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L’ ultimo giorno dell’ anno si stava avviando molto lentamente là dov’ erano andati a finire tutti quelli che lo avevano preceduto, così come ci si sarebbero avviati tutti gli altri a venire. Quel giorno non aveva la minima idea della sua destinazione ma non sembrava preoccuparsene più di tanto, anzi, facendo bene attenzione si poteva intravedere nel suo modo di fare una certa eccitazione. Nel bene o nel male, il suo compito poteva ritenersi ormai concluso, era solo una questione di ore, e nessuno, al di là delle romanticherie che può suscitare l’ evento, avrebbe potuto attendersi da lui più di tanto. La stessa eccitazione che brillava negli occhi dell’ ultimo giorno dell’ anno si poteva scorgere in quelli dei passanti che si agitavano lungo le strade del centro tutte addobbate da luci e festoni. C’ era chi andava di qua, chi andava di là, e c’ era chi riusciva ad andare simultaneamente di qua e di là. La confusione collettiva era giunta all’ apoteosi. L’ euforia era determinata da un motivo ben diverso rispetto all’ ultimo giorno dell’ anno, ed era la preparazione per il veglione di capodanno. Il vecchio anno, con suo sommo piacere, sarebbe finito, come cosa ingombrante, giù dalle finestre in compagnia delle cose vecchie, il nuovo anno sarebbe stato osannato e amato fin dal primo sguardo per l’ identico periodo che era spettato al precedente, giorno più, giorno meno. Verrebbe da pensare che il genere umano sia profondamente falso, ed io credo che nel qual caso, verrebbe da pensare bene. Comunque, tutti i preparativi fervevano, gli ultimi acquisti facevano fremere gli animi, l’ eccitazione vibrante per l’ aria la si poteva dolorosamente percepire per i colpi sulla faccia, la si poteva tagliare a tocchetti e riciclare come regalo. C’ era chi cercava il salmone panettonato, chi il panettone salmonato, chi i capitoni ancora vivi, i totani giganti, le balene nane da accomodare con lo struzzo albanese. C’ era chi cercava lo champagne cocacolato con un milione di bollicine, chi i botti da sparare, i tric e trac, i tirabballac, le bombe di carta e in caso di esaurimento scorte, anche quelle a mano andavano più che bene. Le persone s’ intralciavano l’ un l’ altra che era una meraviglia. Nel loro indemoniato procedere, la rabbia verso il vicino aumentava in maniera esponenziale con il trascorrere dei minuti e l’ anno vecchio se ne andava gioiosamente a finire all’ insegna dell’ odio più spietato. Abilmente mimetizzato tra la folla, il signor Orazio De Curzi stava tentando di guadagnare la via di casa. Terminato di lavorare come al solito alle ore diciotto e trenta, tutti gli altri suoi colleghi erano usciti a mezzogiorno, era riuscito a fare in tempo a trovare l’ abituale, vecchia drogheria ancora aperta e vista l’ eccezionalità della giornata aveva deciso di esagerare. Comprò due etti e mezzo di prosciutto cotto, un etto d’ olive nere e ben tre panini. Appena giunto a casa, chiuse ben bene la porta dietro di sé e tirò insieme al chiavistello, anche un sospiro di sollievo. Finalmente era in salvo! Si mise in pigiama, si lavò le mani, si sedette al piccolo tavolo della cucina, scartò i pacchetti che posò sulla tela cerata. Osservò tutto quel ben di Dio e incominciò a mangiare. Degustò estasiato tre fette di prosciutto accompagnandolo con otto olive e mezzo panino. Innaffiò il tutto con un bicchiere d’ acqua d’ annata messa in condotta dall’ acquedotto comunale. Si asciugò la bocca con un fazzoletto di carta, quindi, rimase per qualche attimo a osservare una vecchia macchia d’ umidità proprio sopra la credenza. Riavvolti i pacchetti, si alzò, li mise nel frigorifero, quindi si diresse verso la stanza da letto e alle diciannove e quarantacinque, così come tutte le sere, si coricò. Intorno… anzi, per essere precisi, proprio a mezzanotte, si svegliò di soprassalto. Si drizzò sul letto. Sulle prime pensò a un atto terroristico, a una guerra, all’ ultimo conflitto mondiale. Quando si riprese, capì che era solo giunto l’ anno nuovo e la gente stava festeggiando l’ avvenimento a colpi di botti. Cercò di riaddormentarsi. Per un po’ ci riuscì, ma il rumore assordante era continuo, finché dopo un paio d’ ore cessò e il De Curzi poté riprendere sonno. Si svegliò come al solito intorno alle sei e trenta. Il signor Orazio era un abitudinario. Si avvicinò alla finestra e dischiuse leggermente la persiana per dare uno sguardo all’ esterno. Il cielo era coperto di nuvole. Per la strada non vi era anima viva. “ Già” pensò tra se “ tutti ancora a poltrire a letto o a sperperare i loro soldi in località di lusso!” Quanto a lui, si lavò come tutte le mattine, fece colazione riscaldando del the del giorno prima nel quale inzuppò un pezzo di pane, quindi sbloccò il chiavistello, aprì la porta, si assicurò che non ci fosse nessuno sul pianerottolo, e avutane conferma, uscì. Giunto in strada, ispezionò con attenzione dapprima il lato destro, successivamente quello sinistro. Nessuno! Neppure un gatto. Si diresse felicemente verso il centro della città. I negozi erano tutti chiusi. Passò dinanzi alla drogheria dov’ era solito servirsi. La trovò inaspettatamente aperta, ma dentro non vi era nessuno. Chiamò ad alta voce il padrone, ma non ebbe alcuna risposta. Pensò che preso anch’ egli dall’ euforia della festa, fosse andato a gozzovigliare chissà dove, dimenticando di chiudere il negozio. Continuò a camminare per la sua città. Giunto in ogni piazza si sedeva su una panchina e osservava meravigliato cose che prima di allora non aveva mai notato. Dopo due o tre ore rientrò a casa. Fece le solite cose di sempre. Chiavistello, pulizie corporee, pigiama, pranzo a base di prosciutto, olive e acqua comunale, lunga contemplazione della vecchia macchia d’ umidità, riassetto della cucina, riposo pomeridiano sulla poltrona del salotto, risveglio, acqua in faccia per neutralizzare l’ intontimento, poi, ripresosi, stanza da letto e alle diciannove e quarantacinque, come tutte le sere, si coricò. Il risveglio avvenne puntualmente alle ore sei e trenta del due gennaio dell’ anno appena nato. Trattandosi di giorno santificato al lavoro, si preparò in fretta e furia al fine di poter entrare in ufficio almeno con una buona mezz’ ora in anticipo e si diresse verso il vetusto edificio, sede della sua trentennale occupazione. La strada era completamente deserta, la qual cosa non lo stupì più di tanto. Da buon conoscitore dell’ animo umano era ben conscio dell’ avversione che i suoi simili provavano per l’ impegno lavorativo e della disdicevole passione per l’ ozio. Sicuramente una buona parte dei suoi concittadini era impegnata in attività ludiche, un’ altra parte intenti a onorare il caldo tepore dei loro letti. Giunto all’ ingresso dell’ edificio presso cui svolgeva le sue mansioni, rimase non poco stupito dal non notare la presenza del custode. Saliti i tre piani ed entrato nell’ ampio salone dove erano collocate le scrivanie, avvertì il solo rumore prodotto dall’ eco del lento incedere dei suoi passi. Nessuno! Non vi era nessuno. Né segretarie, né altri impiegati, né il severo capo ufficio. Rimase per un breve periodo esterrefatto ad analizzare la situazione, quindi, riflettendo sul particolare non secondario che trattavasi di giorno lavorativo e pertanto a tale nobile attività dedicata, si sedette alla sua scrivania e incominciò a svolgere quel lavoro che era rimasto in sospeso da ben due giorni. Lavorò forsennatamente e piacevolmente per tutta la giornata. Il piacere derivava dal fatto di non essere interrotto da colleghi, telefonate o chissà che. Soddisfatto di come stava procedendo lo smaltimento delle pratiche, decise di rinunciare all’ intervallo di mezzogiorno e quasi senza rendersene conto, lavorò incessantemente fino alle ore diciannove, dopo di che, pur a malincuore, decise di spegnere le luci e fece ritorno a casa. Verso la tarda mattinata del giorno successivo, il signor Orazio de Curzi terminò di espletare tutte le sue pratiche rimaste in sospeso. Sollevò il capo dalla scrivania e rimase a osservare per alcuni istanti il posto solitamente occupato dal suo capoufficio. Si rese improvvisamente conto di essere piuttosto stanco e alquanto affamato. Era solito portare con sé una mela o un panino per alleviare i morsi della fame, ma proprio quel giorno, nella fretta di uscire per completare il lavoro entro una buona ora, se ne era completamente dimenticato. Staccato lo sguardo dalla scrivania del suo capoufficio, incominciò a guardarsi intorno, fino a che la sua attenzione si rivolse alle scrivanie dei colleghi e a tutti quei fascicoli inevasi, che con il loro colore verdolino andavano a formare come delle montagnole senza punta. Non gli ci volle molto per decidere quello che avrebbe fatto, sicché occupò il posto alla scrivania sistemata al suo fianco e incominciò di gran lena a smaltire la nuova montagna di lavoro. Scoprì non senza sorpresa che le cartelle accumulate, oltre ad essere numerose, si presentavano in perfetto disordine. Pratiche fuori posto, documenti mancanti e così via. Con estrema accortezza incominciò risistemando i fogli negli appositi spazi, quindi, dopo questo estenuante lavoro, incominciò l’ operazione di archiviazione. Solo verso le otto si accorse del tempo che era trascorso. Le ampie finestre non lasciavano filtrare né il minimo fascio di luce dell’ illuminazione esterna, né alcun rumore. Resistette ancora un’ ora, finché alle nove, indossò il vecchio cappotto, spense la lampada posta sulla scrivania e si diresse verso casa. Percorse a piedi il tratto che lo separava dalla sua abitazione. Le strade erano deserte. Non vi erano mezzi pubblici, automobili, tanto meno passanti. Già, erano ancora giorni di festa, e in quel momento tutta la popolazione si stava godendo le ultime ore di vacanza in località di montagna, presso spiagge esotiche, oppure stava semplicemente continuando a gozzovigliare nelle proprie case. Solo dopo aver chiuso la porta dietro di sé, si rese conto che non aveva comprato nulla per la cena; d’ altronde era assai stanco, e decise di arrangiarsi con quel poco che era rimasto, quanto all’ acquisto di alimentari avrebbe provveduto il giorno dopo. I giorni successivi procedettero come i precedenti all’ insegna di quella rassicurante monotonia. Il lavoro, pur se faticoso, procedeva lesto, anche se ben lungi dal completamento. I giorni divennero settimane, e con la quarta sarebbe giunta la signorina Adele e con la signorina Adele sarebbe giunto anche il beneaugurato giorno di paga. Le riserve economiche erano in via di esaurimento e con esse i generi di prima necessità presi a credito dal droghiere, che pur tardando nel rientro, aveva evidentemente deciso di lasciare aperto il negozio per favorire quegli avventori, quali il Signor Orazio, costretti alla permanenza cittadina. Di fatto, nonostante la temperatura assai rigida, gli alimenti offerti erano in via di decomposizione. Se si aggiunge che non vi era il minimo segnale di rientro dalle vacanze da parte di alcunché e tantomeno della tanto attesa dispensatrice di sussidio mensile, si può facilmente intuire che le condizioni dell’ integerrimo impiegato De Curzi stavano progressivamente volgendo al peggio. Alle ore sei e trenta di un gelido mattino di fine mese, nell’ atto di scendere dal letto, il Signor Orazio si trovò lungo steso sul pavimento. La fatica accumulata in quell’ ultimo mese, unitamente all’ inadeguata alimentazione, lo avevano sensibilmente debilitato nel fisico e nel già precario equilibrio psichico. Riuscì a fatica a risistemarsi a letto. Lamentava dolori in ogni parte del corpo, la testa pulsava intensamente. La febbre si era impossessata del suo corpo. Dopo lunghi momenti di dolorosa riflessione acuiti da un’ ancora più straziante senso di colpa, giunse alla decisione che si sarebbe recato al lavoro alle nove. Passò un giorno intero e la notte a seguire e un altro giorno intero in preda a spasimi fisici e mentali durante i quali agli incubi si susseguirono sonni agitati e dolori e visioni e pensieri di un tempo passato o che forse non era mai stato. Aprì gli occhi due giorni dopo, incapace di muoversi da quella condizione. Il sudore gli colava dalla fronte, mentre dalla finestra che era rimasta per tutto quel tempo aperta, proveniva un vento gelido puntato dritto sulla sua faccia, vento che accompagnava i rumori provenienti dalla strada. Erano i rumori di macchine, di mezzi pubblici, voci di persone, che come tutte le mattine si recavano al lavoro. Così, come tutte le altre mattine che erano trascorse appannate dalla solitudine… mentre il Signor Orazio De Curzi, emise un profondo, definitivo sospiro di sollievo, immergendosi in quel suo nuovo sonno...
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