- Annaffio le piante fuori in terrazza, piante … insomma il rosmarino la piantina di felce e quel geranio strano di montagna, quello con i fiorellini minuscoli con quei petali di due millimetri di diametro, e rossi, più piccini dei non- ti- scordar- di- me e che non muore mai, un po’ come me, “ appare” fragile. Nemmeno sotto le mie cure, da pollice verde che proprio non ho, muore. Rientro in casa e chiudo la zanzariera. Camminando verso la cucina per andare a posare la bottiglia che ho usato per annaffiare mi accorgo che qualcosa si muove sulla maglia, all’ altezza del seno. Ho le mani bagnate così penso devo prenderla prima che cada a terra e se la mangi il cane, così la chiudo nel pugno sinistro. La sento girare che fa il solletico e spinge per uscire infilandosi tra le dita.
- Ooooooh issaaa … oooooooh issssssaaaaa …
- Stai tranquilla che presto aprirò il pugno ti sto proteggendo poi ti saluterò un attimino e ti lascerò libera. Non ti agitare.
Poi poso la bottiglia e apro il pugno. Che dolce la coccinella, non c’è niente da fare è una dolcissima figura piccina e colorata. “ Non sei soltanto bella, ma dicono anche che tu porti fortuna.” Le dico. Poi la lascio girare tra le dita, passa dal dorso della mano arriva sul mignolo, poi piego e muovo la mano faccio pendenza in modo che lei mi giri su tutte le dita e la osservo mentre cerca sempre di andare verso l’ alto. Tu giri la mano e lei va su sempre su. Un po’ come me quando sogno, sempre molto in grande, certo … perché io vivo andando verso l’ alto. Non certo andando in basso. Uguale. Stessa storia. E succede una cosa. Arriva al dito medio e si ferma a metà. Così all’ improvviso, e io non capisco.
- Dai vai su, che succede? Ti sei fatta male? Ma no dai, forse stancata? Naaaaa impossibile … saresti la prima che vedo stancarsi di camminare sulle dita, giuro. Ma allora che hai fatto? Mica t’è rimasta la zampetta incastrata tra le rughe del mio dito eh? Sarai mica lunatica? O magari c’ hai le voglie svogliate come me, quando penso “ si vorrei … ma non mi va … “?
Allora avvicino di più gli occhi alla mia mano e scopro con stupore immenso che stava bevendo, con la bocca era attaccata alla goccia d’ acqua che si era fermata tra le rughe nella nocca del dito … “ mai vista questa cosa”. Tu te ne stai tranquillo un giorno a fare cose che sai in un mondo che conosci in una vita che non cambia mai e poi ecco che a volte accade qualcosa che non hai mai visto, così gratuitamente. Una cosa piccola e tu non l’ hai mai vista prima. E io mi emoziono. Che ci posso fare mi meraviglio. Oppure sono io che, non so … sarò boh? Davvero.
Mi stupisco come i bambini sai, Flip. Devo aver perso un pezzo della bimba che ero, devo aver smesso si stupirmi presto e credo sia stato così, che sia per questo che ora vedo meraviglie accadere che per altri sono cose normali, anzi, meno di normali, non ci sono proprio. Come la storia delle formiche e i colloqui che faccio con loro. Che una volta l’ ho detto per esser vera e mi hanno guardata come fossi matta. Ma se esser matti significa essere veri e provare emozioni piccole piccole e farle grandi grandi allora essere normali significa non provare più nulla Flip?
- Tu non sei matta, è semplice, e loro non sono normali, Jenny.
- Hai ragione Flip ho capito cosa vuoi dirmi. Più che altro io domando alle formiche oppure le guardo in silenzio e succede tutto dentro. Nel mio stomaco. Se domando loro mi rispondono, e sento le loro risposte qui, vedi qui nello stomaco in alto. Parlano con una saggezza semplice, con la semplicità di un discorso così banale che, insomma era talmente scontato, talmente lì chiaro e limpido, troppo vero, che l’ hai dimenticato sepolto in qualche posto recondito della tua anima, magari in una vita precedente.
- Perché precedente? mi disse Flip, il gabbiano. Che mi ascoltava in silenzio da un po’ seduto sulla ringhiera.
- Perché si. Perché … Da bambina mi stupivo, ma ora mi stupisco il doppio. Mi stupivo di tutto e poi tac, ho smesso, in questa vita è successo, ho smesso all’ improvviso per una carezza, tutta colpa di una carezza e così son fuggita dalla carezza e sono entrata nel bosco. Proprio li dovevo entrare … va beh quando uno fugge non conta mica, non guarda, corre e va. Dove entra entra, dove trapassa trapassa, dove si tuffa si tuffa. Tac. Fugge e non guarda e non pensa. Ora che sono cresciuta e che ho passato quel bosco, che sono uscita cambiata, curata, quasi, e rinata, ecco che tutto è … è di più, capisci Flip?
E allora lo penso, caro Flip amico mio, penso che ci sia stata un’ altra vita prima, dove io vivevo di semplice meraviglia, tutto lo era, era stupore e basta. E che ora tutto è ritornato, dopo la bambina, dopo la carezza e dopo la foresta. Tutto ritornato come era in un tempo, ma un tempo che non è qui, in questa vita. Non lo so gabbiano lo penso. Lo penso soltanto. Uno può pensare, e pensa. Anche questo è semplice e scontato no scontato no ecco vedi penso, uno quando pensa si contraddice anche mica siamo statici ci muoviamo sempre e anche i pensieri mutano di forma di sostanza ma scontato no proprio no. Uno usa il pensiero, uno può non usarlo, o usarlo che sarebbe meglio non lo usasse.
Ma tu gabbiano ora, alzati in volo e vai dove è la tua vita. S’è fatto tardi e devi andare. So che ami dialogare con me e, a dir la verità parlo solo io anzi parliamo col pensiero e poi l’ ho capito che, mi vuoi bene, sai, mi vergogno un po’ … però. Quindi adesso gira la testa e guarda altrove così mi passa questo rossore sulle guance. Beh … si è fatta sera, è davvero tardissimo ora vai … la tua vita è laggiù nelle saline e nel cielo che culla la tua innata libertà, ed è nel mare dove plani sul filo dell’ acqua e ti accovacci, per vedere dove sono i pesci, o dove ti tuffi per acciuffarli, dove tu VIVI. Vivi gabbiano del mio cuore vai, vola in alto ed io ti guarderò da qui. Di tanto in tanto sai che ci avvicineremo, quando sarò tra gli specchi delle saline per raggiungere il mare, e mi vedrai passare mentre alzerò la mano, un po’, piano, per salutarti, magari solo con le dita. Il gabbiano mi ha dato ascolto adesso e se n’è andato verso la sua vita, ma so che lo rivedrò ancora, che verrà di nuovo a trovarmi.
E tu, coccinella che fai? Ti ho posata sulla ringhiera per farti tornare alla tua vita, vai, vola anche tu. Volate, liberi. Volerò anche io un giorno e prima o poi ci rivedremo. Non è una promessa. Me l’ hanno insegnato le formiche, è, semplicemente, così. |
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