Correva l'anno 1977 ed il protagonista della nostra storia era un giovane nato e cresciuto in un paese della Puglia a poca distanza dal capoluogo. Era un giovane di belle fattezze, pieno di sogni e tante speranze. Quell'anno, non appena diplomato, si era iscritto all'Università e seguiva diligentemente e con molto impegno tutte le lezioni che poteva, facendo il pendolare ogni giorno dal suo paese, dove viveva con i suoi genitori e la sua famiglia, a Bari, sede dell'Università. Quando si avvicinò la prima sessione di esami, in estate, egli si sprofondò nello studio della Fisica, per dare il suo primo esame e per la verità, quell'esame lo studiò a fondo, non tralasciando proprio nulla, ciononostante più si avvicinava il giorno dell'esame, più cresceva la sua inquietudine e il suo nervosismo, a tal punto che il giorno prima dell'Appello era agitatissimo - non aveva dormito quasi per l'intera notte - e la mattina presto, appena sveglio, senza neanche fare colazione (aveva i conati di vomito) comunicò ai suoi genitori che l'indomani non sarebbe andato a dare l'esame perché si sentiva impreparato, al che figurarsi..! Grande fu la delusione dei suoi genitori, soprattutto di suo padre che sapeva molto bene quanto il ragazzo avesse studiato, diverse volte infatti lo aveva sorpreso di notte in bagno, seduto sul water con la tavoletta abbassata e con il libro sulle ginocchia che studiava, approfittando del silenzio assoluto della notte, ma anche e soprattutto perché la sua casa era molto piccola, essendo costituita da due stanze ed un piccolo cucinino; non c'era una stanza tranquilla dove poter studiare, né tantomeno aveva una sua camera, così si era abituato giocoforza a studiare nell'unica stanza dove si svolgevano tutte le attività di quella povera famiglia, qui era sistemato il tavolo dove la famiglia si riuniva per mangiare, e subito dopo pranzo sua sorella maggiore riempiva di stoffe e modelli perché faceva la sarta, mentre sua madre lavorava a maglia, ed erano continui litigi con la sorella per accaparrarsi un po' di spazio sul tavolo per i suoi libri, ma soprattutto perché le due donne, e in special modo la sorella, non era in grado di stare zitta per dieci minuti di fila, e quel suo continuo chiacchierare evidentemente lo disturbava a morte, ma non aveva la benché minima possibilità di zittirla, quella era proprio una battaglia persa in partenza, così aveva preso l'abitudine di rintanarsi in bagno la sera quando tutti andavano a dormire, per continuare a studiare, illuminato da una sola fioca luce, né poteva ripetere la lezione, neanche a bassa voce, per non disturbare i suoi fratelli che dormivano; certo era molto scomodo, ma almeno aveva finalmente un po' di pace e di silenzio, e non era disturbato da nessuno.
Quel giorno dunque sia i suoi genitori che i suoi fratelli e sorelle cercarono di convincerlo che invece doveva andare a dare l'esame, perché tutti avevano visto quanto aveva studiato, e secondo loro meritava senz'altro di superare l'esame. Alla fine, visto che non riuscirono a convincerlo, si arrivò perlomeno all'accordo che intanto avrebbero fatto passare quella giornata, lui ci avrebbe dormito sopra, ed il giorno seguente avrebbe deciso se andare o no, confidando nel vecchio detto che la notte porta consiglio. Quella notte però, non so se portò davvero dei buoni consigli al giovane studente, ma incubi e sudori freddi senz'altro sì, perché ad una cert'ora che neppure lui saprebbe dire con esattezza, si svegliò e non riuscì più a prendere sonno, cosicché riprese a studiare il suo pesante libro, abbozzando perfino qualche formula su un quaderno che teneva sempre accanto, il tutto senza neppure alzarsi dal letto, illuminato solo dalle prime luci dell'alba. La sessione di esami era fissata per il pomeriggio, per cui quel giorno tutta la famigliola si riunì presto per il pranzo dando così modo al ragazzo di essere pronto per partire nel caso si fosse convinto, ma il ragazzo era molto indeciso, era combattuto, e continuava a dire a tutti ad alta voce che non poteva andare, era impreparato, e lo avrebbero senz'altro bocciato, ne era sicuro, e lui voleva evitare di fare quella figuraccia, perché oltretutto era molto preciso e scrupoloso e fin troppo esigente con sé stesso.
Sua madre cercava in tutti i modi di convincerlo: "Perché non vuoi fare l'esame?" gli diceva, "Almeno prova ad andare, poi quando sei lì vedi come ti senti". Anche i suoi fratelli facevano il tifo per lui, e così, a poco a poco, sembrò che il ragazzo avesse ritrovato un briciolo di consapevolezza e di orgoglio, tuttavia, contrariamente alle sue aspettative, notò che suo padre non diceva niente, era stranamente calmo e rilassato, lui che di solito era molto emotivo, e si era solo limitato a digli: "Vai a fare l'esame" senza aggiungere altro, così alla fine il ragazzo si convinse, e con una faccia che era a metà tra quella di uno che era appena scappato da un manicomio e quella di un'anima in pena - erano praticamente due giorni che non aveva dormito quasi per niente - raccolse le sue cose nello zaino e si avviò verso la stazione. Arrivato alla sua Facoltà ritrovò molti amici del suo Corso e appena entrò nell'aula dove stavano per cominciare gli esami, vide il bidello che gli chiese il suo libretto e lui, senza pensarci più di tanto glielo allungò quasi con un gesto istintivo, ma rimase enormemente colpito dal fatto che il bidello, nel chiedergli il libretto lo aveva chiamato "dottore" e lui, non sapendo che dire non gli rispose nemmeno ma pensò fra sé e sé: "Ma come dottore, non ho ancora fatto neanche un esame e già mi chiamano dottore?", così uno studente del secondo anno, che aveva visto la scena ed il suo sconcerto, gli si avvicinò e con un sorriso gli disse: "Ma cosa credi? Quello ti ha chiamato dottore perché dopo vuole la mancia. Non vedi come si preoccupa di mettere in ordine i libretti?" E poi gli spiegò come funzionava la cosa: "Vedi, se tu vuoi fare l'esame devi prima passare da lui, dargli il libretto e dirgli se lo vuoi fare per primo o magari dopo un po' o anche per ultimo, basta che glielo dici, lui ti accontenta e mette in fila i libretti come tu gli hai chiesto, però dopo che hai fatto l'esame vuole la mancia!".
In quel preciso istante, mentre il suo amico stava finendo di parlare entra la Commissione esaminatrice ed il nostro protagonista riconosce il suo Professore, poi si siede con gli altri ragazzi ed intanto gli sembra che il clima sia già più rilassato, non è più così agitato, quindi dice al bidello di mettere il suo libretto dopo i primi dieci, così intanto ha modo di vedere come vanno gli altri e può regolarsi di conseguenza, il bidello gli fa un gesto di complicità, sistema i libretti e poi li posa sul tavolo della Commissione mentre il ragazzo comincia a chiacchierare con i suoi amici e la tensione si stempera quasi del tutto. A quel punto però vede che ognuno dei tre esaminatori prende un po' di libretti a caso e li pone sul proprio banco, davanti a sé, e così l'ordine che gli aveva assicurato il bidello va a farsi benedire, infatti dopo appena qualche minuto, che gli sembrò interminabile, senza neanche accorgersene, si sente chiamare per primo da uno dei tre esaminatori della Commissione, e allora va' nel panico totale, non sa se presentarsi al banco o rinunciare, comunque raccoglie il suo libro, come per esorcizzare la paura e si avvicina al banco sentendo le gambe barcollare. Appena si siede sente il suo Professore, che stava esaminando un'altra studentessa, che dice al collega: "Questo ragazzo lo riconosco, ha seguito tutte le lezioni, si metteva sempre tra i primi banchi". Così, suo malgrado, comincia il suo esame ed il ragazzo, a quel punto, piano piano riacquista la sua sicurezza, risponde bene a tutte le domande argomentando con padronanza le risposte ai quesiti che gli vengono posti, e quindi passa poi ad essere esaminato dal suo Professore e poi dal terzo esaminatore dopo di che, dopo un breve conciliabolo, sente il suo Professore che annuncia ad alta voce che, con unanime giudizio degli esaminatori, egli ha superato l'esame con la votazione di 30 e lode. Il povero ragazzo non capisce più niente per la gioia e l'euforia, e quando gli chiedono di firmare il verbale è visibilmente confuso, non riesce ancora a credere a quello che sta accadendo chiedendosi se è reale o frutto della sua fantasia… "Ma come - pensò tra sé e sé - se non volevo neppure venire a fare l'esame perché ero convinto di essere impreparato, come è possibile che non solo l'ho superato, ma addirittura col massimo dei voti"?
Ancora incredulo e sentendosi così leggero, come se stesse camminando sulle piume, si avvicina alla porta dell'aula circondato dai suoi amici che si complimentano con lui, e subito vede il bidello che lo sta aspettando al varco, infatti appena gli è vicino si sente dire: "Hai visto, dottore, che hai superato molto bene l'esame? E' stato grazie a me che ho messo il tuo libretto tra i primi", il ragazzo vorrebbe ribattere, dirgli che non è affatto andata così, prova a biascicare qualcosa, ma preso dall'euforia non dice niente, poi si mette una mano in tasca ed estrae una banconota da 1. 000 lire e, senza rendersene conto, gli dà tutto quello che possiede, poi ancora circondato dagli amici che lo festeggiano, esce dall'Istituto e si avvia finalmente verso la stazione per tornare a casa, ma quando arriva in stazione si rende conto che non ha neanche una lira per fare il biglietto di ritorno – aveva dato tutto quello che aveva al bidello – e allora non sapendo che fare estrae il biglietto dell'andata che aveva tenuto e si accorge che per puro caso lo aveva fatto andata e ritorno. Il ragazzo ha un sospiro di sollievo, altrimenti non avrebbe saputo come fare per tornare a casa. Quando è finalmente seduto sul treno comincia a realizzare che ha davvero superato brillantemente l'esame, e quasi per sincerarsene definitivamente, estrae più volte il suo libretto universitario e verifica che realmente ci sia l'indicazione dell'esame fatto e la firma del suo Professore, poi comincia a pensare a quello che dirà ai suoi genitori quando sarà arrivato a casa, e solo allora si ricorda di non aver mangiato quasi niente. Sua madre a forza gli aveva fatto ingoiare due cucchiai di minestra e poi gli aveva preparato una camomilla che lui aveva trangugiato ancora bollente, e si era pure scottato il bordo della lingua, ma adesso cosa gli importava? Il fatto di aver superato il suo primo esame, quello scoglio di Fisica, e con trenta e lode, questa era la sola cosa importante, che gli faceva dimenticare tutto il resto, e non sentiva neppure i morsi della fame né il bruciore alla lingua, tanto era felice.
Arrivato al suo paese fece quasi di corsa quel breve tragitto dalla stazione a casa sua, pareva che le sue gambe gli arrivassero dietro alle spalle tanto erano lunghi i suoi passi, e man mano che si avvicinava, la sua bocca si contorceva in una smorfia a stento trattenuta, che sfociava in una gioia interiore indicibile, avrebbe voluto ridere, di quel riso quasi sguaiato, ma si tratteneva per non essere preso per matto dai passanti, tuttavia quando arrivò nei pressi di casa sua decise di assumere un certo contegno e di non far vedere subito ai suoi genitori che era tornato vincitore, per cui entrò in casa senza una particolare espressione, e si deliziò per qualche frazione di minuto ad osservare tutte le sfumature delle mille diverse espressioni di domanda che gli rivolgevano tutti i componenti della sua famiglia, quando quasi all'unisono gli chiesero: "Allora, com'è andata, lo hai fatto l'esame?" Tuttavia notò ancora una volta che suo padre era stranamente calmo - era l'unico che non aveva aperto bocca - sembrava quasi assente, come se non gli importasse di sapere com'era andata, al che il ragazzo, sempre più meravigliato, gli domandò a bruciapelo: "Ma papà, tu non dici niente? Non ti interessa sapere com'è andata, non ti interessa sapere se ho superato l'esame?" e subito aggiunse, con evidente soddisfazione: "Ho superato l'esame, e col massimo dei voti!" Allora vide suo padre che alzò la testa lentamente e fissandolo negli occhi gli diede una risposta che lo lasciò letteralmente di stucco, di quelle risposte che non ti aspetti, e che non si possono dimenticare, e infatti per tutta la vita non avrebbe mai più dimenticato. Ebbene suo padre gli disse semplicemente: "Io lo sapevo già", e lui subito: "Come lo sapevi già, cosa vuol dire?" Allora vide suo padre che allargò le braccia, deglutì il boccone che aveva in bocca e disse: "Vedi figlio mio, stanotte mi è venuta in sogno mia madre, tua nonna. Io ero sulla stazione e dovevo partire, ero arrivato di corsa all'ultimo momento ed il treno era già sul binario pronto per ripartire, ma mi ero accorto che non avevo il biglietto, il treno comincia a fischiare, segno che stava per ripartire, io ero agitatissimo, non volevo perdere il treno, ma non sapevo cosa fare, a quel punto vedo mia madre che con un sorriso mi dice: "Prendi il treno, non ti preoccupare" ed io gli rispondo: "Ma come faccio a prendere il treno, non ho il biglietto!" E lei, sempre con quel suo sorriso rassicurante, mi dice: "Non fa niente, tu prendi il treno e non ti preoccupare" e con un gesto amorevole, come di chi vede più in là, di che sa già tutto, mi accompagna alla vettura e mi aiuta a salire. A questo punto mi sono svegliato e dopo aver smaltito la meraviglia ho capito che quelle parole erano rivolte a te e non a me, a te che dovevi partire per fare il tuo esame ed allora ho avuto la certezza che avresti superato l'esame".
Per tutto il giorno e per molti giorni a seguire il ragazzo ripensò spesso a sua nonna, che lui a malapena aveva conosciuto, perché era morta quando lui aveva appena due anni e mezzo, e tuttavia aveva due o tre immagini di lei nella sua mente scolpiti in modo nitido e indelebile, compreso il giorno quando ella era venuta meno, e non erano cose che gli avevano raccontato, perchè egli ricordava di averli vissuti, erano immagini vivide nella sua mente, anche se la scienza ci dice che è molto difficile che un adulto possa avere dei ricordi che risalgono ai primi 2- 3 anni di vita. Quando si è così piccoli i ricordi non vengono conservati, si ha quello che viene descritto in psicologia come "Amnesia infantile". Quasi nessuno riesce a ricordare accuratamente gli eventi dei primi tre anni di vita, a parte una piccolissima minoranza di persone, eppure il ragazzo era sicuro di ricordare bene tre o quattro immagini, lontani ricordi riguardanti sua nonna, e questo era il suo segreto, il suo miracolo, che custodiva gelosamente, anche se gli altri dicevano che era impossibile che egli potesse ricordare, era ciò che lo legava a sua nonna, alla quale voleva tanto bene, ma ricordava anche che sua madre gli aveva sempre detto che anche la sua nonna le era particolarmente affezionato, che lui era il suo nipote preferito e tutte le volte che sua madre aveva riferito a sua suocera che aveva il bambino che stava male - aveva due figli maschi ed una femmina - sua suocera subito gli domandava: "Chi dei due sta male, quello con gli occhi d'argento"? Quel suo nipote infatti aveva gli occhi molto chiari, azzurri come il mare, per questo lo chiamava così. Quella sera, affacciandosi alla finestra, il ragazzo si mise a scrutare il cielo intensamente e ad un tratto gli parve di scorgere una stella che emanava un bagliore diverso delle altre ed ebbe pure l'impressione che pulsasse in modo strano, e allora si disse sicuro che sì, quella era la sua buona stella, era sicuramente la sua nonna che dal cielo gli mandava un segno, mandava un segno al suo nipote preferito, ad "Occhi d'argento", quasi a dirgli: "Vedi, io sono qui vicino a te, e veglierò sempre su di te, tu vai sempre avanti e non ti preoccupare, e se qualche volta sei convinto di non hai il biglietto non ti disperare, prendi lo stesso il treno", e allora il ragazzo si lasciò andare e pianse, pianse tanti fitti lacrimoni, sciogliendo finalmente tutta la tensione di quel giorno, mandando un bacio alla sua cara nonna che ancora una volta, dal cielo, lo aveva assistito.