Mi faceva sussultare, a quel tempo, il sibilo violento e inquietante del vento proveniente da nord. Quello freddo, ostile, che si infiltrava sotto le vesti con le sue lunghe dita gelide facendomi rabbrividire fin dentro l'anima. Per quanto cercassi di ripararmi da lui erano sempre troppo leggeri gli abiti.
Ovunque tentassi di nascondermi erano sempre troppo deboli le mura. Il vento del nord sapeva scuotere le pareti, abbattere porte e finestre, sollevare polvere e legna.
Giungeva improvviso. Mi afferrava. Mi penetrava la carne fino a stritolarmi le ossa e mi abbandonava, inerme, con la gola in fiamme e la mente roboante di grida.
Per sfuggirgli correvo a volte a destra e a volte a sinistra come una creatura ubriaca e folle, ma non trovavo mai un luogo sicuro dove lui non potesse trovarmi per trascinarmi tra i suoi mulinelli pieni di oscuri sussurri e presagi.
Mi sentivo piccola, fragile come un bicchiere di cristallo in mano ad un bambino che può, in qualunque momento, lasciarlo cadere a terra frantumandolo in mille pezzi.
E avevo paura, si! Tanta paura delle nubi scure, dei temporali improvvisi, del rombo lacerante dei tuoni. A volte temevo anche il silenzio più assoluto, perchè era allora che il suo soffio mi sorprendeva alle spalle. Il vento del nord era anche la vipera che scivolava sotto la porta, silenziosa, per mordermi alla nuca.
Poi venne un giorno in cui mi accorsi di temere, ancor più di lui, il mio stesso terrore e da questo, ne ero certa, non avrei più potuto avere alcuna speranza di salvezza. Compresi di essere divenuta ormai prigioniera di me stessa.
Mi misi allora a sedere davanti alla porta di casa e, tendendo lo sguardo al cielo in attesa di veder comparire la prima nuvola carica di pioggia, sperai che fosse quello il giorno.
O quello dopo...
Non avevo fretta.
Ero completamente nuda ma la pelle esposta alle intemperie stranamente non sentiva più alcun brivido di freddo. Inerme e sottomessa mi mostrai alla violenza dei suoi elementi come un animale sacrificale che non osa più opporsi al proprio carnefice e, quando mi fu vicino, compiaciuto dalla mia offerta allentò la furia e mi mostrò tronfio il petto.
Fu quando accennò ad un sorriso che gli trapassai il cuore. Un colpo solo.
Senza alcuna pietà lo ascoltai agonizzare mentre si allontanava insieme alla tempesta oltre il confine dei miei rami spogli.
Ora sosto giorno e notte sulle rive dell'oceano come una roccia di granito e sale. Guardo le onde andare e venire e spesso rammento i miei antichi e rovinosi naufragi.
Nubi in corsa e gabbiani in volo frantumano le inquietudini in piccoli coriandoli colorati che volteggiano tra le reti dei pescatori come minuscole pinne impazzite e quando socchiudo gli occhi, la notte, il buio non fa paura perchè non è più nel buio che il vento del nord si cela, nè sotto il letto, nè dentro gli armadi.
Forti ora sono le mura.