La sveglia mi fissa. Chiudo gli occhi, non voglio guardare il tempo che trascorre. Allungo la mano verso di lei, sempre con gli occhi chiusi. La spengo, tanto orami sono sveglia, da ore.
Ho pianificato questo momento, questo giorno da mesi. Ho rimandato, finché mi è stato possibile. Ora non posso più. Ho due giorni a disposizione, settimana prossima dovrò consegnare anche le chiavi.
Altri due giorni, come il mese scorso, ma il mese scorso non ci sono riuscita, ho girovagato, pensato, tentato di organizzare: non ho concluso nulla. E’ tutto così assurdo, così difficile.
Mi alzo, anche se sarebbe meglio dire che mi trascino fuori dal letto. Apro la finestra, coltivando la segreta speranza di vedere una giornata limpida, pulita, che mi aiuti ad affrontare questo momento.
Non è così, la foschia che ho di fronte e che sfuma tutti i contorni, l’ umidità pungente, non poteva che essere così: ormai è Novembre inoltrato.
Mi preparo la colazione e mentre aspetto che l’ aroma del caffé si spanda per la cucina, scelgo cosa indossare: qualcosa di comodo e pratico. Cerco di non pensare. E’ proprio difficile.
Finisco la mia colazione e mi infilo sotto la doccia.
E’ meravigliosa la sensazione dell’ acqua sulla pelle, porta via anche i pensieri.
E’ inutile avvilirsi, sono passati tre anni. Mi vesto ed esco di casa. Mentre raggiungo la mia auto, mi chiedo quanti viaggi dovrò fare: per fortuna ho una station.
Mi piace guidare a quest’ ora del mattino, la città non si è ancora svegliata ed è tutto rallentato, piacevolmente rallentato.
Dieci minuti e il parcheggio proprio sotto il portone di casa.
All’ improvviso mi assale il dubbio di non aver preso le chiavi: frugo in borsa, nelle tasche del giubbotto e mentre comincio a pensare di dover tornare a casa, mi ricordo di averle lasciate nel cassetto del cruscotto, qualche giorno fa.
Amareggiata per non aver altri motivi per cui ritardare, le prendo ed esco dall’ auto.
Attraverso il vialetto alberato che mi conduce al portone. Le scarpe scricchiolano sulle foglie. Non c’è nessun altro rumore, se non quello dei miei passi. Quasi tutti gli alberi sono spogli, anche quello che mi piaceva tanto guardare dalla finestra in estate, tra i suoi rami fittissimi trovavano albergo così tanti nidi. Che malinconia…
Salgo a piedi i tre piani, anche questo è un espediente per rimandare.
Ho il fiatone quando raggiungo la porta. Mentre infilo la chiave nella toppa, lo sguardo mi cade sulla targhetta col nome. Mi sono dimenticata della targhetta. Chissà se in casa c’è un cacciavite.
Entro e accendo la luce, appoggiandomi alla porta, la richiudo col mio peso. Lo spettacolo di abbandono che mi offre la casa, mi fa stringere il cuore. Quasi tutti i mobili sono stati portati via e di loro resta l’ impronta sui muri. Solo le librerie ed un mobile basso nella sala, sono rimasti.
Una fitta al cuore. Velocemente attraverso il corridoio e quasi di corsa apro tutte le finestre. Prima che i ricordi mi assalgano, prima che l’ eco di voci, di risate, di canzoni mi ritorni. Una fitta al cuore.
L’ odore di polvere e di chiuso è forte. Cerco di non pensarci.
Gli scatoloni chissà dove li hanno messi. Mi aggiro per le stanze con l’ aria di chi sa esattamente cosa deve fare, in realtà non so da dove cominciare.
Finalmente trovo gli scatoloni. Ne prendo qualcuno e li porto accanto alla libreria, nel soggiorno.
Devo prendere anche una scala per raggiungere i ripiani più alti.
Comincio. I libri non sono più disposti in ordine alfabetico, lui ci teneva tanto. Ne tiro giù sei o sette per volta, evitando di guardarli e li appoggio sul parquet.
Su e giù, su e giù per una buona mezz’ ora. Dall’ alto della scala guardo il risultato del mio lavoro: il pavimento è “ piastrellato” a metà di libri. Sarà bene cominciare a riporli nelle scatole.
Siascia, Montale, Pirandello scivolano nelle scatole dopo averli spolverati e scossi.
Cartoline, fotografie, biglietti d’ auguri e segnalibri fanno capolino da quei volumi ed ogni immagine, ogni parola è una lacrima silenziosa che si fa strada tra i ricordi.
Ho bisogno di una boccata d’ aria. Mi affaccio alla finestra, una pioggerellina fitta e leggera ha cominciato a cadere. Ho un po’ freddo. Chiudo la finestra, devo continuare.