Da quanto tempo era lì a fissare il dondolio delle foglie che come piume ammantavano il viale del parco, con l’ anima in subbuglio osservava in silenzio. Lo sapeva, a casa l’ aspettavano. Aveva trovato una scusa per uscire, dicendo di avere un appuntamento con l’ amministratore del palazzo per la solita questione condominiale irrisolta e non avrebbe tardato. Ma era una balla, la sua era stata quasi una fuga da tutti e da tutto, soprattutto da quel bimbo dagli occhi scuri, che lo guardava cercando in lui quello che non avrebbe mai potuto dargli, la normalità.
Normalità… in che cosa? Nell’ essere un bambino come tutti gli altri, nel camminare, giocare, usare le mani, far parte di un gruppo, sentirsi vivo. No, tutto negato, era costretto a stare a letto, con il respiratore artificiale, cosciente, ma impossibilitato a muovere anche un solo dito. La mente arguta, vivace, sognante, ma prigioniera in un corpo che non rispondeva ai comandi.
Matteo non riusciva più a sopportare tutta questa sofferenza e la sua impotenza lo stava distruggendo. Tirò un sospiro stringendosi il bavero del cappotto, il primo freddo si faceva sentire, aveva le mani intorpidite ed il naso congelato, si guardò attorno, improvvisamente s’ alzò un vento sferzante, che sollevava in un mulinello ballerino le foglie, che accartocciate si ammucchiavano ai lati della strada, in giro non c’ era quasi nessuno, solo qualche runner che non aveva rinunciato alla solita corsetta, neppure in quel giorno di festa. Si era fatto tardi, pensò, era giunto il momento di rincasare. Ricacciò indietro le lacrime che avevano illanguidito lo sguardo e si avviò verso casa. Aveva percorso metà del tragitto, quando improvvisamente gli si affiancò un motorino apparso dal nulla con due balordi, i quali, incuranti di essere a viso scoperto, quindi facilmente riconoscibili, lo bloccarono e con aria minacciosa gli intimarono di consegnargli il portafoglio. Era uscito senza, quindi svuotò le tasche per fargliele vedere, ma per tutta risposta gli sferzarono un pugno in faccia, facendolo cadere quasi privo di sensi, poi gli si scagliarono contro prendendolo a calci e pugni fino a che il viso non gli diventò una maschera di sangue, solo allora lo lasciarono a terra quasi esamine, fuggendo.
Matteo non riusciva a chiedere aiuto, né tanto meno a muoversi, il corpo massacrato dalle botte era solo un peso senza più forze. Intanto, un gruppo di persone si avvicinò prestandogli soccorso, sentiva le voci, poteva scorgere il contorno dei visi, ma non riusciva a comunicare. Ascoltandoli avrebbe voluto ribattere, ma dalla sua bocca non uscì nemmeno un flebile suono.
In quel preciso istante, il pensiero andò a Nunzio e si rese conto che stava vivendo, anche se momentaneamente, la stessa condizione e le stesse sensazioni del figlio. Prigioniero di se stesso ma vivo nel pensiero, la mente capace di parlare silenziosamente.
No… non avrebbe mai abbandonato il figlio, la sua voce, le braccia, le mani, sarebbero diventate le sue. Un corpo per
due. Avrebbe trovato la forza nell’ amore…
Frattanto che pensava ciò giunse l’ ambulanza e fu portato subito al pronto soccorso dell’ ospedale. Dopo un po’, nonostante facesse ancora fatica a parlare, raccontò l’ accaduto e ricostruì per i poliziotti, la dinamica dell’ aggressione e poi, con un filo di voce chiese di telefonare alla sua famiglia per avvisarli.
Dopo aver fatto squillare più volte il telefono, senza ricevere alcuna risposta, fu preso dal panico, pensando alle cose più truci, e se fosse accaduto qualcosa di brutto al figlio, mentre lui non c’ era? Come poteva perdonarsi se ciò fosse stato vero? Ma poi, finalmente le rispose Elisa che con voce preoccupata gli chiese, con una punta di rimprovero, che fine avesse fatto.
Lui la mise al corrente di ciò che era successo e chiese subito di Nunzio, la moglie gli rispose con una frase che lo riempì di felicità: “ Sta aspettando con ansia che tu ritorni a casa, lo sai che solo con te si rasserena...”
Per fortuna, al contrario di come era sembrato in un primo momento, le sue condizioni non erano così gravi e dopo i primi accertamenti e cure, fu dimesso con suo grande sollievo.
Giunse a casa malconcio ma negli occhi aveva un’ altra luce, quello che era accaduto era stato un segno del destino
per fargli capire che Nunzio aveva bisogno di lui e non poteva tradirlo con il suo abbandono. Insieme, avrebbero spiccato il volo verso il cielo della vita.