Come Ledi Sara dall’ugola d’oro, vessata anch’ella dallo malo Mago, fue alfin conquisa dal prode Tartarino
Vive nello gran borgo di Bononia, che a ragione potesi chiamar civitate, Ledi Sara dello Casale, ch’è donzelletta e nipote di Hercole degli Ani, in quanto generata dalla di lui sorella, Monna Dana, che doce li pargoli, uno poco storditi da sua interminata loquela.. Lo suo patre è messer Moro, laborioso artigiano dello travaso di liquidi e liquami.
Quando era fantolina in culla, li suoi solean dire:”Sarà bona! Sarà bella! Sarà ricca di cervella!”, per lo cui fu nomata Sara, ma dimenticaron l’accento.
Dicesi che lo suo ombelico fue locato sotto una pianta di rose, affinché l’ugola sua fosse canterina, e così avvenne oltre ogni speme.
Da pargoletta fue invero uno poco temibile et assai vitiata , ma conobbe poscia la dura scola spartana di Mariele dello Antoniano Coro, che la forgiò allo meglio: diritta, solida, ma semplice et umìle infra le tante glorie, che arrivarono a iosa. Bella, brava, bona e da tutti amata ella crebbe, e li parenti giubilavano.
Ma anche in questa historia, sia pure di loco lontano, riuscì a ficcar lo malefico suo dito lo perfido Mago del Monte, aduso a rovinar le cose belle, con dispettosa invidia e rara malizia.
Vide egli, con lo lungo suo occhio, la donzelletta in fiore, che, come d’uopo, solea poco curarsi dei felsinei giovanetti, tutta presa com’era da seriosi studi, et anco da canti e giuochi e care amicizie.
Allor scoccò lo dardo, come maligno Cupido, e colpì lo suo dulce core! Poscia, subitamente, le parò innanzi solo omeni foresti: scendean dalla Gallia e sonavan lo corno, o salian dallo Bruzio e facean vita romita fra montagne, ove desiavan menarla!
Disperavasi Moro dello Casale, che pure aperiva sua magione alli foresti; sorridea torto, ma anco fea lunghe spedizioni in lochi lontani, per non la disgustare, tanto l’amava! Ma infra sé lo povero sospirava:”Oh me tapino, mai uno homo più vicino, che abitasse in questa via, o allo più ‘n periferia…!” E incolpava anco la moglie:”La tua Cinna se ne fugge perché tu le dai le ugge!”
Non sapea lo tapinello che del Mago era un tranello.
Sapesi, però, che lo diavolo non fa li coperchi: lo malo Mago un giorno si distrasse e li foresti s’involarono. Pianse la bella Sarina e, come nella historia del galletto, per tre notti non dormì.
Poscia si destò dallo incanto, vide lo mondo con occhi novi e pure lo suo core s’aperì, alfine liberata. Caso volle che, nello fatidico istante, le passasse da presso, il prode Tartarino!
Bruno era e di gentile aspetto, con languide pupille, barba e baffi da sparviero, su di un candido, largo sorriso. Conquise Sara in un momento e pure lo patre fue contento:”Homo indigeno, stavolta! E’ finito lo tormento!”
Va pur detto, a onor del vero, che Monna Hanna, zia di Sara, ch’era in visita a Bononia et era poco edotta della novella istoria, quando il vide così nero, con lo viso tutto pelo, col sorriso da straniero e occhi pieni di mistero, disse: “Mala sorte, ci risiamo! Questo vien da più lontano! A dir poco è un siriano o, Dio scampi, un talebano!”
Ma per fortuna si sbagliava grandemente: stessi gusti, stesso core, stessa lena in lo studiare…tanto che, come in gara, laureossi ambo li due. Con lo massimo. Si chiede?! Questi sono come razzi e pur sembrano ragazzi! Andran certo assai lontano…solo in senso figurato, per Maurino lo speriamo!
E lo Mago? Rimasto scornato, dimenticossi della coppia, troppo felice per curarsi di lui!