Un capello bianco sottile e liscio si impigliò nella spazzola. Le sembrò in controluce, un tenue filo di ragnatela. Un segno. Accadeva spesso, da qualche tempo si soffermava a pensare al tempo che scorre. Il suo sguardo non scintillava più come una volta, mancava la brillantezza, l'istantaneità, si avvicinava ai quarant'anni e incominciava a sentire nostalgia per il figlio mai avuto. All'improvviso il vento fece sbattere una porta all'interno dell'appartamento. Pensò che sarebbe stato meglio controllare l'accaduto. Non lo fece e preferì aspettare. Si alzò quando dal balcone vide una gardenia abbattersi. Era l'unica pianta che possedeva, la curava canticchiando "Gardenia blue". Era una canzone di un film americano, forse degli anni cinquanta.
Laura, con la pianta tra le mani, si fermò a guardare il mare accarezzato dal respiro forte del vento di tramontana, capace di addolcire il sapore salmastro con aromi di pini, erbe e altre piante del bosco vicino. L'aria di quelle giornate aveva un sapore inconfondibile, leggero, vagamente frizzante. Il sole, già alto nel cielo, non poteva ingannare: alle soglie dell'autunno la sua energia, scemava di giorno in giorno e il suo calore, sfiorava la pelle, senza aggredirla. Un’ armonia perfetta. La spiaggia aveva ritrovato la sua pace, aveva ripreso il suo intimo dialogo con il mare. Nelle notti silenziose e insonni lei ascoltava.
Le tornarono alla mente lontane giornate del passato. I ricordi restavano a mezz’ aria, vagavano per le stanze, incapaci di sciogliersi, di trovare una via d’ uscita. Erano ancorati al filo della malinconia, a volte a quello del rimpianto. Nell’ armadio della camera da letto cercò un abito leggero, estivo nella consistenza ma dalle tinte tenui. Si vide allo specchio e si guardò. La delicatezza della stoffa risaltava sulla pelle abbronzata e dava al viso una luce giovanile. Non prese l’ orologio, penso che per quel giorno non le serviva. L’ idea di uscire le aveva messo in corpo una certa fretta, cercò le chiavi di casa, le gettò alla rinfusa dentro la borsa e si chiuse la porta alle spalle.
Nell’ ascensore trovò una delle sue vicine di casa, noiosa come sempre. Quella mattina era veramente insopportabile nel suo eterno parlare delle figlie, dei loro studi, dei loro progressi. Non l’ ascoltò. Le rispose con un sorriso di circostanza. Appena scesa, salutò la vicina e si avviò verso la via interna di quel paese di mare. Si senti allegra, nel vedere che quello era giorno di mercato. Si senti gioiosa come una bambina. Le cassette di frutta e verdura, variopinte e disposte in modo ordinato erano come un invito ad avvicinarsi e comprare. Comprò uva e banane, poi si avvicinò alla bancarella dei giocattoli. Era proprio come la ricordava, piena di cose fragili e senza valore ma bellissime per destare la curiosità dei bambini. In mezzo alla folla e al trambusto ricordò se stessa da bambina. Era dolce e un poco timida. Il ricordo era come una bolla di sapone, leggera e fragile. Voleva trattenere quella bolla ma una folata di vento la distolse dal ricordo. Il barcollio dell'ombrellone sopra la bancarella la costrinse ad allontanarsi in fretta. Proseguì oltre fino ad arrivare al mare. Con decisione si avviò al solito posto. Il solito posto era la panchina sul molo. Questa volta non era libera come al solito. Per metà era occupata da un secchiello, una paletta, una bambola bionda e qualche formina.
Non si sedette subito. Arrivò fino al mare e lo ammirò tutto, fino all'estremo orizzonte. Non vide nessuno, ritornò alla panchina e si sedette. Seduta, guardò la spiaggia e notò una bambina che ammucchiava con le mani la sabbia umida per creare delle forme. Sicuramente era lei la proprietaria di tutto ciò che occupava la mezza panchina. Era una bambina minuta e bionda, vestita con indumenti sportivi. Indossava pantaloncini corti, maglietta e scarpette da ginnastica. Tutto questo a lei, da piccola, era stato negato. Doveva essere sempre perfettina e vestita bene, non poteva sporcarsi, giocare con la sabbia. Provò un po' d'invidia per la piccola sconosciuta. Guardò un po' attorno e vide che non c'era nessuno per controllarla. Una bambina indipendente, mentre lei era sempre controllata da una madre onnipresente e possessiva. Forse era per questo motivo che Laura non aveva voluto figli. Temeva di ripetere l'errore materno. Vennero altri bambini a giocare con la piccola.
Laura ricordò i suoi giochi solitari fatti di dialoghi con amici immaginari. Una lacrima spuntò dai suoi occhi e decise che avrebbe avuto un bambino per farlo crescere libero di manipolare la sabbia umida, di sporcarsi, di ridere e giocare con gli altri bambini. Forse era ancora in tempo per diventare madre. Voleva essere una mamma che aiuta il suo bambino a crescere e diventare un uomo libero, senza paura dello sporco, dei germi e di ipotetiche contaminazioni.
Dopo un po' la bambina smise di giocare, si avvicinò alla panchina, prese la bambola e stava per andarsene ma poi notò la donna e disse: “ Porto via soltanto la bambola, gli altri giocattoli li regalo al tuo bambino”.