"El pè r un gesvita, quel malé: an me piè c! ", diceva talvolta la mia nonna pesarese quando tornava a casa dopo avere incontrato qualche persona a lei poco congeniale. Ero un bambino, e capivo quasi tutte le parole del suo dialetto, tranne qualcuna, come "gesvita" in quel caso. Pensavo che significasse "antipatico" ("E’ antipatico, quello: non mi piace! ") Non sapevo ancora che "gesvita" era l’adattamento pesarese del termine "gesuita" (il pesarese ha una spiccata predilezione per l’accorciamento delle parole, e talvolta cambia anche una vocale, o una semivocale, con una consonante: non a caso Pesaro è dirimpettaia della Croazia, nella cui lingua "Trieste" diventa "Trst"! )
In realtà mia nonna, con quella parola dialettale, intendeva dire "ipocrita", perché da un secolo ormai prima che lei nascesse la sostanziale identità di significato di gesuitismo e ipocrisia si era diffusa in tutto il popolo.
In epigrafe al capitolo XXII di "Le rouge et le noir", di Stendhal, si legge: "La parole a é té donné e à l’homme pour cacher sa pensé e" ("La parola è stata data all’uomo per nascondere il suo pensiero") . Il romanziere francese attribuì quella frase al gesuita padre Gabriele Malagrida, anche se secondo alcuni essa sarebbe stata in realtà pronunciata dal ministro Talleyrand; è un pensiero assolutamente contrario all’evangelico invito (pur se spesso irrealizzabile) di Gesù: "Dite sì se è sì, e no se è no"!
Gabriele Malagrida (1689- 1761) era un gesuita italiano (lariano) che fu condannato al rogo, a Lisbona, per essersi opposto a certe decisioni del re del Portogallo, e soprattutto del potente e illuminato marchese di Pombal: dopo il disastroso terremoto del 1755, che distrusse mezza città e fece morire una metà dei suoi abitanti, a differenza di Pombal, che si sforzava di fornire al popolo spiegazioni scientifiche, Malagrida si rivolgeva ad esso per rimproverarlo, per fargli sapere che si era trattato di una punizione divina per la sua cattiva condotta!
La "Societas Jesu", fondata nel 1540 dallo spagnolo Ignazio di Loyola, aveva ormai i giorni contati, e fu soppressa nel 1773 dal papa Clemente XIV, salvo essere ristabilita (era mutato il clima politico e religioso) da Pio VII una quarantina di anni dopo: è tuttora viva e vegeta (abbiamo adesso perfino il primo papa gesuita...) , ma non ha certo più quel vigore che ebbe un tempo, quella forza che le consentì (ed io che sono campano, e per giunta appartenente alla diocesi di Nola, non potrò mai perdonare quel misfatto) di condannare al rogo Giordano Bruno, per volontà proprio di un cardinale gesuita, Bellarmino.
Gli ipocriti, i "gesviti", sono sempre esistiti, al di là di ogni riconoscimento dato a quella Compagnia: ciò fa parte forse della natura umana, ma in alcuni individui quelle "doti" sono eccessivamente sviluppate (ad esempio una mia conoscente di vecchia data che, guarda caso, lavora come segretaria in un centro gestito da Gesuiti in una città dell’Italia insulare, nonostante le mie sollecitazioni, non mi ha fornito che vaghe informazioni - vere? - su una persona conosciuta da entrambi molto tempo fa, e che con lei aveva avuto rapporti molto più prolungati...)
L’ipocrisia a volte può rendersi necessaria, per difendersi da un presunto nemico, per salvaguardare i propri interessi, ma non dovrebbe mai essere usata per ingannare la gente onesta, dicendo la falsità al posto della verità, o talvolta semplicemente omettendo particolari importanti.
Nel "Dizionario della stupidità" del noto matematico Piergiorgio Odifreddi ho trovato una barzelletta sui Gesuiti (alias, sugli ipocriti) molto acuta ed istruttiva: "A Gerusalemme viene scoperta la mummia di Gesù, e il ritrovamento mette in crisi gli ordini religiosi. I francescani toccano con mano i segni della passione e ritengono di dover amare Cristo ancora di più. I domenicani si preoccupano dei sostanziali ritocchi che si rendono necessari alla teologia. Ma i gesuiti si guardano stupiti fra loro, perché scoprono che Gesù era veramente esistito. "