Il suo sogno si era realizzato.
Quel libro che aveva scritto e tenuto lì in un cassetto, quasi con timore, era diventato un best sellers.
Le aveva donato fama, successo e tanti tanti soldi.
C'era ancora una cosa che doveva fare per tener fede a tutte le promesse che si era fatta.
Ed era lì per quello. Anche se quel viaggio aveva un retrogusto amaro e vagamente doloroso.
Era una luminosa giornata invernale. Le acque del lago lucenti. Anche questa volta mentre scendeva le scale rimase senza fiato di fronte a quello scorcio che le permetteva di vedere l'isola che sorgeva come una favola dal centro di quella perla incastonata da alte montagne. Sapore di fiabe, odore di antico, la bellezza che le toglieva il respiro.
Pioveva quando ci era andata la prima volta. Una pioggia sottile, leggerissima che bagnava appena, . Sentiva l'odore di terra bagnata mentre il suo cuore batteva all'impazzata. Lui era lì, la sua mano allacciata alla vita, attento che non si bagnasse. “Chiudi gli occhi e lasciati guidare...” lo aveva fatto.”Apri gli occhi ora” la vista che le si era aperta davanti le aveva tolto il fiato: l'isola era avvolta da una nebbia leggera, sembrava sorgere dal nulla o da un mondo fatato mentre le prime luci si stemperavano in un dolce tremolio sulle acque calme. Aveva spalancato gli occhi, era il luogo di cui avevano parlato tante volte, il luogo nel quale sapeva lo avrebbe incontrato. Sentì il suo sguardo su di lei, stava sorridendo della sua sorpresa e della sua commozione, le prese il viso tra le mani e lo rivolse verso di lui poi si avvicinò lentamente a baciarla...
Un facchino dell'albergo la stava aspettando, prese la sua valigia e con fare frettoloso si diresse verso l'albergo. Lo seguì a malincuore ma appena si fu sistemata uscì nelle stradine antiche. Sapeva perfettamente dove doveva andare. Tra le mani un mazzo di chiavi: la sua casa dei sogni.
Percorse la strada che la divideva dalla sua meta quasi di corsa, salutò ignari passanti che la guardavano come se fosse matta, rideva di gioia, finalmente, dopo mesi di dolore denso e vischioso che le aveva avvolto il cuore e spento il sorriso.
Eccola, piccola, di pietra, con la veranda e pochi scalini che portavano ad un pontile di legno con le tavole sghembe.
La dimora, la sua casa, il suo rifugio, il luogo che aveva sognato da una vita. Salì i gradini e con mani tremanti ed aprì la porta.
Era come l'aveva sognata quando l'aveva vista da fuori per la prima volta,l'aveva acquistata senza vederla ed aveva affidato i lavori di ristrutturazione ad un architetto della zona dando istruzioni precise su come la voleva. Quella era la prima volta che ci entrava, una scommessa, una sfida, ed era proprio come desiderava. Luminosa, calda, colorata.
Un finestrone centrale illuminava l'ingresso e le scale di legno che portavano al piano superiore. A destra una salotto al quale si accedeva attraverso un arco di pietra, a sinistra la cucina in muratura, con le piastrelle di Vietri e gli sportelli blu. Le tendine a metà del finestrone che dava su un minuscolo giardino con un gazebo di ferro battuto bianco.
Salì lentamente le scale accarezzando il corrimano. A destra la sua camera da letto, chiara, con un letto di ferro battuto ed il copriletto antico. Un comò con grandi cassetti ed un armadio di legno di ciliegio. Semplice, quasi monacale.
La vista sul lago, sul pontile, la sua scrivania sotto la finestra in piena luce.
Uscì silenziosamente sorridendo. Era la sua casa. Ogni particolare perfetto. Doveva solo trasferirci la sua essenza e la sua vita. Il camion dei traslochi sarebbe arrivato tra due giorni. Uscì sulla veranda, mancava ancora il dondolo di legno e le piante di gerani, ma avrebbe avuto tempo, avrebbe avuto tutta la vita!
Percorse il vialetto di ghiaia ed arrivò al pontile, restò a lungo seduta sul bordo, con i piedi a sfiorare l'acqua fino a quando il sole non sparì dietro le montagne.
Sarebbe venuta a vivere lì tra due giorni. Esattamente un anno dopo averla vista per la prima volta.
Avevano camminato abbracciati per le strade solitarie, avevano parlato e si erano fermati ad ogni angolo a baciarsi. Affamati del loro sapore e delle loro bocche. Annusando l'odore l'uno dell'altra. Increduli perché la magia di quell'incontro era quella che avevano sognato, temuto, desiderato.
Una locanda con un lampione antico, il calore che li aveva avvolti come un abbraccio, si erano seduti l'uno di fronte all'altra, avevano mangiato, parlato, riso, bevuto, con le dita intrecciate, gli occhi negli occhi. Il tempo espanso, dolcemente lento, l'attesa che saliva. Erano usciti che la nebbia avvolgeva tutto cancellando i contorni dei luoghi che percorrevano. A lei sarebbe rimasta per sempre la sensazione che quel non luogo si era riempito solo della loro essenza .
Si erano seduti su una panchina sotto un lampione che illuminava con il suo cono di luce solo loro due, tutto il resto nulla. La sua testa sulla spalla di lui. Gli aveva raccontato della casa sul lago che albergava nei suoi sogni da quando era bambina. Poi, il silenzio. L'aveva presa per mano e l'aveva portata all'albergo.
Le stringeva la mano con una pressione che aumentava man mano che si avvicinavano, in silenzio aveva preso le chiavi ed erano entrati in ascensore. Aveva aperto la porta ed una camera blu li aveva accolti, il soffitto affrescato, le luci tenui delle lampade antiche. Le aveva tolto il cappotto e... quella notte fu passione, magia, dolcezza, furore. Si esplorarono ed assaggiarono senza un attimo di respiro. Affamati e mai sazi fino a quando le prime luci dell'alba non li trovò intrecciati, con gli occhi chiusi , ma senza abbandonarsi al sonno.
Tornò indietro infreddolita, spense le luci e si diresse verso l'albergo. Aveva scelto un piccolissimo hotel nel centro, poche stanze, e certo senza i ricordi di quei giorni incredibili.
Era quasi Natale, le vetrine erano illuminate e colorate, entrò in un negozietto antico ed acquistò ghirlande di vischio intrecciate con bastoncini di vaniglia e spicchi di arancia essiccati. Li avrebbe messi sulle scale ed all'entrata. Vide un albero bellissimo, pieno. Sarebbe stato bene nel salotto. Lo avrebbe ornato con grosse palle di vetro rosso e rose color crema. Con nastri dorati e candele lucenti.
Pagò il conto e chiese al negoziante di consegnarle tutto l'indomani. Era stanca e senza cenare andò direttamente in camera. Un bagno caldo ed un sonno profondo le avrebbero donato energia.
Si svegliò di soprassalto allungando la mano e non trovandolo accanto a lei, poi sentì scorrere l'acqua della vasca e sorrise. La camera era dotata di un bagno con idromassaggio, enorme. Lo sentì armeggiare e poi fu raggiunta da un meraviglioso profumo di vaniglia e sandalo. “Sveglia pigrona!” Saltò sul letto abbracciandola e facendole il solletico, poi spinse via le coperte, le baciò il ventre ed i seni e la sollevò adagiandola nella vasca...restarono abbracciati tra candele e musica dolce per ore, a baciarsi e far l'amore nell'acqua.
Furono giorni intensi, di passeggiate e di baci, di parole e di amore, di dono inaspettati e di sorprese, giorni che fuggivano via troppo velocemente.
L'ultimo giorno mentre camminavano in una zona del lungolago ancora inesplorata l'aveva vista, adagiata come una vecchia signora sulla riva, un po' decadente, con il giardino pieno di erbacce ed il cancello appoggiato solo ad un cardine. “Eccola...l'ho trovata!” si era sciolta dal suo abbraccio ed era corsa a vederla, incredula. La casa dei suoi sogni, ma non avrebbe potuto acquistarla. Andarono a chiedere all'agenzia che ne seguiva la vendita, era un affare, erano anni che era in vendita ma sembrava non interessare nessuno. “Sta aspettando te. Concludi il tuo libro punta tutto su questa possibilità e vedrai,. Sono certo che questa casa sta aspettando te...noi”.
Aveva detto noi, per la prima volta, lo guardò con amore e lesse nel suo sguardo una promessa.
La mattina dopo sarebbe partita, avevano ancora tutta la notte per loro. Fecero l'amore come naufraghi, piangendo e giurandosi che non si sarebbero più lasciati, che sarebbe stato per poco e poi sarebbero stati insieme per sempre. Che lui avrebbe risolto tutti i suoi problemi e l'avrebbe raggiunta da lì ad un mese.
Quella interminabile notte fu carica di sogni e di promesse. E con quelle promesse era tornata a casa. Si era messa piena di energia ed entusiasmo a finire il suo romanzo, aveva lavorato giorno e notte, lo aveva mandato al suo editore e si era messa ad aspettarlo. Al telefono era sempre vago, chiedeva tempo, e lei fiduciosa glielo aveva concesso. Poi aveva cominciato a non rispondere alle sue chiamate, ad accampare scuse ed impegni,distante, distratto, quasi freddo. Con dolore aveva compreso, non aveva avuto coraggio, non l'avrebbe mai raggiunta, non sarebbero mai stati insieme.
Cambiò scheda al suo cellulare, chiuse l'account della sua posta elettronica e cambiò indirizzo. Lo lasciò libero. Non l'aveva scelta, Quei giorni erano stati solo un intermezzo. Un piacevole intenso intermezzo ma nulla più. Piegata in due dal dolore aveva pianto tutte le sue lacrime, poi le sue lacrime si erano esaurite, aveva stretto i denti ed aveva lottato per sopravvivere all'infrangersi di quel sogno d'amore. Il suo coraggio fu premiato. Il libro un successo. E da quel successo l'idea di acquistare finalmente la casa.
Aveva lavorato duramente in quegli ultimi giorni. Presa solamente dalla sua nuova casa e dalla promessa di vita che le si apriva davanti, una vita senza lui, ma sentiva rinascere coraggio, forza ed entusiasmo. Girava con aria sognante toccando i suoi oggetti, accarezzando le pareti, fermandosi incantata a guardare il lago che cambiava colore come una donna il vestito, a seconda dell'ora o del tempo. Le finestre spalancate nonostante il freddo pungente e la sera il camino acceso, un bicchiere di vino e le recensioni al suo romanzo sempre entusiastiche. Solo la notte arrivava, silenzioso, e vigliaccamente le schiacciava il cuore fino a farlo sanguinare. A volte si era alzata ed era uscita, avvolta in una coperta a veder sorgere l'alba seduta sul dondolo di legno.
Il suo sguardo quando l'aveva vista e riconosciuta all'aeroporto. “Sei così bella” le ripeteva continuamente, quasi incredulo mentre la stringeva o la vedeva ridere di gioia. Le aveva scattato decine di fotografie che non aveva mai visto, anche mentre giaceva nuda ed appagata dopo l'amore, le diceva che aveva uno sguardo che gli fondeva il cuore e gli faceva ribollire il sangue.
Prima che partisse era sparito per un'ora ed era tornato con un serie di pacchetti avvolti di carta velina colorata con grossi nastri di raso. “Apri prima questo”. Glieli aveva posati in grembo.
Aveva scartato il primo pacchetto: una tartaruga di giaietto traslucida. “So che le collezioni,una tartaruga per ogni tuo viaggio...”, una penna stilografica “Per firmare le copie dei tuoi libri” ed infine un pacchetto più piccolo, quell'angioletto con le ali di brillantini che portava ancora, nonostante tutto.
In casa si respirava buon profumo di candele e di ciocchi. Aveva declinato tutti gli inviti per le feste natalizie. Voleva restare sola. Gli amici, quelli di sempre, l'avrebbero raggiunta per la fine dell'anno.
Le piaceva il Natale, le piaceva restare a guardare le luci del suo bellissimo albero colorato, magari bevendo una cioccolata calda. Aveva scovato in soffitta un baule della precedente proprietaria, aveva chiesto in agenzia cosa doveva farne e le avevano risposto che la proprietaria era morta da anni e nessuno lo avrebbe mai reclamato. Lo aveva trascinato giù e lo aveva aperto, un vecchio abito da sposa ingiallito, alcune foto color seppia che ritraevano una giovane donna sorridente insieme ad un uomo in divisa ed alcuni diari.
Anno 1910: “L'ho incontrato al ballo delle debuttanti, i suoi occhi verdi non mi hanno lasciato per un attimo...
Cominciò a leggere la storia della donna che aveva abitato quella casa prima di lei, il suo primo amore, un figlio, la guerra, le lettere dal fronte. Si stava affezionando alla donna che scriveva, ai suoi pensieri.
Un'idea si fece strada nella sua testa: quello sarebbe stato il suo secondo racconto.
Trascorreva ore immensa nella lettura, ridendo e piangendo di una storia vera. Scriveva per ore
Le pagine si susseguivano man mano che la storia di Dora emergeva da quelle pagine ingiallite.
Il tempo scorreva sospeso tra passato e presente.
La notte di Natale, i notturni di Chopin, il fuoco acceso, il suo pc sulle ginocchia.
Improvvisamente sentì odore di neve, si alzò ed andò alla finestra. Dolcemente dal cielo scendevano lievi fiocchi che volteggiavano come farfalle, in pochi minuti tutto il mondo tacque sommerso da quel velo bianco. Aprì la porta ed uscì nel giardino, le braccia aperte, il viso rivolto verso il cielo, i fiocchi di nevi che le baciavano il viso. Rideva di una gioia inaspettata, potente.
Chiuse gli occhi e li riaprì improvvisamente, qualcosa era cambiata nell'aria. Un uomo la stava osservando, il bavero del cappotto alzato, le mani in tasca.
“Tu”.
“Ho visto la casa illuminata e sentivo che eri tu, che eri tornata. Ti ho cercata ovunque.Vorrei parlarti, ti prego...”
Gli volse le spalle e rientrò in casa senza voltarsi. Chiuse la porta. Con il cuore impazzito tornò davanti al suo caminetto, si avvolse nel plaid mentre le battevano i denti. Si versò con mani tremanti del vino e solo quando la bevanda scese nel suo stomaco smise di tremare.
Cosa voleva da lei? Perché era lì? Perché ora? Era troppo tardi. Non voleva ascoltare le sue parole.
Guardò fuori dalla finestra, attraverso le tende, era ancora lì, con quella sua aria da cane bastonato.
Forse... no! Torno al suo pc, ma non riusciva a concentrarsi. Guardò ancora fuori, sempre fermo lì. Livido.
La neve si stava tramutando in una tempesta. Il vento schiacciava i fiocchi di neve contro i vetri.
Non avrebbe resistito. Lui che non aveva coraggio. Che non sapeva decidere. Si sarebbe arreso e sarebbe andato via.
Vinse la tentazione di guardare ancora fuori, sapeva che quando non l'avesse più visto la sua delusione sarebbe stata cocente. Il pendolo batté la mezzanotte. Era sicuramente tornato a casa sua.
Spostò le tende, nessuno. Un sorriso amaro le inondò il cuore. Spense tutto ed andò a dormire.
Una notte di strani sogni, il suo viso, le sue mani, la sua voce.
Si svegliò nel silenzio più assoluto, era tornato il sole ed il bianco tutt'intorno era abbagliante. Aprì le finestre e rabbrividì all'aria gelata. Si chiese se la sera prima fosse stata solo un sogno.
Scese giù e mise la moka sul fuoco. Andò ad aprire la porta.
Lui era lì, addormentato sul dondolo di legno, avvolto nella sua coperta. Restò senza fiato e lo guardò, le guance incavate, l'ombra della barba, l'aria da bambino che tanto amava.
Tornò in cucina e versò un'abbondante tazza di caffè. Lo scosse dolcemente e quando aprì gli occhi gliela porse.
“Entra, in casa c'è caldo”