E’ qui che è cominciato tutto!
Su questa panchina vicino al lago, con in mano un panino
e una birra, a guardare il tramonto incantati.
Eravamo giovani, ma non spensierati; avevamo i nostri problemi e ci raccontavamo i nostri pensieri
senza misteri, con una spassionata e cruda verità.
Sapevo tutto di te... o quasi...
Avevi un padre padrone, che maltrattava te e tua madre: si ubriacava puntualmente e al suo ritorno
trovava sempre qualcosa che non andava come pretesto per alzare le mani.
Vivevi una situazione familiare al limite della sopportazione e quell’ ora passata sulla panchina con me
ti faceva sognare una vita diversa, una “ VITA... VITA”, come la chiamavi tu!
Quello era anche il nomignolo che mi avevi dato e che mi faceva sentire importante ogni volta,
che arrivando vicino alla panchina mi sussurravi:
“ Vita... Vita”.
Mi prendevi la mano dolcemente, la portavi sulle labbra
sfiorandola come i cavalieri d’ altri tempi e ti sedevi accanto a me a guardare il tramonto.
Io, non avendo la mamma e vivendo da sola con mio padre, un uomo buono e tranquillo,
avevo sulle mie spalle la conduzione della casa, dei pasti; non avevo tempo per me... tranne quell’ ora sulla panchina...
Desideravamo entrambi un’ altra vita, fatta di amore, comprensione, desiderio e tranquillità,
ma io sapevo che non avrei mai potuto abbandonare mio padre e lo sapevi anche tu...
Quel giorno... sulla panchina trovai attaccato un biglietto.
C’ era scritto:
“...“ Vita... Vita”...sono partito... la porto via ...non tornerò indietro... non posso...”
Come una pioggia fredda e gelida uscivano le lacrime dai miei occhi, mi imperlavano le guance
come rigoli d’ acqua brinosa, che scorrevano fin dentro il lago...
Volevo scappare, urlare tutta la disperazione che avevo nel cuore, ma restavo immobile,
lì seduta su quella panchina, che di colpo mi sembrava quasi... ostile!
Il giorno dopo seppi il motivo della tua fuga improvvisa e di quel bigliettino con poche parole confuse.
La situazione in casa tua era precipitata: tuo padre, sotto i fumi dell’ alcool, aveva tentato di ammazzare tua madre,
e senza pensarci oltre, avevi deciso di portarla in salvo, lontana da lui.
Si... e tu ...lontano da me... lontano da quella panchina che ci aveva visti felici nella nostra infelicità;
che ci bastava per farci passare un’ altra giornata e poi ancora un’ altra e un’ altra ancora...
Non so quanti giorni o mesi o anni sono passati da quel giorno maledetto, non li ho contati e non li conto ancora...
I tramonti non sono più straordinari e sconvolgenti ed emozionanti come quando li guardavo con te,
ma non posso fare a meno di venire qui, su questa panchina a parlare con te, a guardare il nostro lago
e questo spazio e questo tempo che era ed è solo nostro.
Aspetto come ogni sera, quella lieve carezza del vento che all’ improvviso mi farà sentire un tuo sussurro: “ Vita... Vita”.