Erano quattro mesi che Anna non pagava l’affitto e certamente nel breve periodo non avrebbe potuto farlo, non aveva ancora ricevuto la comunicazione di sfratto, ma era tormentata dall'angoscia che questo si potesse verificare da un giorno all'altro.
La ditta dove lavorava l' aveva assunta in nero e licenziata per via di suo figlio Fabio che ultimamente si ammalava spesso. Anna si era rivolta al sindacato e lì le avevano dato buone speranze per una riassunzione. La notte non riusciva a dormire. Aveva i suoi incubi, sognava la forza pubblica che la sbatteva in mezzo ad una strada con Fabio di quattro anni, ma appena sveglia questo diventava un problema lontano. Anche i pensieri vanno scacciati, devono rispettare una priorità , c’era prima l’immediato da risolvere: sfamare suo figlio. Il suo assillo era come riuscire a racimolare quei soldi che le avrebbero garantito il sostentamento fino a fine mese.
Una sua amica le aveva parlato di un tipo che avrebbe potuto fare qualcosa per lei. Quella mattina si svegliò di buon ora, lavò e vestì Fabio, gli diede per colazione una tazza di latte con l’ultimo biscotto, si fece una tazza di caffé e l’accompagnò alla materna.
Non era sicura di aver capito bene la via dove quel tipo gestiva un bar . Non doveva essere molto distante, ma il freddo e le parole che avrebbe dovuto trovare, resero il tragitto lunghissimo, oltretutto inciampò due volte in quelle maledette buche sui marciapedi.
Arrivò a piedi e affannata in quel bar, dove l’odore del caffé si confondeva col puzzo della mediocrità di quel signore. Si presentò a lui spettinata, senza un filo di trucco, con la calza smagliata perché non poteva permettersi neanche un paio di collant acquistati al mercato. Il volto Luciferino di quell'uomo, Anna non lo dimenticò mai più. Moro, baffetti, viso magro, sguardo sfuggente, sopracciglia rialzate, movimenti nervosi.
Anna, dimessa, mise in un angolino la sua dignità e sotto i piedi l’orgoglio e con voce tremante gli chiese se disturbava.
“ No, no figurati, non disturbi, quando si può fare un favore a qualcuno volentieri”. La sua risposta la colse di sorpresa. Non riusciva a capire come facesse a sapere il motivo per cui era entrata in quel bar; pensò, allora, che solitamente dovevano avere tutti la stessa faccia i disperati: il volto della miseria. Non osò rispondere. Certo, la toglieva dai guai, un vero favore per lei, Anna avevo bisogno di lui, non lui di lei, ma l’umiliazione e la rabbia le facevano odiare quell’uomo che voleva passare ai suoi occhi come un benefattore. Anna decise di tacere, ma certo nello sguardo, lui riusciva a leggere i suoi pensieri
“ Quanto ti serve?” le chiese con aria di chi sta per compiere un’opera pia
“ Come scusi”? cerco di prendere tempo, era stata una sciocca, a tutto avevo pensato, ma non alla cifra da chiedere, decise di non esagerare, aveva troppo paura di una risposta negativa.
“ Quanto ti serve?” ripeté l'uomo con tono pacato e quasi indifferente. Anna prese ancora qualche secondo per riflettere e poi riuscì a chiedere timidamente: “ Beh, pensavo duecento”
Senza battere ciglio, quell’individuo andò nel retrobottega, ci rimase qualche minuto, lei si guardò in giro, la vetrina, le scatole di cioccolatini, qualche cornetto alla marmellata e le pareti sporche e poi immagino' una cassaforte lì dietro, anzi una specie di forziere, dove custodiva i suoi biechi affari.
L'uomo arrivò, tirò fuori dalla tasca centosessanta euro e glieli porse “ Oggi che giorno è, il 14 gennaio? Fammi un assegno di duecento al 14 febbraio, anzi no, dai, voglio venirti incontro, fallo al 24 febbraio”.
Anna fece dei rapidi conti, in pratica le prestava centosessanta euro e dopo quaranta giorni doveva restituirgliene duecento; oltre il 20% in quaranta giorni, il che significa che in un anno sono quasi il 200%. Doveva pure ringraziarlo, questo si aspettava da lei, Il benefattore le fece un sorriso, Anna si sentì piccola piccola e dovette dirgli “ Grazie” anche se sentiva i conati di vomito salirgli fino in gola.
Uscì umiliata ma vittoriosa, avrebbe allontanato i suoi problemi di qualche giorno, intanto avrebbe potuto sperare in una riassunzione. Quando non si riesce a far mangiare il proprio figlio anche l’umiliazione passa in secondo piano, per cui si ritrovò felice a canticchiare per strada, da sola, e si diressi subito al supermercato a fare una modesta spesa.