Mi mette angoscia la sera, quando le pareti della stanza sono attraversate dalle ombre, e la luce appare d’ intensità diversa a seconda di come sposti il tuo sguardo. Le falene sono attratte dalla luce o dal tepore di un lume? Mi domando, ma non so rispondermi e neppure m’ interessa quale sia la verità. Le vedo sbandare distrattamente e non mi piacciono.
Io non amo le falene. Ci sono persone così, persone che amano apparire, persone che hanno vita breve, come le loro false verità. Un esempio di ipocrisia, chiaro, indubbio, concreto.
Mi uccide la sera quando esaurisco tutte le mie energie. Mi alzo di buonora il mattino e sono capace di fare tante cose, senza fermarmi un attimo, intraprendere un’ attività pensando già a quella successiva e condurre, contemporaneamente, una specie di lotta con i miei pensieri. La rissa di pensieri che si spinge nella mia mente e grida. Non c’è spazio per i sogni, la realtà mi chiama, mi ricorda i miei innumerevoli impegni, mentre chiudo un attimo, solo un attimo gli occhi, sospirando, e il silenzio parla per me, il silenzio finalmente azzarda a dirmi qualcosa. Vorrei, sì vorrei, addormentarmi e dimenticare tutte le brutture della vita per un po’ di tempo, che non voglio definire, il tempo che basta, il tempo necessario.
Beati gli animali che cadono in letargo! Loro sì che sono intelligenti e sanno come affrontare le asperità dell’ inverno. Una strana fantasia si concretizza ai miei occhi. Potessi cadere in letargo, sceglierei il momento più opportuno del giorno, prima che tramonta il sole, prima che l’ oscurità inondi la mia stanza. Mi sveglierei a Primavera, sollevando piano le palpebre sugli occhi. Vorrei trovarti accanto, al mio risveglio. Uguale al tuo pensiero che non ho sentito allontanarsi da me neppure per un istante. Sto cominciando a pensare come uno spirito, puro spirito senza braccia né gambe, senza un corpo. Sto cominciando a pensare che un corpo non mi serve, posso farne a meno, mentre dello spirito no. È ciò che mi rende unica, speciale, è ciò che mi trasforma in visione ai tuoi occhi e mi avvicina al sentire divino.
Avevo cinque anni quando qualcuno, un donnone che pareva un generale, con una peluria ispida intorno al mento, parlando nel pianerottolo con mia madre, quasi le intimò di spegnere la luce nella mia stanza, dove mi dibattevo nel mio letto, disturbata dai rumori che provenivano dall’ esterno e dall’ abbaiare di un cane nella strada.
E mia madre, che di sicuro pensò che quella donna, di età matura e grossa di corporatura, potesse avere ragione, senza indugio s’ affrettò a spegnere la luce nella mia stanza.
Ero terrorizzata, rimasi in silenzio, trattenendo il fiato, tirandomi il lenzuolo sul viso fino a coprirmi gli occhi.
Volevo gridare, e obiettare contro quella decisione improvvisa, ma non ne avevo la forza, strane creature popolavano la stanza, correvano, farfugliavano un primitivo linguaggio, circondavano il mio letto, soffocandomi.
Sudavo e tremavo, ma rimanevo in silenzio, come aspettando un miracolo. Forse Dio, ascoltando le mie preghiere, avrebbe fatto sì che le pareti della stanza si rischiarassero come per magia.
Non ricordo se quella sera riuscii ad addormentarmi, entrando nell’ oscurità col mio buio, triste, infreddolito, impaurito.
Oggi un’ ansia strana mi pervade quando fuori della finestra non distinguo più i contorni del mondo, quando la notte la luna si nasconde tra le nubi e non si vedono le stelle, e per non accentuare troppo il contrasto, nella mia stanza, non accendo la luce centrale, intensa e forte, ma resto dentro il raggio di un lume, appeso a una parete.
Tutto si ferma in quella debole luce, ogni mia attività, ogni pensiero, semplicemente attendo che il tempo passi, semplicemente ozio, semplicemente spero che qualcuno venga a salvarmi, senza sapere da cosa.
Ed è solo in quei momenti che assegno una misura al tempo, a quel tempo che il più delle volte confondo, mischiando passato e presente tra loro, come fossero carte.
Dopotutto la vita è solo un gioco quando cerchi di evadere dalla realtà.