“ Avventura in banca” ovvero “ l’ esercizio della pazienza”
“ Adesso me ne vado. Eh, sì, cari signori, mi dispiace per voi, ma ora esco e sto fuori una ventina di minuti, anche mezz’ ora.”
Il cassiere, moretto moretto, capelli ricciuti, pendente all’ orecchio ben visibile, ed uno invisibile al naso, che sembra un piratino della Malesia, ha un tono perentorio, e noi clienti stiamo tutti ammutoliti, lì davanti, mentre espleta le ultime operazioni di cassa. Ci siamo un bel gruppetto davanti allo sportello, ma, a quelle parole alcuni se ne vanno; rimango solo io che ancora non credo a quello che ho udito. E allora il piratino mi ripete:
“ Mi spiace, signora, ma deve aspettare. Io ora esco.”
“ Ma non si può fare così!”
“ Ah, no? Io lo faccio. Oh sì che lo faccio. Io esco e lo faccio. Io lo faccio… lo faccio…”
E si allontana. E la porta si richiude alle sue spalle lasciandomi solo l’ eco di un ritornello:
“ Io lo faccio… lo faccio… lo faccio…”
La banca è semivuota: una filiale di una piccola cittadina con un numero ridotto di impiegati, oggi ancora più ridotto a causa dell’ influenza.
Una serie di sportelli non- operativi davanti a me.
Dentro mi monta una rabbia indicibile, un po’ come quando, per non so quale accidente, monta l’ olio della frittura fino a fuoriuscire dalla padella, ché nessuno lo può fermare. Ho voglia di gridare tutte le mie ragioni, che sono tante; ho voglia di urlare il mio diritto leso. Penso di minacciare, sbraitare e poi prelevare tutti i miei risparmi, lasciando la banca sul lastrico.
Mi soccorre Teresa di Lisieux che ho letto proprio in questi giorni. Il suo volto sereno, l’ esercizio della virtù della pazienza che le consentiva di gioire di ogni sorta di dispetto e di avversità della vita, mi consigliano di restare in silenzio, tuttavia non possono impedire ai miei pensieri di fluire abbondantemente e di essere anche abbastanza roventi.
“ Ma guarda questi giovani egoisti – penso, e confesso che questo era il pensiero meno cattivo,- tutti incentrati sul proprio ego. Io non mi sarei mai permessa di abbandonare il posto di lavoro con dei clienti di fronte, per giunta. Non è ammissibile un simile comportamento. No, neanche in caso di febbre; il dovere sempre…”.
Teresa di Lisieux mi guarda con occhio perplesso; ma no, non è Teresa, è l’ unica impiegata rimasta nell’ angolino più appartato, che in quel momento ha sollevato la testa dalle sue carte.
Mi avvicino.
“ Sportello non operativo”.
Ma, chissà, forse farà uno strappo alla regola.
“ Scusi, sa, io dovrei prelevare dei soldi”.
“ Mi dispiace, signora, ma non ho cassa. Sì, vedo, il cassiere è uscito. Purtroppo c’è data lei, deve avere pazienza”.
“ Per fortuna, ho letto Teresa.”
“ Come, scusi?”
“ No, niente, seguivo un pensiero. Il fatto è che è tardi, i negozi stanno per chiudere, non faccio in tempo a ritirare i pacchi”.
“ Se si tratta di cento euro, potrei prestarglieli io” mi fa l’ impiegata impietosita.
No, cento euro non mi bastano proprio.
In quel mentre esce il direttore dal suo ufficio e si avvia anche lui verso la porta.
“ Direttore, la prego, devo prelevare del denaro”. Il direttore si guarda intorno smarrito, molto in imbarazzo per l’ assenza di impiegati.
“ Siamo in un momento di crisi, l’ influenza ci ha decimati, se potessi… ma non ho cassa.”
“ Ma come? Lei è direttore, può tutto!”
“ Magari, signora. Di quanto ha bisogno? Se si trattasse di duecento euro potrei dargliene di tasca mia”.
No, neanche duecento mi bastano. Mentre rifletto se mi conviene o no accettare ed andarmene, i due parlottano sul modo di potermi fare quel prestito e capisco che la cosa è troppo complicata. Alla fine il direttore mi chiede:
“ Come mai non usa il bancomat, signora?”
In quel momento mi crolla il mondo addosso e mi sento piccina piccina, cavernicola, dell’ età della pietra. Già, perché non uso il bancomat? Oddio, io i miei motivi ce l’ ho, ma nel mondo supertecnologico di oggi è difficile spiegarli e, soprattutto, è difficile renderli accettabili.
“ Sono allergica al bancomat.”
“ Ah, è allergica!” E vedo il volto del direttore assumere quell’ aspetto incerto tra il bonario e il commiseratore.
“ Sì, vede, direttore, finché esisteranno uno sportello ed un impiegato io verrò qui a prelevare.”
“ Ma sì, per carità, io rispetto le sue idee, le sue scelte. Ci sono tante persone che la pensano come lei e io non le giudico. Però, a volte, come in questo caso, potrebbe essere comodo il bancomat.”
Il direttore mi saluta dicendomi di stare tranquilla che il cassiere tornerà subito, non può tardare… proprio non può… non può… non può…
E un’ altra eco dietro la porta di nuovo chiusa, rimane a ronzare nel silenzio.
Entra un altro impiegato.
Non mi sembra più di essere in una banca, ma piuttosto su un palcoscenico dove ogni tanto compare qualche attore a recitare la sua parte. E’ un impiegato di grande esperienza dati i suoi capelli bianchi . Penso che forse lui può trovare la soluzione per farmi accedere al denaro.
“ Glieli do io. Bastano 200 euro?”
Solita musica. No, non bastano.
Ma ecco che rientra il cassiere.
Mi avvicino allo sportello speranzosa, ma il piratissimo mi dice che devo attendere ancora, e scompare dietro muri inespugnabili.
Questa volta è l’ immagine di Teresa di Lisieux, quando, al lavatoio, riceveva sul viso l’ acqua sporca dei fazzoletti della suora che le stava di fronte, ad accorrere in mio aiuto. Ogni volta che la suora sbatteva i fazzoletti sulla pietra era una spruzzata sul suo volto.
E lei tramutò la rabbia in felicità.
Non so se il mio viso fosse diventato abbastanza serafico, ma finalmente il cassiere, ritornando, mi fa cenno di avvicinarglisi.
Si scusa dicendomi che si sente molto male, che ha la febbre e che è dovuto uscire per un calo di zuccheri spaventoso, e che dalle 9 non aveva avuto un attimo di riposo, e che non ce la faceva più, e si passa la mano sulla fronte, e gli occhi, neri neri, sono lucidissimi.
Caro il mio piratino! Lo abbraccerei.
Mi sento tutta intenerita e in colpa, per non aver compreso la sua situazione e mi scuso.
“ No, no, signora, lei ha ragione. Sono io in colpa, ma stavo per crollare”.
Ringrazio Teresa di Lisieux che mi ha tenuto la lingua a freno. Se avessi dato libero sfogo ai miei impulsi, avrei scatenato il putiferio. Avrei gridato e poi me ne sarei andata sbattendo la porta, lasciando dietro di me l’ eco della mia rabbia, e sarei ritornata il giorno dopo a prelevare i risparmi.
E avrei scatenato una tempesta sul capo del piratino.
Mi sarei fermata sull’ impiegato senza vedere l’ uomo. Invece ho esercitato la pazienza ed ho potuto scoprire un’ altra realtà. C’è sempre un’ altra realtà dietro le apparenze.
Il piratino me lo ha insegnato.