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Insonnolito tese il braccio sul comodino e bloccò infastidito la sveglia, che sulle note del suo brano preferito: “ OVER MY HEAD” di Asaf Avidan, ogni mattina lo buttava giù dal letto, poi si rigirò, tirandosi il piumino fin sulla testa, ma il suo attimo di tranquillità durò poco, infatti, la sua micia “ Neve” chiamata così per via del suo pelo bianco e soffice, salì sul lettone, facendo le fusa e accarezzando il viso di Marco Pio, il quale l’ allontanò strofinandosi il naso per via del solletico esclamando: “ Neve, smettila, ogni mattina è la solita storia, un attimo che mi alzo, un po’ di pazienza micia!” Stiracchiandosi nel suo bel pigiama colorato, andò in cucina per prepararsi un bel caffè bollente e per dare del latte a Neve. Prese il giornale che quotidianamente gli portava il custode del residence e sorseggiando il suo caffè, accompagnato da una brioche, iniziò a leggere la pagina dello sport, quando improvvisamente sentì una voce che gli diceva: “ Ehi fannullone potresti darmene ancora un po’? Sei proprio uno spilorcio!” Marco Pio rovesciò il caffè sul tavolo, sbalordito si guardò intorno e disse a voce alta: “ Ma chi è? Chi ha parlato?” Si alzò in piedi stralunato e la bocca spalancata, in cucina c’ era solo la gatta, non poteva essere lei, la guardò con aria interrogativa e quando sentì nuovamente la voce suadente che diceva: “ Miao… ma sei proprio imbranato, sono io sciocco!” Per poco Marco non svenne e indietreggiò pallido in volto, appoggiandosi al tavolo. Non riusciva a crederci, ma quando la fissò e vide che muoveva il muso sporco di latte, non ebbe dubbi, la voce proveniva dall'animale. Era diventato matto, non c’ era altra spiegazione. Si vestì in fretta, doveva uscire, anche se era presto e di domenica; indossò una tuta da ginnastica e si recò nel parco dove abitualmente, andava a fare jogging. Dopo circa un’ ora ritornò a casa, sperando che fosse stata un’ allucinazione, ma quando aprì la porta sentì la gatta che gli disse: “ Era ora, finalmente… bentornato, non mi piace stare sola!” Lui si rifiutava di ascoltarla e rispose: “ Tu non parli… chiaro?... Gli animali non possono parlare!” E volò in bagno per fare una doccia fredda, sperando che l’ incubo fosse svanito. Uscì in accappatoio con l’ acqua che gocciolava dappertutto, comparve nuovamente la gatta e gli disse: “ Ehi Marco, che dici se oggi mi dai i bocconcini di pollo?” A questo punto dovette arrendersi o Neve parlava o lui era diventato un folle. Cominciava a farsi buio, generalmente Marco Pio, si sdraiava sul divano per guardare un film e la gatta si accoccolava ai suoi piedi; quella sera lui aveva paura di Neve, ma cercò di vincere il timore guardando un bel film. Quando il sonno cominciava a prendere il sopravvento e gli occhi erano semichiusi, Neve ricominciò a parlare: ” Marco, forse non lo sai che i gatti hanno sette vite? Sono già morto ben quattro volte… ed ora eccomi qua.” Marco si rassegnò all'idea che la sua gatta parlasse o meglio che lui comprendeva il linguaggio dell’ animale, il quale continuò: “ Devi sapere che ero una piccolissima gattina, e la mia casa era il tronco di una vecchia quercia, caduta in mezzo al bosco di castagni, ebbene, la mia vita era all'aperto, in piena libertà. Giocavo con le foglie, rincorrevo le farfalle ed ero amica con quasi tutti gli animali che abitavano nel bosco. C’ era Gigi, lo scoiattolo, la donnola Gilda, il terribile cinghiale Bongo e poi altri ancora. Un giorno, un bambino biondo di nome Michele, giocando a moscacieca con alcuni suoi amichetti, trovò il mio nascondiglio. Appena mi scorse esclamò: ” Venite presto, guardate cosa ho trovato, c’è una gattina bianca ed è bellissima… guardate come è sporca!” Io pensai: “ Sporca?? Ma come si permette?” Ma notando il suo entusiasmo mi addolcì e così cominciò la mia avventura con Michele. Mi portò a casa sua, lo guardavo con aria preoccupata pensando: ” Ma dove mi sta portando questo qua?” E cominciai a miagolare cercando di fuggire, ma lui mi acciuffò ed iniziò ad accarezzarmi: ” Sii… mi piaceva, la sua mano delicata che mi dava carezzine sul musetto, bello… sii continua.” La casa di Michele mi apparve modesta, ma molto graziosa, con un piccolo orto ed un minuscolo giardino, dove erano parcheggiate delle biciclette. Quand'ecco che spuntò all'improvviso un grosso cane dal pelo grigio, di nome Birba: ” E… no, questo proprio no, non mi piaceva, cominciai a tremare per lo spavento perché nel frattempo il mastino, appena mi vide, si era messo ad abbaiare come un indemoniato. Michele mi tranquillizzò dicendo. ” Tranquilla micina non è come può sembrare, è solo un cucciolone: pensai tra me: ” Lo dice lui che non mi devo preoccupare, ma nonostante la presenza del cagnone, il ragazzino mi era già diventato simpatico!” Anche gli altri componenti della famiglia mi accolsero con gioia, dandomi buffetti e facendomi volare in alto. Calma, non sono un giocattolo! Poi mi sistemarono in una confortevole cesta di vimini, su di un soffice cuscino e dopo aver bevuto una bella ciotola di latte caldo, mi addormentai. Trascorsi dei giorni meravigliosi, ero colma di attenzioni, mi sentivo al settimo cielo. Praticamente vivevo in simbiosi con Michele, adesso mi permettevano di dormire nella sua stanzetta e poi, giocavamo sempre insieme e spesso, mi portava in giro nella cesta della sua bici. Ma un giorno mentre eravamo in una stradina del parco, Michele inciampò su un masso e cadde rovinosamente per terra, io rotolai fuori dalla cesta, lui si fece un taglio sulla fronte e ci vollero alcuni punti di sutura; e io? Beh… lo sai, noi gatti sappiamo come cadere senza farci male. In ospedale, in quella occasione, fecero delle analisi a Michele e quando ritornarono a casa, vidi i suoi genitori: mamma Rosa e papà Guglielmo, molto preoccupati, ma io ero troppo contenta di vedere il mio padroncino e cominciai a strusciarmi alle sue gambe, fino a che lui, non mi prese in braccio ed iniziò a coccolarmi. Da quel brutto giorno, il piccolo Michele non stava molto bene, era sempre stanco e molto spossato e quando mi avvicinavo a lui, per ricevere qualche affettuosità, stancamente mi dava un tocco distratto. Avvertii che c’ era qualcosa che non andava, così mi misi ad origliare e scoprì che purtroppo, il mio caro amico aveva una grave malattia, chiamata leucemia, così la definivano gli umani, al più presto, doveva essere ricoverato in un ospedale per ricevere le cure appropriate. Furono giorni terribili, nessuno giocava più con me, mi guardavano distrattamente e mi sentivo terribilmente sola, così un giorno, dopo l’ ennesimo ricovero di Michele, pensai che forse potevo uscire in giardino alla ricerca di nuovi amici. Così incontrai Puffetta, una graziosa gatta, e poi il micio Ubaldo, il capo banda e la super antipatica Giosa. Con loro potevo giocare, saltare, dare la caccia ai topi, ma… mi mancava tanto quel piccolo bambino, Michele. Quando rientravo in casa, tutto era molto triste e non avevo voglia nemmeno di bere il mio latte. Finalmente, dopo un paio di mesi si spalancò la porta di casa, ed ecco il rientro del mio amato padroncino, per poco non lo riconobbi, indossava un cappellino di lana sulla testa e senza più, i suoi bellissimi capelli biondi, era pallidissimo e gli occhi cerchiati di nero. Improvvisamente gridò: ” Neve, micia bella, vieni qua fatti accarezzare e gli sfuggì un debole sorriso, iniziai a fare fusa dalla felicità, era lui il mio dolce Michele. Tentai di avvicinarmi, ma me lo impedirono, non potevo stargli vicino per via della malattia, così cominciammo a volerci bene senza più sfiorarci, ma spesso, la voglia di stargli accanto era tanta, che disubbidendo mi avvicinavo, ma venivo immediatamente mandato via… Durante il racconto della gatta, Marco Pio, rapito, ascoltava la bellissima storia dell’ animale e disse: ” E’ assurdo che parlo con te, ma continua, cosa è successo dopo?” Neve replicò: ” Sono un po’ stanca beh… visto che insisti… stavo dicendo ah… si. Visto che non mi potevo avvicinare a Michele, mi arrampicavo su una grande quercia che si trovava vicino alla finestra della sua cameretta e con il muso incollato ai vetri, lo guardavo, lui esanime e debolissimo mi volgeva uno sguardo con i suoi dolcissimi occhi, mandandomi un saluto con la mano e per me, era il regalo più bello; ed io stavo delle ore a fargli compagnia, seppure da lontano. Spesso mi addormentavo sull'albero e la mattina dopo, graffiavo i vetri per farmi notare e per fargli capire che ero lì. Altre volte, lui si faceva accompagnare alla finestra e dall'interno mi parlava amorevolmente.” “ Ehi Neve, cara micia, sono ancora debole, ma vedrai che presto guarirò ed allora ti faro un sacco di coccole.” “ Per fortuna, dopo tanti mesi ed il trapianto del midollo osseo prelevato dalla sua sorellina, Michele guarì, ma per me, anche se era una bellissima notizia, fu offuscata da quella meno bella, cioè che si sarebbero dovuto trasferire in un'altra città, un posto dove il clima era più caldo. Ed io che fine avrei fatto? Pensavo che mi avrebbero portato con loro. Ma una mattina, prepararono la mia gabbietta e dopo avermi caricato in macchina mi portarono in un'altra casa. Michele piangeva silenziosamente e teneva stretta la gabbia dicendomi:” “ Sai micia, mi dispiace tanto, ma papà ha detto che non puoi venire con noi, perché dove andremo, non c’è il giardino e non vogliono animali.” “ Io percepivo che era molto addolorato ma la loro decisione fu irremovibile, così adesso avevo un altro padrone. Ma questo, non mi piaceva, era Ernesto, un anziano, amico di famiglia: no, questo qui non mi piace per niente, cercai di ribellarmi graffiando, ma fui preso e portato in uno scantinato, miagolai tutta la notte e finalmente il giorno dopo, Ernesto si degnò di darmi qualcosa da mangiare, era molto vecchio e per niente gentile, spesso mi scansava con dei calci. Restai con lui poco, una notte andò a dormire e non si svegliò più e così restai nuovamente senza nessuno che pensasse a me, cominciai a gironzolare per le strade e spesso mangiavo gli avanzi dei ristoranti: residui di scatolette di acciughe o andavo al banco dei pesci ed il pescivendolo impietosito mi buttava le lische. Durante questo girovagare, mentre ero in un giardino pubblico, mi si avvicinò una bella ragazza con un gattone molto bello. Ehi Marco… se ti dico bello mi devi credere! Fu amore a prima vista e la sua padrona accorgendosi di questa attrazione, pensò che forse mi avrebbe potuto tenere con sé, e così fu, mi portò a casa sua e cominciai a vivere con un altro umano. Lei era molto carina con me e mi viziava moltissimo fino al giorno in cui scoprì che ero incinta, sì perché nel frattempo, io e Aristide, il gattone, eravamo diventati intimi. A quel punto, la ragazza, Irene, pensò bene di sbarazzarsi di me e mi riportò nel giardino dove mi aveva trovato. Mi sentivo molto triste, perché ero lontano dal mio Aristide, e anche perché ero incinta. Ma non mi persi d’ animo trovai un nascondiglio in una buca coperta da una lastra d’ alluminio e lì, una notte, misi alla luce i miei tre bellissimi micetti mi sentivo molto debole, avevo bisogno di mangiare per allattarli, uscì fuori dalla buca, lasciando lì i miei piccoli, ma quando tornai, trovai la lastra completamente sollevata e di essi, non c’è n’ era alcuna traccia. Disperata cominciai a chiamarli: Birillo, Chicca, Dodo, dove siete? Tornate da me! Inutilmente iniziai le ricerche, ed alla fine dovetti desistere e adesso… eccomi qui con te, che mi hai trovata malata e sola, in fondo a quel vicolo buio e mi hai portato a vivere insieme a te. Ora ti voglio rivolgere una preghiera, non mandarmi via, non mi abbandonare mai e tienimi per sempre con te. All'inizio della storia, ti dicevo che i gatti hanno sette vite, ebbene, io sono morta e rinata tante volte, perché essere abbandonati è come morire.” Marco si ritrovò una lacrimuccia sul viso, commosso prese la gatta fra le sue braccia e sussurrandole disse: ” Tranquilla con me non succederà mai!” Era arrivata l’ ora di andare a dormire, appena Marco si coricò nel lettone, Neve si raggomitolò accanto a lui. L’ indomani, quando il sole fece capolino fra le fessure delle finestre, Marco guardò Neve con aria interrogativa, essa guardandolo fece: ” Miaoooooooo… miaooo!” Marco pensò: ” Ma sii…! Avrò sognato… forse!” | |
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I fatti ed i personaggi narrati in questa opera sono frutto di fantasia e non hanno alcuna relazione con persone o fatti reali.
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Lunga e bella traduzione di un dolcissimo "miao" . (Antonio Terracciano)
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