Ecco che quando cercava una penna, un appunto, il mazzo delle chiavi, le sue tasche sembravano trasformarsi in fauci voraci, capaci di fagocitare qualsiasi cosa. Ilaria si conosceva ormai da circa tredici anni, anche dando per buona un’attività introspettiva avviata già nell’infanzia: no, non c’era nulla che potesse fermare quella tempesta che si agitava dentro e che teneva in moto, continuamente, quella sua testolina simpatica, sotto un casco di capelli color arancio che le avevano guadagnato un nomignolo tanto strano quanto antipatico: Sbuffo. Eh sì, Ilaria era proprio buffa con quei riccioli a cavatappi che sembravano usciti dalla falegnameria di mastro Geppetto, con quelle lentiggini sparse a manciata sul visetto, il sorriso guastato dall’apparecchio che avrebbe dovuto servire a raddrizzare i denti del suo sguardo triste, perso dietro i pensieri.
Se avesse dovuto realmente confessarlo a se stessa si sarebbe lamentata del suo aspetto così poco femminile, ma davanti a tutti Ilaria faceva la dura, non dava importanza al proprio aspetto, si fagocitava in cappotti e maglioni oversize per nascondersi alla gente, forse per celare quella macchia che le pesava sul cuore.
- L’avevo messo proprio qui, non può essere svanito nel nulla
Ma il foglietto sul quale aveva appuntato l’indirizzo sembrava proprio essersi volatilizzato.
- Come faccio adesso a ritrovarlo?
Ilaria aveva avuto quel biglietto da uno sconosciuto, su via Roma, ma quell’uomo dalla faccia impenetrabile l’aveva subito interessata.
- Si presenti lunedì mattina a questo indirizzo
Le aveva detto con voce dura, quasi centellinando le sillabe, mentre l’aria frizzante riempiva la mattina di sole, a San Massimo.
Dal monumento ai caduti l’orizzonte si fermava d’improvviso, quasi imprigionato dalle montagne del Matese, interrotte dalla provinciale che conduce alla stazione sciistica di Campitello. I sanmassimesi sono avvezzi alla gente strana che compare in paese, di tanto in tanto. Con i suoi 700 abitanti o poco più, il piccolo comune molisano respira l’atmosfera dei centri maggiori grazie alla corrente turistica che fa riferimento a Campitello. Sul pianoro, tra le cime più alte della regione, arrivano pullman dalla Puglia, dal Lazio, dalla Campania, e i turisti scendono a valle per comprare i prodotti locali, gli oggetti d’artigianato, le mozzarelle di Bojano.
Quell’uomo con gli occhiali da sole e il soprabito scuro, però, non passava di certo inosservato. Forse per via di quell’aria misteriosa che lo faceva assomigliare a un agente segreto.
- Almeno così son conciati gli agenti segreti dei film in TV
Aveva pensato Ilaria, da sempre innamorata delle storie poliziesche.
- Chissà cosa vorrà da me
Si era detta, e in fondo in fondo pensava di aver fatto colpo su quel volto metallico. Certo con quei riccioli a cavatappi non poteva sperare di far girare i ragazzi per strada, ma sapeva il fatto suo e possedeva un’intelligenza vivace e un sesto senso assai sviluppato. In più sognava, continuamente, e questo fatto le dava un’aria da folletto sperduto.
A San Massimo, il comune alle pendici del monte Miletto, a due passi da Bojano, Ilaria ci era capitata per caso: per caso sua madre si era trovata sul pianoro a festeggiare l’anniversario di nozze, e il caso aveva voluto che la piccola nascesse con diverse settimane di anticipo.
- Quante coincidenze
Pensò la ragazza, dimenticando per un attimo quel volto metallico. La domenica volgeva alla fine, col tramonto rosso che le accendeva i capelli e il profumo dei ciclamini nel sottobosco. Arrivò il lunedì, mentre l’alba tardava a destare le volpi, le donnole, i fiori e gli insetti che pullulano in quel Molise verde sopravvissuto all’industrializzazione. Non appena i raggi del sole illuminarono la sua stanza, Ilaria si stropicciò gli occhi pigramente, poi strabuzzò le orbite di ghiaccio vedendo apparire l’ immagine della carta bianca che rifletteva la luce naturale, dal fondo del comodino. Il biglietto era disteso mollemente sul legno, senza una sgualcitura, dal fondo del comodino, come se fosse stato staccato in quel mentre da un taccuino fantasma.
“ Ciao capelli a cavatappi. O meglio… Sbuffo, giusto? Bene svegliata!”
Vicino al biglietto, una scatolina in velluto azzurro, piena di trucioli di legno a forma di cavatappi. Chi osava deriderla così sfacciatamente? Chiunque fosse, se la sarebbe vista con i suoi pugni, che pure magrolina sapeva darle di santa ragione, come quando aveva picchiato una compagna di classe che aveva accennato al fatto che suo padre fosse dietro le sbarre di una prigione. Già, sotto quei capelli a cavatappi poteva nascondere le emozioni che si agitavano dentro, gli occhi grigi come il cielo autunnale e qualche lacrima che arrivava col vespro a rapirla ai suoi sogni. La mamma le aveva sempre detto che il suo papà era innocente, che era stato accusato di omicidio perché era stato ritrovato accanto al cadavere di una facoltosa contessa presso la quale prestava servizio. Sì, sempre il caso: un destino crudele che aveva fatto trovare suo padre nel posto sbagliato al momento sbagliato. Sembrava la trama di un film. E invece era la realtà terribile della sua esistenza. Intanto lei pagava per quel destino avverso, additata dalla gente come la figlia dell’assassino. Di quell’uomo, che aveva visto una sola volta dietro le sbarre, ricordava il volto buono, lo sguardo triste. Poi non aveva più voluto andare a trovarlo, non ascoltava quando la sua mamma leggeva le sue lettere. Se lei era così infelice, era tutta colpa sua: non si mette al mondo una figlia se si ha intenzione di uccidere qualcuno, col rischio di finire in prigione! Come avrebbe mai potuto perdonargli di averla resa la ragazzina più infelice della terra? Accartocciò il biglietto e, con un moto d’ira, lo lanciò lontano.
- Mamma, chi ha portato quel messaggio?
Domandò, ma non ricevette alcuna risposta.
- Mamma, mamma
La casa sembrava deserta, come abbandonata in tutta fretta da qualcuno che non può attendere. Ilaria infilò le ciabatte arancione a forma di gatto e scese precipitosamente le scale, con un presentimento che non le dava pace.
- Hanno rapito la mamma - si diceva- qualcuno dei vicini che vuole fargliela pagare per via della contessa assassinata.
Ma in cucina, accanto ad un toast al formaggio appena sfornato, c’era un altro biglietto.
“ Signorina So tutto- io, lo spirito dei ricordi infranti aleggia intorno a lei e non le darà pace”.
Eh no, lo scherzo è bello quando dura poco, e questa storia dei messaggi stava durando pure troppo. Il suo sguardo fu attratto da un filo dorato, teso sul pavimento, che sembrava portare in cantina. Spaventata, ma decisa a ritrovare la mamma, Ilaria seguì la straccia dorata, scese le scale col cuore che le batteva forte nel petto. Sulla parete di fronte c’era una grande cornice rossa con una scritta. “ Alla mia principessa, perché il Tempo non le rubi mai i suoi sogni.”
C’era una sola persona che la chiamava principessa. No, non poteva essere lui, doveva scontare altri dieci anni, era forse fuggito dal carcere? E la mamma, perché non aveva chiamato la Polizia? L’avrebbe fatto lei...
D’improvviso il cuore smise di pulsare nel suo giovane petto: dietro un peluche enorme spuntava un volto che odiava e che aveva tanto amato, un volto che aveva imparato a conoscere da bambina, e che, nonostante tutti gli sforzi, non era riuscita mai a dimenticare. Sentì il desiderio di corrergli incontro, di avvinghiarsi al collo di lui, ma si trattenne, ripensando alle umiliazioni subite per colpa sua. Suo padre ricacciò dentro un urlo di dolore, le andò incontro e l’abbracciò teneramente, senza dire una parola, mentre Ilaria si scioglieva in lacrime, sconvolta dai sussulti. Lì vicino c’era la mamma, che invece piangeva di gioia nel vedere il suo cucciolo ferito dalla Vita. In silenzio salirono tutti e tre la ripida scalinata della cantina, mentre Ilaria immaginava di doversi staccare nuovamente da suo padre. I poliziotti sarebbero venuti a prenderlo di lì a poco, e lei non voleva farsi vedere piangere. La TV accesa mandava in onda le immagini di quel delitto avvenuto dieci anni prima. La notizia dell’evasione aveva messo in ebollizione il mondo dell’informazione, si vedeva quando suo padre veniva arrestato: no, ancora quell’incubo che la tormentava, e quella fuga che rendeva le cose molto più difficili. Un momento... ma che stavano dicendo? Cosa?
- E’ proprio così, Ilaria, è proprio così!
La voce della mamma, consumata dal pianto, la riportò alla realtà. Il vero autore dell’assassinio aveva confessato tutto. Era stato il fratellastro della contessa a ucciderla per ottenere l’immenso patrimonio dei Pandone; le aveva piantato un coltello nel cuore, e solo dieci anni dopo, in punto di morte, il rimorso aveva avuto il sopravvento: il colpevole aveva deciso di costituirsi.
- Ma allora sei libero, non dovrai più nasconderti
L’urlo sovrumano di Ilaria che stringeva il papà.
- Non dovrai più vergognarti di tuo padre!
La risposta in un sibilo, di un uomo che aveva sopportato tutto, la condanna, la galera, le umiliazioni, per il bene della sua piccola.
- Ho pregato tutti i giorni il Signore - la voce rotta dal pianto - affinché mi desse la gioia di poter guardare ancora una volta, negli occhi, mia figlia. Piallavo e incidevo il legno, nella falegnameria del carcere, ma i trucioli più belli li conservavo in una scatolina di velluto, per accarezzarli di notte pensando alla mia bambina, con quelle lentiggini e quei suoi capelli a cavatappi!
E Ilaria non si era mai sentita così bella. Per un attimo chiuse gli occhi e si vide in una zucca magica trainata da topolini bianchi, l’abito intessuto di perle, illuminato da una cascata di capelli arancioni.
- La realtà - pensò - qualche volta, può essere addirittura più bella di una favola.