Avevo già compiuto quindici anni, ma i miei genitori mi tenevano segregata in casa, e se uscivo, era sempre accompagnata da mia madre, che non mi lasciava un momento!
Quando qualche amica mi invitava a una festa a casa sua, per un compleanno, o per qualsiasi altra ragione, mi accompagnavano fino davanti alla porta di casa sua, e dopo due, tre ore al massimo mi venivano a prendere!
Non servivano a niente le mie proteste, ne le proteste delle mie amiche, me ne dovevo andare e basta! Non avevo mai ballato con nessuno, e pensare che mi piaceva da morire. Ma per questo modo ridicolo che avevano di trattarmi i miei genitori, per un eccesso di protezione, per una paura morbosa che mi succedesse qualche cosa, o forse per qualche idea bizzarra che si erano messi in testa, io mi sentivo la persona più infelice su questa terra.
Il colmo dei colmi arrivò quando incominciai a studiare in un istituto non molto lontano da casa mia. Mia madre mi accompagnava e mi veniva a prendere come si fa con le bambine dell’ asilo. Io mi vergognavo moltissimo con i compagni di classe, e non sapevo cosa inventare per far credere a loro che c’ era un motivo serio, loro mi guardavano con un sorrisetto di commiserazione, e mi lasciavano sola, perche aspettassi la mia “ mammina” dicevano... Sarei sprofondata sotto terra! E non potevo nemmeno prendermela con mia madre perche sapevo benissimo che lei eseguiva gli ordini di mio padre, che era un fissato perso!
Io allora presi una decisione drastica, me ne sarei andata di casa, si, a casa di una zia che viveva a Milano. Le scrissi una lettera lunghissima, dove le spiegavo ogni particolare, e dove la imploravo di essere dalla mia parte e non dire nulla ai miei genitori. Lei mi rispose che non poteva accontentarmi, conosceva bene suo fratello, e sapeva che avrebbe mosso mari e monti per cercarmi, e lei, sarebbe finita nei guai. No, la cosa migliore era parlare con chiarezza, farli sedere a tutti e due e dir loro che dovevano darmi un po’ di libertà, che i miei compagni di studio mi prendevano in giro, e che se non avessero cambiato atteggiamento nei miei confronti, me ne sarei andata di casa. L’ anno prossimo sarei diventata maggiorenne e non avrebbero potuto fermarmi!
Io però avevo paura, non lo nego. Sapendo come reagiva mio padre davanti ai problemi che si presentavano in famiglia, mi andava via tutta la voglia di affrontarlo. Forse era meglio aspettare di diventare maggiorenne, questo mi avrebbe dato più coraggio...
Ma solo all’ idea di dover sopportare ancora un anno quella situazione, mi diede la forza che cercavo e una sera...
“Mamma, papà, vi devo parlare, seriamente. Per favore sedetevi tutti e due sul divano...” “ Cosa è successo?” domandò allarmata mia madre. “Niente di straordinario” risposi io, abbastanza preoccupata. “Volevo dirvi, cioè, volevo dire a te, papà, in modo particolare, che non voglio più che la mamma mi accompagni a tutte le parti dove devo andare, specialmente dove stò studiando! Mi sento ridicola, i miei amici mi prendono in giro, capite? Ma è possibile che io non possa fare un passo senza avere un carabiniere al mio fianco? Così poca fiducia avete in me? Oppure avete paura che mi rapiscano?”
Mio padre era diventato bianco come la parete, e si capiva che stava per scoppiare, stava per fare una delle sue scenate che non lasciavano via di scampo, oppure le stava venendo un infarto o qualcosa del genere....
Io volli aggiungere qualcosa, ma con mia enorme sorpresa, con una voce che non conoscevo, calmissimo, mi rispose:
“Va bene..., hai ragione, è che non me ne ero accorto che sei diventata una donna ormai, io ti vedo ancora come quando avevi sette anni e a volte ti accompagnavo io a scuola. Noi genitori vorremmo che i figli non crescessero mai, ed è completamente sbagliato comportarsi come ho fatto, “ abbiamo” fatto io e tua madre fino ad oggi. Potrai perdonarci?”
Non potevo credere alle mie orecchie. Non era mio padre quella persona che mi stava dicendo quelle cose, e con una emozione che non credevo mai di sentire, quasi mi buttai su di lui, abbracciandolo fortemente, e dicendogli: “Grazie papà”!