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La censura di stato

Sociale e Cronaca

Oggi, alle soglie del terzo millennio, è caduto un tabù nel mondo della celluloide: è stata levata la censura al film Arancia meccanica (1971) di Stanley Krubrick, perciò potrà essere trasmesso alla televisione, anche se formalmente vietato ai minori di sedici anni. Il tanto agognato e contestato lungometraggio è stato considerato per anni una specie di pamphlet antiutopico sul nostro futuro prossimo, dove dominano violenza e frustrazione sessuale frutti del disorientamento e dell’impossibilità di realizzare i propri desideri.

Nel corso degli ultimi decenni, altri film hanno affrontato il tema della violenza gratuita e della trasgressione sessuale: Soldato blu (Soldier Blue, Ralph Nelson, 1970), Cane di paglia (Straw Dog, Sam Peckinpah, 1971), Un tranquillo week-end di paura (Deliverance, John Boorman, 1972), Il portiere di notte (Liliana Cavani, 1974), per citare soltanto quelli più noti. Lo stupro, visto come “ultima negazione del diritto delle donne a dire «no»”, è stato spesso sfruttato nella storia del cinema per «esaltare» il desiderio (inconscio) dello spettatore di sottomettere il/la partner in un gioco perverso e ripugnante, dove la finzione attorica non è più filtrata dall’immaginazione.

Le locandine di Easy Rider – Libertà e paura (Easy Reader, Dennis Hopper, 1969) snaturano la sostanza stessa del film, in quanto riproducono “la scena dell’acido”, girata in 16 mm, in un contesto volutamente ambiguo, che può indurre il potenziale spettatore a pensare che si tratti di una pellicola erotica e non di uno dei film d’autore più interessanti del cinema indipendente americano.

Basta sfogliare qualsiasi rivista, che riporti i programmi televisivi, per rendersi conto che centinaia di film dozzinali e violenti vengono trasmessi alla TV, in prima serata, senza che nessuno si preoccupi minimamente di rispettare i desideri degli spettatori, costretti sempre più a adeguarsi alle “esigenze” del mercato cinematografico internazionale.

Bisognerebbe essere dei nottambuli incalliti o degli irriducibili “cinéphiles” per poter gustare i pochi film-cult che vengono somministrati dalla tivù, durante la notte (con trasmissioni come Fuori orario, Cose (mai viste) su RAI Tre) o in concomitanza di partite di calcio, campionati del mondo di sci o festival canori.

Non sono gli atteggiamenti epidietici, assunti (volutamente) dai protagonisti dei (tele)film, che fanno paura ai produttori, ma il concetto di libertà che si manifesta attraverso il cinema…

Ultimo tango a Parigi (Bernardo Bertolucci, 1972), Salò o le 120 giornate di Sodoma (Pier Paolo Pasolini, 1975), Ecco l’impero dei sensi (Ai no Korida, Nagisa Oshima, 1976)… e quasi tutti quei film che non hanno ancora la possibilità (peraltro legittima) di passare alla TV, perché considerati «blasfemi», sono sostanzialmente dei film «pornosoft» d’autore, dove l’oggettivazione sessuale deve essere letta in chiave psicanalitica. L’aspetto erotico, così temuto dai benpensanti, sottolinea l’incapacità dell’uomo a comunicare con i suoi simili, perciò l’intellettuale è costretto a fare ricorso alla sessualità per denunciare il male «generazionale» che attanaglia i componenti più deboli della società coeva.

La censura – scrive Vergne – dopo aver abbandonato la veste troppo conosciuta delle cesoie vendicatrici pronte a dilaniare la celluloide, è oggi forse più temibile. È stata, infatti, a poco a poco interiorizzata dagli autori di film erotici che hanno compreso in che modo la cultura contemporanea, invece di essersi liberata delle proibizioni, si sia semplicemente accontentarla di trasferirle.

Il sospetto è che l’assimilazione culturale sia così radicata nella «forma mentis» dei cineasti da fare apparire superflua e tardiva l’abolizione, almeno formale, della censura.

Totò che visse due volte (Daniele Ciprì e Francesco Maresco, 1998) ha costretto il Governo italiano ad abolire la censura cinematografica, dopo che la VII Commissione aveva espresso parere negativo sul film, negandogli il nulla osta, ai sensi dell’articolo 161, perché considerato «blasfemo» e «sacrilego».

Il film italiano, pressoché sconosciuto al grande pubblico, verrà proiettato nelle sale cinematografiche della Penisola, grazie al merito attribuitogli dalla critica, o sarà trasmesso alla televisione, in prima serata, perché è stato l’ultimo dei film sottoposti alla censura di stato?



Sergio Melchiorre 20/01/2011 22:44 1 1199

Creative Commons LicenseQuesto racconto è pubblicata sotto una Licenza Creative Commons: è possibile riprodurla, distribuirla, rappresentarla o recitarla in pubblico, a condizione che non venga modificata od in alcun modo alterata, che venga sempre data l'attribuzione all'autore/autrice, e che non vi sia alcuno scopo commerciale.
I fatti ed i personaggi narrati in questa opera sono frutto di fantasia e non hanno alcuna relazione con persone o fatti reali.


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Nota dell'autore:
«Solo una parola censurata è pericolosa.
(Ludwig Börne)
»

Commenti sul racconto Commenti sul racconto:

«Era ora! Come si fa a considerare ancora oggi alcuni film cult del passato, come Arancia Meccanica, violenti e diseducativi, quando, come dice l'autore, oggi la televisione ci propina di tutto e di più in prima serata? Basta accendere su un qualche reality, tra l'altro seguito soprattutto da giovani e giovanissimi, per trovarsi di fronte a turpiloquio, scene di sesso disinibito in diretta, bestemmie e quant'altro. (per non parlare di quello che sta succedendo nella vita reale e che viene trasmessa con dovizia di particolari a qualunque ora) E diciamo ancora che certi film non possono passare per la tv? Bravo Sergio, sempre interessanti le tue recensioni!»
Rossella Gallucci

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