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♦ Rita Angelini |
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Entrati al pronto soccorso, due agenti della polizia mi braccarono facendomi il terzo grado, pelo e contropelo. Raccontai la storia un paio di volte. Venne poi un " non so chi " alto quanto un francobollo sdraiato con fare garoso, mi si parò davanti e mi fece una bella ramanzina. Ricordo che gli scoppiai a ridere in faccia esortandolo e spingendolo a levarsi davanti, gli puzzava l’ alito. Mi stava facendo salire la carogna. Mi fossi fatto gli affari miei, potevo essere a Montenero, con in mano una coca ed una schiacciatina senza tutto sto canaio assurdo. Avevo salvato una ragazza e questo era il premio? Chiesi delle sue condizioni, al medico di turno, mi venne risposto che non essendo un familiare la privacy non poteva essere infranta, lo guardai male, pensando ad aggettivi da dirgli. Fossi stato in condizioni migliori avrei dato lustro al repertorio di imprecazioni miste bestemmie creative apprese durante la mia vita. Ero stanco, dolorante, sbriciolato, sfavato, mani doloranti e sporche. Abiti da buttare nella lavatrice, mani tagliate, mi obbligarono a restare ed aspettare un’ infermiera. "Che due palle " sbuffai. Presi l’ ipod e sbattendomene altamente le gonadi, mi sdraiai sul lettino della saletta. Il ginocchio mi martellava come un maniscalco sotto pcp, avevo pure fame, cosa muy perniciosa. Dopo una ventina di minuti, parolaccia in più, parolaccia in meno, passati a contare i pezzi di vetro, macchie di sangue e aloni di muffa entrò l’ infermiera... un gran bel pezzo di infermiera. Mi aspettava un’ altra paternale? Indossò camice, guanti e si avvicinò il carrellino con garze, acqua ossigenata ed altre simpatiche amenità. " Mi mostri le mani. Antitetanica? E’ coperto? Altre escoriazioni? Altri dolori o ferite? Precisa, puntale e competente, ma fredda come gelata gennarina. "Ecco fatto, può tornare a casa". Poco prima di uscire dalla stanza, si fermò un attimo sulla soglia :" Ha fatto un gesto da eroe, complimenti ". Non mi sentivo un eroe e mi dava anche fastidio. Passino i rimbrotti e le domande della Pula, ma la fama non mi serviva, proprio no. Imboccai il corridoio per uscire, c’ erano ubriachi e la peggior teppaglia mai vista. Sgusciai sapientemente, evitando pure le occhiate poco simpatiche dei tossici.
Guadagnai l’ uscita, pioveva a zefunno. Dovevo chiamare un taxi e riprendere lo scooter. Mi toccarono la spalla: " Scusi, è lei Matteo Matteucci ?". Mi voltai, ma attesi un attimo prima di rispondere. Una coppia di persone anziane. Trafelate, i volti sconvolti. "Siamo i genitori di Maddalena... Ci hanno raccontato quanto è successo e cosa ha fatto... volevamo solo dirle grazie... ecco... grazie... Ha salvato la nostra bambina... grazie ". Piansero, mi abbracciarono. Non dissi nulla, non c’ era nulla da dire, annuiì solamente. Ero soddisfatto, ma triste, non ne capivo il motivo. Mi congedai, lasciai il numero di cellulare per qualuque cosa avessero voluto sapere. Volevo andare a casa. Ero affamato e dolorante, ma volevo riprendere lo scooter. Entrai nel taxi con un disagio difficile da spiegare. |
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