Esattamente un mese prima di Natale, il venticinque novembre, stavo percorrendo distrattamente il viale della mia cittadina che porta il mio stesso cognome, il viale che ho soprannominato "Champs- Elysé es" . Per la disattenzione mi stavo quasi scontrando con un giovanotto che, vedendomi, mi saluta, piuttosto timidamente: intuisco, come sempre in questi casi, che si tratta di un mio ex alunno, ma non so quale, e glielo chiedo. E’ M., un ragazzo che ora ha ventitré anni e che nove, dieci anni fa credo di avere conosciuto abbastanza bene nell’ animo (il fisico cambia, anche se lui è rimasto bassino e magrolino, ma si è fatto crescere una barbetta da intellettuale) .
Non gli rammento certo la scena che me lo impresse definitivamente e positivamente nella memoria. Il giorno dell’ esame orale di licenza media M. fu interrogato anche dalla professoressa di Educazione musicale che, con la tipica aria di superiorità di tanti villani rifatti, lo rimproverò di avere sempre studiato poco durante l’ anno la sua materia, e soprattutto di non avere amato Mozart, secondo lei l’ indiscusso dio dei compositori. Il ragazzo non protestò sul momento, aspettò che anche i suoi compagni finissero l’ esame e poi chiese alla professoressa se poteva dirle una cosa. Alla sua risposta affermativa (evidentemente pensava che il ragazzo avesse voluto ringraziarla per non avere proposto di bocciarlo..,), M. disse, con la sua solita perfetta pronuncia italiana: "Professoressa, ma andate a fare in c...! ", e scappò via. La docente per poco non fu colta da un malore, e pretese che la mattina seguente il preside convocasse entrambi i genitori del ragazzo (una coppia distinta, e di livello economico palesemente superiore: era, tra l’ altro, proprietaria di una casa per le vacanze in Costa Azzurra); vennero a scuola con lui e stettero lì mezz’ ora a fare continue scuse all’ insegnante, con il figlio che era diventato tutto rosso per la vergogna, fino ad ottenere finalmente il molto probabilmente finto perdono di quella grandissima amica di Mozart. (Io, in quella mezz’ ora, non facevo altro che guardare il ragazzo con benevolenza, temendo che gli venisse qualche crisi di nervi, e sotto sotto ammirandolo, perché aveva avuto il coraggio di dire alla mia collega quella frase che anch’ io avrei tante volte desiderato dirle...)
M. mi informa che ora è uno studente universitario di Filosofia, e ci mettiamo a parlare di Derrida, di Deleuze, di Foucault, di Barthes, di Freud, di Lacan, di Recalcati (secondo lui più efficace quando parla che quando scrive), di Proust, di Musil... Si rammarica di non avere studiato bene il francese, che ora gli servirebbe, e di non essersi ancora laureato, mentre un suo compagno di classe, P., pure mio alunno, già ha raggiunto quel traguardo, sempre in Filosofia, ma io gli dico che è normale, a ventitré anni, essere indietro con alcuni esami.
M. e P. erano due alunni nei quali ben mi riconoscevo, che conseguentemente meglio comprendevo e sui quali maggiormente facevo presa (è inutile nascondere che, in ogni professione che contempla rapporti con delle persone, si ottiene il risultato migliore e desiderato forse solo nel dieci per cento dei casi: anche un medico cura bene un paziente se costui ha una malattia che il dottore ha già tante volte trattato, anche un avvocato difende meglio un suo cliente se questi ha un problema che sta a cuore al professionista...) M. e P. erano due allievi piuttosto introversi, ma in modo diverso: M. non riusciva a trattenere, a volte, la sua insoddisfazione per ciò che lo circondava, e con qualche originale trovata, ogni tanto, se ne liberava (provvisoriamente), mentre P., più tranquillo, aveva introiettato senza sforzi apparenti il senso del dovere, aveva un Super- Io fortissimo che lo spingeva ad agire sempre con calma e con la massima moderazione. (Io, a quell’ età, oscillavo tra quei due tipi: mi comportavo come P., ma con notevoli sforzi, perché il mio Io, o forse il mio Es, cercava prepotentemente di emergere, come quello di M., e lottavo alquanto con esso per tenerlo a freno.)
Ragazzi così sono difficilmente destinati a sentirsi a proprio agio con le cose pratiche, hanno una naturale tendenza per la speculazione, per la costruzione di teorie che non permettono di ottenere granché nella vita, preferiscono il godimento derivante dal possesso di una loro idea a quello di un oggetto o di una persona (immagino che anche M. trovi non poche difficoltà nei rapporti con le ragazze...)
Non lo faccio quasi mai, ma alla fine di quella breve conversazione provo l’ irrefrenabile desiderio di abbracciare M. e di dargli un paio di baci sulle guance: si allontana visibilmente emozionato, ed ho l’ impressione che una lacrima gli si stia formando in un occhio.