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Negli anni 50- 60 Da bambini non capivamo cosa era o non era pericoloso. Gli adulti “ ricordo” ci dicevano non mettete le dita nella prese di corrente. Non mettere le dita nella catena della bicicletta, poi che la bicicletta c'è la riparavamo da soli. Cambiavamo la catena, riparavamo le forature. Qualcuno meno esperto, s'incastrava le dita nella catena e non era colpa di nessuno. La colpa era del bambino che non stava attento quando eseguiva una riparazione. Qualche adulto ci insegnava ad andare in bicicletta, senza che ci obbligasse a portare un casco e senz'altro qualche caduta con conseguente sbucciatura del ginocchio era inevitabile. Si andava in auto senza le cinture di sicurezza. Era nostra gioia montare di nascosto sul cassone posteriore di un furgone aperto, era un godimento speciale. Le culle dei bambini erano di legno, dipinte con colori vivaci, e con vernici a base di piombo. Le confezioni dei medicinali senza chiusure di sicurezza. Le auto non avevamo chiusure di sicurezza. Quando si andava in gita con la scolaresca in campagna, Bevevamo l’ acqua immergendo le labbra nel ruscello. Nel pomeriggio dopo la scuola uscivamo a giocare con con numerosi nostri amici, l’ unico obbligo di rientrare prima di sera. Compravamo un pallone e si formavano le squadre in base al rione d'appartenenza. Se succedeva un infortunio durante la partita, se si prendeva una slogatura o usciva sangue dal naso, o si perdeva qualche dente, non era colpa di nessuno e nessuno faceva denuncia per questi incidenti. Ricordo che nelle feste del paese, compravamo le bottigliette di gazzosa, e tutti bevendo dalla stessa bottiglia e nessuno rischiava di prendere un'infezione. Non avevamo la TV a colori, neanche i telefonini, certi giocattoli, le spade, le pistole, i pupazzi ce li costruivamo noi stessi, con legno o materiali di recupero. Non avevamo quasi niente ma, avevamo solo tanti, tanti amici. Si usciva e si camminava a piedi fino a casa dell’ amico, suonavamo il campanello di casa o lo chiamavamo dalla strada a voce alta semplicemente per vedere se lui era in casa e poteva uscire. Per avventurarci nel mondo pericoloso e crudele! Senza neanche un parente o un guardiano di sorveglianza! Ci inventavamo giochi di squadra con bastoni e palline da tennis. Non tutti erano capaci di giocare e gli scartati non subivano alcun trauma. Se qualche studente era meno bravo e doveva ripetere un anno, Nessuno andava dallo psicologo, dallo psico pedagogo, nessuno soffriva di disturbi mentali né di problemi iperattività. Si prendeva qualche scapaccione dal suo genitore e ripeteva l’ anno, io medesimo dovetti ripetere qualche anno della scuola elementare. In tutti i casi, gli insegnanti o i genitori, avevano sempre ragione. Noi bambini avevamo la libertà di fallire, di sbagliare per imparare. Avevamo libertà, di farci male e avere la responsabilità di noi stessi e imparare che certi errori se gravi, cera un limite massimo; pagavamo consapevoli di meritare il castigo. Solo così imparavamo a gestirli. A questo punto mi domando e dico: come abbiamo fatto a sopravvivere noi bambini degli anni ’ 50 e ‘ 60, a crescere, consapevoli di cosa ci aspetta da grandi? La strada, ci insegnò, fra le altre, una cosa fondamentale: il principio di responsabilità. Quel principio che da tempo è venuto meno, nella giovane società italiana. Il vivere insieme.
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Opera pubblicata ai sensi della Legge 22 aprile 1941 n. 633, Capo IV, Sezione II, e sue modificazioni. Ne è vietata qualsiasi riproduzione, totale o parziale, nonché qualsiasi utilizzazione in qualunque forma, senza l'autorizzazione dell'Autore.
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I fatti ed i personaggi narrati in questa opera sono frutto di fantasia e non hanno alcuna relazione con persone o fatti reali.
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«Questo mio scritto, è scaturito da un dibattito televisivo, la dove qualcuno attribuiva al genitore o all'insegnante, la responsabilità piena e totale, nell'insegnamento del vivere in società di un bambino. A mio parere il bambino va lasciato crescere e umanamente sbagliare, consapevole che a volte, da un atto si aspetti una reazione.» |
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