Quel cofanetto nella stanza della nonna, un poco impolverato, con quella patina di grigio che si forma sull’ argento quando non viene pulito da un po’… Era sempre là, al solito posto sul comò della camera da letto dei suoi nonni, in quella vecchia casa di campagna che si apriva ormai solo per rinfrescare gli ambienti, di tanto in tanto e grazie alla buona volontà di Tobia e Marta, i vicini che un tempo erano anche i coloni della vasta proprietà terriera del nonno.
Quante volte era entrata di soppiatto in quella stanza, quante volte i suoi occhi di bambina si erano posati, curiosi e maliziosi su quel comò! “ Meglio non aprirlo, per rispetto verso la nonna!” le diceva sua madre. E lei buona e ossequiosa, ubbidiva. E la curiosità che cresceva ogni giorno, ogni mese, ogni anno di più, con una domanda mai formulata sul perché di tanta riservatezza. Cosa poteva mai custodire quel piccolo oggetto divenuto per lei lo scrigno dei desideri proibiti?
Da tanto tempo non tornava nella vecchia villa paterna, ancora così bella nella sua antichità trasandata. Anni ormai. Da quando la vita aveva preso quella strana piega di saggia quotidianità, così rassicurante e tuttavia noiosa come solo sanno esserlo le cose assestate, ma stagnanti, anche quelle belle.
Aprì il grande portone in noce, con il batocchio in bronzo a forma di pugno chiuso, ed entrò nell’ atrio in penombra. Un odore di chiuso le colpì le narici mescolandosi subito ad altri odori, che sembravano dimenticati e invece erano rimasti tutti là, come in attesa di qualcuno che li riconoscesse.
Le pareva di sentire persino le voci: quella di Giuseppina, che sfaccendava per casa e chiedeva a sua nonna cos’ altro dovesse fare dopo aver finito di sgranare i fagioli freschi; quelle di sua nonna e di suo nonno, che organizzavano la giornata, dividendosi gli impegni; la sua stessa voce di bambina, che chiamava per nome la vecchia tartaruga sempre nascosta da qualche parte e che le faceva un po’ paura, ma non osava confessarlo
Salì la lunga rampa di scale in pietra serena che portavano al piano superiore e si diresse senza esitazioni alla camera da letto.
Tutto era come sempre, in ordine, in penombra, gli scuri verdi in legno chiusi, ma con le lamelle aperte quel tanto da far penetrare con discrezione un po’ di luce.
Gli occhi andarono avidi sul comò, alla ricerca del cofanetto. L’ avrebbe finalmente aperto, dopo tanti anni, l’ avrebbe tenuto in mano mentre la piccola ballerina ruotava elegante al suono del carillon. Lo prese e quasi religiosamente aprì il coperchio ovale intarsiato.
La melodia ben nota invase la stanza, particolarmente nitida in quel silenzio assoluto, mescolandosi ai battiti accelerati del suo cuore gonfio di emozione.
Le tremavano le mani, notò sorridendo, come se le dita stessero stringendo una reliquia. E prima che potesse accorgersene, la loro stretta si allentò.
Lo vide mentre cadeva quasi al rallenty sul pavimento di marmo, aprendosi sul fondo, come se un altro coperchio, mai prima scoperto, avesse deciso finalmente di schiudersi.
Si chinò a raccogliere il piccolo oggetto prezioso, assicurandosi che il carillon ancora funzionasse. Fortunatamente la piccola ballerina continuava a volteggiare serena nella sua eterna danza.
Solo allora vide ai suoi piedi qualcosa di nuovo e straordinario, uscito dal fondo del cofanetto: un piccolissimo libro, minuscolo, di quelli che stanno comodi nel palmo di una mano.
Lo prese incuriosita e ne lesse il titolo: “ Frammenti di ricordi”. Aprì alla prima pagina:
“… E quando pare / che nulla più si possa scrivere / un nuovo capitolo / come lampo improvviso / si apre.” Silvia P.
- Nonna!?- esclamò ad alta voce – Ma cos’è questo, nonna!? -
Richiuse il piccolo libro e se lo strinse forte al petto. Poi cominciò a piangere e a ridere nello stesso tempo, senza sapere se quello che stava provando fosse gioia o tristezza; sapeva soltanto che era un sentimento pieno e forte, un sapore di cose ritrovate, come il suo abbraccio quando correva da lei per farsi consolare, come la fragranza dei dolci che preparava e il suono della sua voce e la tenerezza che leggeva nei suoi occhi quando la guardava.
- Vieni ad aiutarmi anche adesso che non ci sei, eh nonna!? – pensò, asciugandosi le lacrime. – Vediamo cosa ti sei inventata questa volta per sciogliere il nodo. – Si sedette sul grande letto con la bellissima coperta di filet ricamato a mano e cominciò a leggere.
***
Si accorse che nella stanza era calato quasi il buio solo quando chiuse il libro sull’ ultima pagina. L’ aveva letto tutto d’ un fiato, ma poi era tornata su molti punti del racconto, per assorbirne il senso più riposto e capire fino in fondo il significato che sua nonna aveva voluto dare ad ogni parola. La conosceva bene, quella sua nonna complicata quanto lei, e sapeva perfettamente che nulla era stato scritto per riempire la pagina bianca. Ricordava certe conversazioni fitte fitte, che le avevano impegnate talvolta per ore sul significato di certe parole, che molti – diceva lei - si ostinano ad usare pur non conoscendone la valenza. Una di queste era appunto la parola amore, sacra, secondo quella anziana bambina, che ancora poteva esaltarsi nel pronunziarla a ottant’ anni suonati.
Quanto le aveva insegnato con quel suo entusiasmo, che rinasceva ogni volta intatto da qualunque sconfitta, come l’ araba fenice del mito!
Il consuntivo provvisorio della sua vita, di cui il libro era la prova, dimostrava proprio questo. Ma non si poteva ignorare la faticosa via che l’ aveva portata a quella meta. E per questo Silvia era tornata più volte su alcuni punti del racconto, cercando di percepire tra le righe soprattutto le emozioni che la nonna doveva aver provato quando aveva all’ incirca la sua età, per confrontarsi con lei, in un muto dialogo, e raccoglierne infine il messaggio.
“Il breve spicchio di luce / che ci fu dato vivere / rese grigio ogni giorno / quando si sciolse quel sogno di cera ./ Più non ricordo quanto durò / il muto sgomento / e l’ affannoso inutile aggirarsi / nel cieco labirinto del rimpianto. / Il varco c’è da qualche parte / ma Dedalo non svela il suo segreto / né Arianna tende un filo per salvarci.”
Uscì dalla stanza con la sensazione di essere diversa, più forte e decisa, finalmente se stessa. Prima di chiudersi alle spalle il grande portone in noce dalla villa, con il prezioso cofanetto nella borsa e la pace nel cuore, bisbigliò un “ grazie nonna” che sapeva sarebbe stato udito e le sorrise. Le parve persino di vederla, mentre la salutava con la sua indimenticabile dolcezza.
Si avviò lungo il viale con passo leggero e veloce, salì in macchina e partì.
Ormai non aveva più dubbi su quale strada avrebbe scelto.