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Gli amici che non mi abbandonano mai

Biografie e Diari

Gli amici vengono e vanno: possono bastare un piccolo equivoco, una lieve gelosia, un malcelato risentimento per perderli. Gli amici che non ci abbandonano mai sono le persone di rilievo che abbiamo conosciuto, anche se un po' da lontano.

Non vanno mai via dalla mia testa certi miei professori universitari, alcuni dei quali sono ormai stabilmente finiti in Wikipedia (i maestri elementari, gli insegnanti delle scuole medie, i docenti delle scuole superiori scompaiono più facilmente, perché da bambini e da adolescenti non si è ancora in grado di capire fino in fondo l'importanza della vera cultura: quelle parole, quei volti vengono forse assimilati inconsciamente, e per questo apparentemente persi) .

"L'Università [ è ] volta a divenir sempre peggiore via via che si realizza l'assurdo e contraddittorio pensiero di una Università di massa: e non è qui il caso di accennare alla sovversione che elementi squilibrati e irresponsabili tentano contro le leggi del sapere e contro le leggi tout court, alla carenza dell'autorità, al disfacimento morale di docenti e discenti. (...) [ C'è ] chi, sotto colore di rinnovare o riformare l'Università, vuol solo degradarla e avvilirla, livellandola in una progressiva ignoranza in cui siano premiate l'incompetenza e l'ignavia e siano puniti il lavoro ed il merito. (...) Sia l'Università, nella sua selettiva compattezza, l'anelito alla società degli studi e perciò, anzitutto, alla libertà e dignità dell'uomo, fuor d'ogni politica e d'ogni strumentalizzazione. E chi parla oggi di cultura borghese o di cultura proletaria è semplicemente un analfabeta e un povero di spirito. (...) Insorgete, o giovani, nell'intimo delle vostre coscienze intatte, contro ogni falsa seduzione, contro ogni invito alla faciloneria, alla superficialità, all'inconsiderazione, all'ineducazione, alla violenza. (...) Ricordatevi che fra vera tradizione e vero rinnovamento non v'è, non può esservi antitesi. Non rinnegate la vostra civiltà, non rinnegate voi stessi" . Erano queste le parole che si potevano leggere nella guida al seminario di Lingua e Letteratura francese dell'Istituto Universitario Orientale di Napoli dell'anno accademico 1969- 70. Le aveva scritte il professor Enzo Giudici (1920- 1985), un siciliano che era un po' il terrore di tutti gli studenti e di tutte le studentesse. In quegli anni immediatamente successivi al Sessantotto, i professori che non volevano adeguarsi ai tempi nuovi non avevano vita facile, contestati com'erano da studenti e da colleghi, e si incattivivano e inacidivano oltremisura. Giudici incuteva timore anche a me, ed assistei soltanto a poche sue lezioni (sul Cinquecento francese) . A distanza di tanto tempo, però, devo ammettere che quelle sue parole, anche se eccessivamente reboanti, non erano del tutto infondate.

Il professor Carlo Zaghi (1910- 2004) era un ferrarese di Argenta, assai sanguigno e deciso. Pare che da ragazzo (ma io allora non lo sapevo) fosse stato per un po' di tempo espulso dalle scuole del Regno perché aveva scagliato un calamaio contro l'insegnante di Matematica, per il semplice motivo che non amava quella materia... Non molto alto, era alquanto sicuro di sé: insegnava Storia, una disciplina che da giovane non amavo particolarmente; seguii le sue lezioni sulla guerra italiana in Africa Orientale e, dopo l'esame, regalai i due suoi volumi su quell'argomento (anche se di solito non regalavo mai i miei libri) a un amico maestro elementare interessato ad accrescere la sua cultura, essenzialmente perché quei libri mi facevano troppo pensare alle (da lui taciute) sofferenze che in quella guerra aveva patito mio padre. Zaghi (nonostante, ripeto, non fossi molto attratto dalla Storia) mi era simpatico: in lui c'era qualcosa di familiare, mi appariva quasi come un ipotetico cugino della mia nonna pesarese (Argenta e Pesaro sono proprio al confine con la Romagna, rispettivamente a nord e a sud, e l'esuberanza, la passionalità e la mascherata violenza romagnole le contagiano) . Del professore (che era stato anche giornalista), se devo ricordare una cosa da lui detta, è questa: se in Occidente (e soprattutto in Italia) non ci fosse stato il Cristianesimo, ora saremmo avanti di tre o quattro secoli nel progresso e nella civiltà.

Nel 1970 partecipai ad alcune lezioni del professor Alessandro Bausani (1921- 1988), che veniva, credo, ogni giorno da Roma. La materia che lui mi insegnava era Glottologia, ma il professore era molto più di un semplice glottologo: esperto del mondo arabo, e soprattutto di quello persiano, traduttore e commentatore del Corano, aveva viaggiato molto, in quasi tutti i territori di religione islamica, fino all'Indonesia, e ci faceva conoscere spesso, in modo alquanto serafico e talvolta leggermente ieratico (ho appreso da Wikipedia che si era convertito al Bahaismo, una religione derivata dall'Islamismo, molto pacifica e tollerante), particolari aneddoti relativi a quei suoi viaggi. Conservo ancora appunti di sue lezioni dedicate al tamil, al congolese, all'hindi, al basco, anche se allora non capivo bene tutto, un po' perché ero al primo anno, un po' perché Bausani usava un linguaggio non facile e aveva una voce piuttosto flebile, tipica dei grandi intellettuali, e un po' perché avevo preso l'abitudine di sedermi vicino a una ragazza bella, intelligente e seria, nata a Caracas, che mi piaceva. Se socchiudevo gli occhi, col professore che spaziava dall'Indonesia al Nordafrica, attraverso l'India e la Persia, e con la venezuelana al mio fianco, m'illudevo di trovarmi immerso quasi nel mondo intero!

Il professor Giuseppe Carlo Rossi (1908- 1983), lombardo, era stato il primo, in Italia, ad ottenere la cattedra di Lingua portognese, inesistente in precedenza; oltre alla cattedra di Portognese, aveva anche quella di Spagnolo. Andavo da lui soltanto per dei seminari (frequentati da pochissimi studenti) di approfondimento del portoghese, e quella ragazza di Caracas andava ai suoi seminari di spagnolo. Una volta il professore mi disse che era molto contento della venezuelana, una brava ragazza che egli avrebbe visto volentieri al mio fianco. Ne rimasi piuttosto colpito e lusingato, e qualche giorno dopo ebbi l'occasione di riferirlo a lei: mi confidò che il professore le aveva detto le stesse cose su di me... Erano gli anni postsessantotteschi, e Rossi, come Giudici, era un po' avversato dai docenti più giovani, perché ritenuto ancora vicino al fascismo. Forse non era vero, ma quando, dopo la laurea, andai a fare il militare e mandai una cartolina al professore con la speranza che si ricordasse di me e potesse propormi qualcosa per l'avvenire, egli si limitò a rispondermi: "Caro Terracciano, vedo con molto ritardo la tua cartolina, al rientro dalle vacanze. Certo che mi ricordo di te come di un giovane diligente e intelligente. E sono certo che compirai ottimamente anche il dovere in cui ti trovi ora impegnato per la comunità nazionale. Auguri e saluti cordiali, Giuseppe Carlo Rossi" .

Del professor Gian Carlo Roscioni (1927- 2012) seguii, l'ultimo anno, un corso sulla letteratura francese del Novecento. Di lui ricordo che talvolta, a metà lezione, si allontanava, tornando dopo cinque minuti: qualche studente malignava, sostenendo che avesse dei problemi alla prostata... Molti anni dopo, su una bancarella, vidi un suo libro su Carlo Emilio Gadda: mi proposi di comprarlo un'altra volta, ma la volta successiva, come spesso accade, non lo trovai più. Pensavo che si trattasse di uno dei tanti saggi che i critici dedicano a scrittori famosi in realtà da loro mai conosciuti, ma Wikipedia mi ha svelato che Roscioni, di Gadda, era il più intimo amico!

Dovrei ricordare ancora altri miei professori (e alcune professoresse) dell'Università che, anche se non si trovano (ancora) in Wikipedia, resteranno per sempre, più di tanti amici normali, nel mio cuore e soprattutto nella mia mente, ma non voglio troppo tediare quei lettori che hanno avuto la bontà di voler conoscere queste mie vecchie frequentazioni, e pertanto mi fermo qui.


Antonio Terracciano 02/03/2016 14:13 862

Opera pubblicata ai sensi della Legge 22 aprile 1941 n. 633, Capo IV, Sezione II, e sue modificazioni. Ne è vietata qualsiasi riproduzione, totale o parziale, nonché qualsiasi utilizzazione in qualunque forma, senza l'autorizzazione dell'Autore.
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