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Restavo sempre affascinata e piacevolmente estasiata quando le ondate di maestrale e di libeccio rompevano il silenzio e inondavano la spiaggia di Zabrinsky point. Un posto sperduto, fuori mano, non tracciabile dai gps, bisognava conoscerlo, difficile da raggiungere. Frequentato per la maggior parte da surfisti di vecchia scuola ed impavidi che sfidavano correnti di risacca e gorghi pericolosi. I lupi di mare e marinai con i capelli d‘ argento si perdevano nei ricordi sepolti in qualche conchiglia o in qualche roccia levigata. Nessun frangiflutto, nessuna barriera artificiale o naturale, una gola ampia, fondo roccioso, ondate in serie alte più di sei metri. Albatross e gabbiani cantavano le storie del mare, un posto eremitico, per pochi. D’ estate si riempieva dei classici gruppetti, falò e musica, feste fino al mattino. Con la luce giusta, quasi a tramonto, l’ acqua sembrava oro liquido, atmosfera quasi irreale. D’ autunno, era il luogo più deserto del mondo. Ricordo bene i boati, l’esplosioni, il profumo fresco, le gocce in sospensione, strane figure comparivano fra i flutti. La spiaggia ha visto fiorire nuovi amori, naufragare amicizie e tavole, ha sentito rompere le vele, affidare preghiere alle onde, gambe rotte e ferite. Ogni tanto qualche carcassa di delfino, barche e tronchi di albero. Dalla strada sembrava un quadro, intorno pini e arbusti, un luogo selvaggio, incontaminato, puro. C’è un cartello molto simpatico che qualcuno ha messo, un monito che non è stato bene accolto dai locals, cita " Qui comanda il mare, il vento ed il sale, voi umani non contate una sega”. Così, mi portavo qualcosa da mangiare e da bere, una coperta, se faceva freddo e restavo li a guardare lo spettacolo di luci, colori e suoni, un angolo di litorale dove far pace con i pensieri. Oggi però la spiaggia è stranamente deserta... forse i ragazzi son troppi impegnati a tenere il naso in tablet o su qualche altro monitor a premere tasti e spostare levette, hanno perso il cervello per le stronzate, stanno perdendo il contatto con la realtà. Il silenzio rotto dalle ondate, echi di gabbiani in planata libera, nuvole di acqua vaporizzata, vento fresco: che meraviglia. C’ era un tale, spuntato dal nulla, che con fare molto sicuro, scendeva la ripida discesa senza dimostrare incertezza, aveva uno zaino sulle spalle, forse un pescatore? Il mare si stava ingrossando, il vento aumentava, quel tipo camminava sulla riva senza provare disturbo o paura, prevedeva e conosceva, si scansava in tempo. Arrivato nel punto dove tutta l’ energia si scaricava, si fermò. Da un primo momento provai un po’ di apprensione, sarebbe bastata una piccola disattenzione e quel povero cristo sarebbe finito in mezzo alla corrente, ma non sembrava preoccuparlo più di tanto.
Mi guardai intorno con la speranza di vedere qualcuno, magari in due o più, si poteva fare qualcosa. Un signore anziano mi vide, fece una sorta di inchino, forse notò il mio disagio, tanto che si avvicinò. “ Buon pomeriggio signorina, Capitano in pensione Marcus Welby, per servirla, “ Non tema per l’ incolumità di quel ragazzo, stia pure tranquilla, lui sa cosa fare “. Incuriosita e quasi rassicurata gli dissi grazie, chiedendo chi fosse. Il Capitano, sorrise nella sua barba bianca, occhi vivi come brace, ma velati come foschia estiva. “ E’ Matteo, conosciuto da tutti come Bio, quando tornerà su, lo avvicini, non abbia timore, ci parli. E’ uno dei pochi che vive il mare come nessun altro.” Si congedò con un altro inchino, fece alcuni passi indietro e riprese a fissare l’ orizzonte, impettito e austero. La curiosità era ai massimi livelli, aspetterò ‘sto Bio ed ascolterò cosa avrà da dirmi. Intanto un fascio di luce squarciò un angolo del cielo. |
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