Non avrei voluto prestare il servizio militare: non ero affatto incline, e poi mi ero appena laureato, e il relatore (non so con quanta sincerità) mi aveva promesso che si sarebbe impegnato a farmi avere un posticino di assistente di Linguistica, a condizione che mi fossi fatto vedere spesso all'Università... Confidavo nelle mie non eccelse doti fisiche, mi auguravo di essere, come era successo a un mio cugino, riformato magari per il torace troppo stretto (ma superavo la misura minima di due centimetri) o, come era accaduto a un mio amico, per una forte miopia (ma ciò sarebbe stato molto difficile, dato che avevo l'obbligo di lenti solo per la guida); insomma, sognavo che, alla visita medica, mi trattassero come il povero "don Nicola" di Raffaele Viviani ("So' passato dint''a cammarata / e llà me songo spugliato / 'mpresenza a tutta l'armata. / Doppo n'ora che aggio aspettato, / e ca m'ero seccato / 'e sta' annuro llà 'mpalato, / 'o tenente m'ha chiammato / e io me songo avanzato. / Ma 'o tenente m'ha guardato / nu pucurillo scuncertato / e nun appena m'ha visitato / è rimasto spoetizzato; / e ha ditto vicino a n'ato: / Si tenesseme sti surdate / avessemo 'o pato pato d''e mazzate! / Po' 'a parta mia s'è avutato / e, dannome na vuttata / ca pe' poco 'nterra nun me ha menato, / ha ditto: E' meglio ca ve ne jate. / Vuje nun servite pe' l'armata: / nun putite fa' manco na marcia sfurzata / pecché tenite tutt''e nierve ammusciate. ")
Non andò così e, dopo due mesi a Cagliari (ricchi di marce, pulizie e fucilate fatte - almeno l'ultima attività - alquanto controvoglia), fui trasferito a Civitavecchia. Qui cambiavo mansione ogni quindicina di giorni, e una volta fui affidato a un maresciallo simpatico, umano, tollerante, giustamente critico nei confronti delle alte gerarchie di cui quella caserma particolare (era una specie di Università che facilitava la carriera a chi già occupava gradi elevati nell'ambito militare) pullulava.
Dopo un paio di giorni passati senza far niente, il maresciallo mi diede l'incarico di mettere in ordine alfabetico circa trecento schede, ciascuna con un titolo relativo a certi documenti d'archivio. Io, che a casa mi divertivo spesso a fare lo stesso lavoretto (con i titoli dei libri da me posseduti), dopo un paio d'ore avevo già finito, e pregustavo un altro compito simile.
"Maresciallo, ho finito! ", gli comunicai subito. Mi guardò incredulo, quasi sbalordito, e mi disse, nel suo saporito dialetto con accento salernitano: "Guaglio', ma tu si' pazzo? Chisto è 'nu lavoro ca 'nce vo' almeno 'na semmana p''o fernì, osinò ca facimmo aroppo? Fa' 'na cosa, guaglio': sconceca [ rimetti alla rinfusa ] tutte cose 'n'ata vota, e 'a semmana ca trase [ la prossima settimana ] ne parlammo! "
Avevo finalmente trovato (sotto le armi!) un lavoretto che mi piaceva, e venivo trattato così! Non avevo ancora capito, allora, che quello era il paradigma, un po' esagerato, di quasi tutti i lavori pubblici in Italia, degli uffici, delle scuole, ecc., in cui i dipendenti validi non mancano, ma vengono poco e male valorizzati.
Come sarebbe bello, invece, se tutti i superiori, i capi, fossero così intelligenti da capire quali sono le caratteristiche e i pregi dei loro sottoposti, assegnando a costoro i compiti più adeguati alla loro preparazione ed alla loro personalità!
Sarebbe questo, forse, uno dei segreti per il deciso sviluppo di una nazione e, forse soprattutto, per la felicità individuale: il potersi dedicare a ciò che più piace, perché quando un lavoro dà piacere si trasforma in una fonte di benessere per il lavoratore in primo luogo, e per la comunità di conseguenza.
Purtroppo, almeno in Italia, siamo ancora lontani dal raggiungimento di questo obiettivo, e forse non ci siamo neppure incamminati sulla sua strada: lavorare secondo le proprie tendenze resterà per chissà quanto tempo ancora un'utopia!