi essergli molto affezionato se il suo ricordo ti procura ancora così tanta sofferenza.»
Silvester annuì: « Non era un semplice amico o compagno d’ armi. Ero un ragazzino quando lo fecero prigioniero e lo portarono nella città in cui mi trovavo io, ed entrammo subito in sintonia. Forse perché provenivamo dalla stessa terra, o forse perché ero molto più piccolo, fatto sta che mi fece da padre e m’ insegnò tutto quello che conosceva e che io non avevo avuto possibilità d’ imparare da mia madre. Oggi posso dire di conoscere gli usi e i costumi della Nubia grazie agli insegnamenti che lui mi ha trasmesso.»
I due amici tacquero, forse anche un po’ commossi dal racconto del gladiatore.
Trascorsero istanti di pura malinconia, ognuno immerso nelle proprie sensazioni e nei propri pensieri. Fu il nubiano a riscuotersi per primo: « Forza! Se davvero volete che v’ insegni qualche mossa, dovete alzarvi.»
Darius e Licia sorrisero entusiasti. Silvester era ritornato il guerriero burbero che conoscevano.
Un pomeriggio, in seguito a una scommessa tra gli atleti, il nubiano si pose sotto il ventre di un cavallo da corsa addetto a trainare le bighe e adagiatolo sulle spalle lo sollevò, senza sforzo apparente, suscitando stupore e divertimento tra i compagni.
Per sua sfortuna, in quel momento, si trovò a passare Marcus, il padrone, che non gradì affatto lo spettacolo offerto dal gladiatore.
La sua voce adirata sovrastò gli schiamazzi e gli incitamenti di tutti i presenti: « Ehi, tu, schiavo! Come osi? Non sai che quel cavallo ha più valore di tutti voi messi insieme?»
Quell’ intervento inaspettato ebbe l’ effetto di una doccia gelida.
La scena si cristallizzò. Licia e Darius impallidirono. La collera del mercante traboccava dall’ espressione e dalla postura. Non era mai accaduto che il padrone avesse una reazione così violenta nei confronti dei suoi subalterni.
Nessuno ebbe il coraggio di fiatare. Persino Aurelius era rimasto basito.
Silvester, rimasto paralizzato con il cavallo impaurito sulle spalle, si abbassò e liberatosi del peso, si erse in tutta la sua statura.
Il mercante, in compagnia di un paio di senatori, si avvicinò e, con un’ ombra minacciosa negli occhi, fulminò Aurelius: « Con te, liberto, che hai permesso tutto questo, farò i conti più tardi» minacciò, passandogli accanto, quindi si rivolse al nubiano: « Pazzo! Hai rischiato di azzoppare il cavallo destinato all’ auriga più benvoluto dall’ imperatore» la sua voce si abbassò di un tono diventando meno aspra « Proprio oggi che sono presenti i due funzionari inviati dal sovrano per riferirgli sui preparativi.»
Marcus scosse la testa contrariato:
« Purtroppo, non riuscirò a nascondere questa tua impresa e la notizia arriverà alle orecchie di Cesare. Lo sai cosa comporterà tutto questo?»
Il nubiano annuì: « Qua mi conoscono tutti, padrone e sanno che ho sempre risposto per le mie azioni.»
« Maledizione!» imprecò Marcus « Sei un incosciente! L’ imperatore ordinerà una punizione severa e per un po’ non potrai più combattere.»
« Mi dispiace» mormorò il nubiano.
Marcus lo scrutò negli occhi, quindi concluse: « Vedrò d’ intercedere con Cesare per una punizione meno severa, ma non sono certo di ottenere molto» poi, nonostante fosse lì per i ragazzi, ne ignorò la presenza, volse le spalle e se ne andò, seguito dai due senatori.
Come previsto la sua mediazione non servì a molto e la sera stessa, nell’ arena illuminata da alcuni falò accesi per l’ occorrenza, sugli spalti destinati al pubblico presero posto un centinaio tra legionari, gladiatori e schiavi addetti alle stalle e alle pulizie. Anche Licia e Darius furono obbligati ad assistere alla fustigazione.
Tutto era pronto eppure, Aurelius sostava alle spalle del prigioniero tentennando. La sua mano era scossa da un leggero tremito.
« Voglio che sia tu a portare a termine la punizione» gli aveva ordinato poco prima il mercante.
Aurelius aveva esitato prima di rispondere: « Nobile Marcus, ti chiedo di esonerarmi da quel compito gravoso.»
Marcus fu irremovibile: « No! Devi essere tu a impugnare la sferza e sono sicuro che la tua mano non infierirà come potrebbe invece quella di un estraneo.»
Aurelius aveva compreso le reali ragioni del mercante e, seppure a malincuore, si era arreso.
Silvester, legato semi nudo a un palo, venne sottoposto per ben venti volte ai morsi dilanianti della frusta sulla schiena. Il gigante strinse i denti al primo colpo e, con un enorme sforzo di volontà, cercò di estraniare il più possibile il corpo e la mente dall’ atroce punizione.
Non un urlo gli sfuggì dalla bocca, soltanto qualche debole lamento, ma i presenti videro chiaramente le sue labbra tanto serrate da sanguinare, in contemporanea alle contrazioni spasmodiche del corpo.
Dopo la prima frustata Licia nascose la testa sulla spalla dell’ amico ma, un pretoriano, inviato dall’ imperatore e prontamente intervenuto, la costrinse a guardare.
Tutti gli astanti avevano l’ obbligo di assistere.
Darius, percepita tutta la sua angoscia, le aveva afferrate le mani e strette con vigore cercando d’ infonderle un minimo di sostegno: « Coraggio! Finirà presto!» le sussurrò all’ orecchio.
Il terrificante spettacolo sembrò durare un’ eternità per gli amici della vittima ed ebbe fine soltanto dopo la ventesima frustata.
Aurelius abbassò il braccio contratto per lo sforzo di colpire lasciando cadere la sferza come se l’ impugnatura ardesse nella sua mano. Mai più avrebbe voluto punire in quel modo efferato uno dei suoi, ma gli ordini erano stati quelli e lui aveva dovuto ubbidire.
Il gladiatore si avvicinò al compagno ferito sollevandone delicatamente la testa ingobbita tra le spalle.
Silvester era vigile e i suoi occhi più, che la sofferenza, esprimevano una collera e una ribellione profonda. Ad Aurelius diede l’ impressione di un vulcano pronto a esplodere.
« Mi dispiace, amico mio! Sono stato costretto!» si scusò, mentre gli scioglieva i legacci dai polsi.
Il nubiano annuì: « Non è colpa tua!» rispose a denti stretti poi le sue gambe possenti cedettero e Aurelius fece appena in tempo a sostenerlo.
« Aiutatemi a trasportarlo sulla sua branda!» sollecitò i compagni.
Soltanto una mezz’ ora dopo i due amici ebbero il permesso di visitare il ferito, che trovarono disteso a pancia in giù sul suo giaciglio.
La sua schiena martoriata li fece rabbrividire.
« Ti ho portato un unguento lenitivo suggeritomi da un guaritore. Mi permetti di spalmartelo sulle ferite?» domandò Darius.
Il nubiano volse la testa e grugnì: « Preferirei le mani più delicate di Licia!»
Lei si fece avanti: « Ti curerò volentieri, anche se queste piaghe mi fanno impressione!»
« Puah! Non avevo mai sentito di un gladiatore che s’ impressiona alla vista di un po’ di carne maciullata e sanguinolenta!» trovò la forza d’ ironizzare il ferito.
Licia non rispose, limitandosi a spalmare l’ unguento con estrema delicatezza.
« Le mani femminili non dovrebbero servire a maneggiare armi!» sentenziò ancora caustico il nubiano.
E in realtà, quest’ ultima osservazione non piacque affatto a Licia, che obiettò: « Non tutte le donne sono portate a svolgere lavori considerati del tutto femminili. Se tratto con pietà le tue ferite, non vuol dire affatto che io sia delicata e non idonea a scendere in campo.»
Forse mise più enfasi del dovuto nella sua difesa perché la schiena del ferito ebbe un sussulto: « Ehi, fai piano! Non farmi pentire di avere scelto te come infermiera!» si lamentò.
« Perdona, non volevo!» si scusò lei.
« Chissà quando potremo riprendere gli allenamenti!» intervenne Darius cambiando discorso.
« Domani, come al solito. All’ ora prima fatevi trovare pronti.» rispose il gladiatore. « E ora andate via! Ho bisogno di restare solo!»
continua...