Dovevo sedermi o sarei finita con il culo per terra e considerando la mia mobilità ci avrei messo radici.
Non mi sentivo le gambe ed il dolore era come scomparso, che fosse in parte psicologico? Mi sentivo stordita, poco lucida.
"Ho sete, acqua! per favore". Mi porse qualcosa, credo un succo di frutta.
Pochi sorsi e dopo qualche istante lo zucchero si fece sentire.
Mi appisolai, ero in camera mia.
Un sogno? Un deja- vu molto vivido? Ero confusa.
La persiana socchiusa, la tenda si gonfiava di vento leggero e delicato, penombra e silenzio.
La gamba rialzata su dei cuscini, la borsa svuotata, la pila di panni sporchi nella cesta.
Avevo fatto io tutto questo? Mia sorella sarà tornata, avrà appreso della mia uscita dall’ ospedale?
Nel cellulare non c’ erano messaggi o chiamate senza risposta. No, non era lei, anche perchè dubito fosse diventata altruista.
La felpa blu usata come coperta, era veramente enorme.
Arrancando come un diesel la mattina presto, rotolando prima a sinistra e poi a destra, riuscii a mettermi seduta.
"Permessico, disturbo? Ti ho sentita muovere, ho preparato qualcosa da pappare, se hai fame".
“ Permessico, ma che cacchio!? “ Che strano modo di fare, dire e parlare.
Aveva preparato dei piccoli triangoli di pane, prosciutto, pomodori e maionese, un po’ di macedonia ed una spremuta.
Mi tremavano le mani, se ne accorse, credo, poichè tenne lui il vassoio e lo adagiò sul letto.
" Buon appetito, mangia quello che vuoi. La felpa tienila pure, vedo che ti piace" sorrise con benevolenza.
Lo guardai ma non mi riusciva dire nulla.
Chinai la testa e piansi: di dolore, di paura, di rabbia, di tutto quello che avevo sul cuore e che faticava a venir fuori. Fra un singhiozzo ed un sospiro gli dissi " Ti va di mangiare con me? Non vorrei restare sola, anche questa volta".
A quel punto la maschera era caduta, mi ero stancata di fare la donna forte, millantare sicurezza, quando dentro stavo crollando a pezzi. Sola in ospedale. Sola in sala operatoria, spaventata e alla deriva. Cercando una ragione, persa nei vetri in frantumi della macchina, nell’ ambulanza fra sirene e freddo. Nei fogli pre- operatori, imbottita di farmaci.
Sola.
Arresa.
Triste.
Detti un morso al piccolo tramezzino, con un pallido accenno di sorriso.
Prese la manica della sua felpa e mi asciugò le lacrime.
Fine parte III